Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1449 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 1449 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
Oggetto:
Equa riparazione – Giudizio di ottemperanza Riduzione del 40%
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 31089/2021 R.G. proposto da COGNOME (c.f.: BLL LTZ 60L61 CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa, giusta procura speciale resa in foglio separato apposto in calce al ricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e presso il loro studio elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro ‘pro -tempore’, rappresentato e difeso ‘ex lege’ dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso di essa elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO
avverso il decreto n. 497/2020, emesso ai sensi della l. n. 89/2001, dalla Corte di appello di Perugia e pubblicato l’8 giugno 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’udienza pubblica del 5 luglio 2023 dal Consigliere NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso riportandosi alla requisitoria scritta depositata che terminava nel senso dell’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale e del secondo motivo del ricorso incidentale, disattesi gli altri motivi di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 3, l. n. 89/2001, ritualmente depositato presso la Corte di appello di Perugia, NOME COGNOME chiedeva ingiungersi al Ministero della giustizia il pagamento di un’equa riparazione a ristoro del danno non patrimoniale che la stessa assumeva di aver sofferto in relazione alla durata del procedimento, in materia parimenti di equa riparazione, instaurato dinanzi alla stessa Corte perugina nel giugno del 2011 e articolatosi in una fase di cognizione e in una successiva di esecuzione (e quindi di ottemperanza), protrattosi oltre la ragionevole durata, e conclusosi con la liquidazione in suo favore, a titolo di equa riparazione, della somma di euro 1.150,00.
Con decreto n. 91/2020, la Corte di appello di Perugia, in accoglimento della domanda della COGNOME, ingiungeva al Ministero della giustizia il pagamento della citata somma a titolo di danno non patrimoniale, oltre interessi della domanda al saldo, nonché delle relative spese di lite, poste a carico dell’Amministrazione soccombente e distratte ai sensi dell’art. 93 c.p.c.
In parziale accoglimento dell’opposizione proposta ai sensi dell’art. 5 -ter, l. n. 89/2001 dal Ministero della giustizia, la Corte di appello di Perugia, con decreto n. 337/2021, revocava il decreto opposto e condannava la citata Amministrazione al pagamento, a titolo di indennizzo per danno non patrimoniale, dell’importo di euro 720,00 in favore della COGNOME, compensate le spese di lite per un terzo, e poste le restanti a carico del Ministero.
Più esattamente, per quanto ancora di rilievo in questa sede, la Corte territoriale riteneva tempestiva la domanda di equa riparazione proposta dalla COGNOME, assumendo quale termine di decorrenza la data del deposito della pronuncia del Consiglio di Stato (10 luglio 2019), detratto il periodo di sospensione feriale, per cui la domanda riparatoria del 5 dicembre 2019 risultava proposta entro il termine semestrale di cui all’art. 5 della l. n. 89/01. Per quanto riguardava, invece, l’affermazione dell’infondatezza dell’eccezione del difetto di legittimazione passiva del Ministero della giustizia per ciò che concerneva la fase di ottemperanza, la Corte perugina affermava che la Pubblica amministrazione legittimata alla domanda riparatoria
relativa a un giudizio di equa seguito, dopo la condanna, dalla fase esecutiva, doveva individuarsi in base al giudice che aveva accertato nella fase di merito il diritto all’equa riparazione, che nel caso di specie era appunto il giudice ordinario, con conseguente legittimazione passiva del Ministero della giustizia. Infine, circa la liquidazione dell’indennizzo, la Corte riteneva di applicare l’art. 2 -bis, comma 1bis, l. n. 89/01, in base al quale l’indennizzo può essere ridotto del 40% in ragione del numero superiore a cinquanta delle parti del giudizio.
Avverso il citato decreto ha proposto ricorso per cassazione la COGNOME sulla base di due motivi, cui ha resistito il Ministero della giustizia con controricorso contenente anche ricorso incidentale, basato su due motivi.
Ritenuto che il ricorso potesse essere definito nelle forme di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c., è stata fissata l’adunanza della camera di consiglio, in vista della quale la parte ricorrente aveva curato anche il deposito di memoria illustrativa. All’esito dell’adunanza camerale il Collegio, con ordinanza interlocutoria n. 8288 pubblicata in data 23.03.2023, ha disposto la trattazione della causa in pubblica udienza, ritenendo che in ordine alla questione dell’applicazione della riduzione del 40% all’indenniz zo liquidato per la procedura di esecuzione autonomamente attivata dalla parte ricorrente principale, allorquando il giudizio presupposto si sia svolto nella fase di cognizione, a seguito di riunione per connessione, con un numero di parti ricorrenti superiore a cinquanta, sia di
particolare rilevanza e in assenza di specifici precedenti ne fosse opportuna la trattazione in pubblica udienza, al pari della questione agitata dal ricorso incidentale per non essere completamente riconducibile la controversia alla fattispecie di cui alla pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 19883 del 2019.
Il ricorso è stato posto nuovamente in discussione e in prossimità della udienza è stata depositata dal sostituto procuratore generale, dott. NOME COGNOME memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso dell’accoglimento parziale sia del ricorso principale sia di quello incidentale.
Parte ricorrente ha curato il depositato anche di memoria ex art. 378 c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo la ricorrente principale deduce -ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2 e 2-bis, l. n. 89/2001, oltre a difetto di motivazione, nella parte in cui il decreto impugnato ha ingiustamente ed illegittimamente decurtato del 40% l’equo indennizzo in favore della parte privata, senza tenere conto che unicamente all’esito della riunione dei giudizi presupposti il numero dei ricorrenti è divenuto superiore a 50.
Con il secondo motivo la medesima parte ricorrente principale lamenta -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -la violazione e la falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c.,
nella parte in cui il decreto impugnato dispone la compensazione delle spese di lite fra le parti per 1/3, ponendo a carico dell’Amministrazione soccombente solo i restanti 2/3, senza tenere conto che nella specie il decreto impugnato ha ridotto l’indennizzo già riconosciuto in monitorio non sulla base dell’accertamento di una durata eccessiva inferiore, ma per effetto dell’applicazione di un coefficiente, discrezionale, di riduzione del moltiplicatore annuo, senza alcuna soccombenza da parte della ricorrente.
Con il primo motivo di ricorso incidentale il Ministero della giustizia si duole -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -della violazione e della falsa applicazione degli artt. 4, l. n. 89/01 e 6, par. 1, Cedu, censurando la decisione della Corte di appello di Perugia nella parte in cui ha ritenuto tempestiva la domanda di equa riparazione presentata dalla ricorrente. Ad avviso del Ministero il concetto di decisione definitiva cui agganciare il termine di decadenza previsto dall’art. 4 legge n. 89 del 2001 doveva avere riguardo all’ordinanza di assegnazione non opposta, con la quale era stata chiusa la fase esecutiva e non già quello della successiva sentenza resa in sede di ottemperanza. Del resto la ricorrente principale aveva esperito dapprima un’esecuzione forzata, ottenendo un’ordinanza di assegnazione, e successivamente un giudizio di ottemperanza che si concludeva con sentenza del Consiglio di Stato; con la conseguenza che il termine di decadenza per l’esercizio dell’azione di equa riparazion e doveva farsi decorrere dall’ordinanza di assegnazione,
trattandosi di un provvedimento definitivo, che aveva pienamente realizzato l’interesse del creditore, senza che a nulla rilevi a tal fine la seguente azione ex art. 112 c.p.a. Con questa censura, pertanto, dopo una ricostruzione dell’orientamento progressivamente formatosi nella giurisprudenza di questa Corte in ordine ai rapporti tra procedimento di cognizione e fase esecutiva ai fini dell’applicazione dell’art. 4, L. 89/2001, si deduce che, diversamente opinando, verrebbe a concedersi alla parte che invoca il riconoscimento dell’equo indennizzo la possibilità di procrastinare indefinitamente il decorso del termine ex art. 4, L. 89/2001, semplicemente attivando in sequenza plurimi anche se superflui- procedimenti esecutivi o di ottemperanza.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale l’Amministrazione della Giustizia lamenta ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -la violazione e la falsa applicazione dell’art. 3 della Legge Pinto, per aver la Corte umbra disatteso l’eccezione di carenza di legittimazione passiva del Ministero della giustizia con riferimento alla durata del giudizio di ottemperanza, non potendo ritenere titolare del rapporto relativamente alla durata di siffatto giudizio, la cui titolarità spetta al Ministero dell’economia e delle finanze.
Assume carattere preliminare – sul piano logico-giuridico l’esame dei due motivi del ricorso incidentale poiché contestano parzialmente la stessa ammissibilità della domanda indennitaria e l’individuazione del legittimato passivo, mentre il ricorso principale contesta la quantificazione dell’indennizzo e
delle spese di lite. Il primo è infondato perché correttamente la Corte di appello ha escluso la tardività della domanda di equa riparazione sulla base di Cass., Sez. Un., n. 19883 del 2019, che ai fini dell’individuazione della ragionevole durata del processo rilevante per la quantificazione dell’indennizzo previsto dall’art. 2 della l. n. 89 del 2001, ha statuito che la fase esecutiva eventualmente intrapresa dal creditore nei confronti dello Stato-debitore inizia con la notifica dell’atto di pignoramento e termina allorché diventa definitiva la soddisfazione del credito indennitario. Con la medesima sentenza si è, inoltre, concluso nel senso che il giudizio di ottemperanza promosso all’esito della decisione di condanna dello Stato al pagamento dell’indennizzo di cui alla l. n. 89 del 2001 deve considerarsi sul piano funzionale e strutturale pienamente equiparabile al procedimento esecutivo, dovendosi considerare unitariamente rispetto al giudizio che ha riconosciuto il diritto all’indennizzo.
Deve, dunque, escludersi che con l’assegnazione il creditore dello Stato possa reputarsi perciò solo soddisfatto, trattandosi di definizione che, in assenza adempimento da parte della P.A., non raggiunge lo scopo soddisfattivo e lo strumento del giudizio d’ottemperanza costituisce, appunto, il mezzo attraverso il quale il creditore potrà essere effettivamente soddisfatto, attraverso l’intervento del commissario nominato dal giudice amministrativo. Pertanto, la domanda d’equo indennizzo, avanzata entro il semestre successivo alla decisione d’ottemperanza, risulta tempestiva.
Sul punto di recente è stato, inoltre, chiarito il creditore insoddisfatto si sia avvalso in via concorrenziale, in contemporanea ovvero in successione cronologica, del rimedio del giudizio di esecuzione e del giudizio di ottemperanza al fine di ottenere l’effettivo soddisfacimento della propria pretesa, il termine di decadenza per proporre la domanda ex art. 4 della l. n. 89 del 2001 decorre dalla definizione positiva, con l’effettiva estinzione dell’obbligazione azionata, dell’ultimo dei rimedi intentati (Cass. 16 novembre 2022 n. 33764).
Il secondo motivo, di converso, merita di essere accolto.
Questa Corte ha esaminato di recente la medesima questione ed ha ritenuto che debba darsi continuità alla propria giurisprudenza secondo la quale in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, la parte che intende accampare pretese riparatorie del pregiudizio derivatole dalla non ragionevole durata di giudizi svoltisi, in relazione alla medesima vicenda, davanti a giudici ordinari e a giudici amministrativi deve convenire in giudizio sia il Ministero della Giustizia che la Presidenza del Consiglio (oggi il MEF), non potendo valere la regola della prevalenza, nella formazione del termine irragionevole, di un tipo di giudizio rispetto a un altro; in tal caso il giudice, ove ritenga fondata la domanda in riferimento a ciascun processo, dovrà determinare separatamente l’importo gravante su ognuna delle amministrazioni convenute per il ritardo dei giudizi di rispettiva competenza, posto che la legge individua in maniera disgiunta i soggetti passivamente legittimati per l’eccessiva durata di
procedimenti diversi, seppur collegati, la cui durata deve formare oggetto di esame e valutazione autonomi (Cass. n. 15603 del 2006).
Nella specie, peraltro, la questione in punto di titolarità passiva dell’obbligazione indennitaria, non interamente ascrivibile al ricorrente incidentale, aveva costituito specifico motivo di opposizione, ed era stata quindi portata all’attenzione del giudice nel primo atto difensivo successivo alla notifica del ricorso e del decreto opposto. Appare al Collegio che in tal caso possa farsi applicazione della regola posta dall’art. 4 della legge n. 260/1958, a mente del quale “l’errore di identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio ed ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona alla quale l’atto doveva essere notificato. Tale indicazione non è più eccepibile. Il giudice prescrive un termine entro il quale l’atto deve essere rinnovato. L’eccezione rimette in termini la parte”. Pertanto, l’erronea evocazione in giudizio di un ministero al posto di un altro comporta che il giudice – a pena di nullità della sentenza di primo grado e conseguente rimessione della causa al primo giudice – fissi un termine per il rinnovo della notifica e la corretta instaurazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 4 della l. n. 260 del 1958, purché l’Avvocatura dello Stato sollevi la relativa eccezione nella prima udienza, indicando, altresì, il soggetto cui l’atto avrebbe dovuto essere notificato (Cass. n. 25499/2021; in
senso conforme Cass. n. 15219/2022). Con specifico riferimento alla materia di cui alla legge n. 89/2001, è stato poi affermato (Cass. n. 8049/2019) che l’art. 4 della l. n. 260 del 1958 deve ritenersi applicabile anche quando l’errore d’identificazione riguardi distinte ed autonome soggettività di diritto pubblico ammesse al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, ma, in forza del principio dell’effettività del contraddittorio, la sua operatività è circoscritta al profilo della rimessione in termini, con esclusione, dunque, di ogni possibilità di “stabilizzazione” nei confronti del reale destinatario, in funzione della comune difesa, degli effetti di atto giudiziario notificato ad altro soggetto e del conseguente giudizio (nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva dichiarato inammissibile un ricorso notificato al Ministero dell’economia e delle finanze senza disporre la rinnovazione della notifica al Ministero della giustizia, amministrazione che, invece, avrebbe dovuto essere parte del giudizio).
Ritiene il Collegio che tali principi possano estendersi anche all’ipotesi qui ricorrente in cui l’eccezione sia volta a contestare non integralmente la titolarità dell’obbligazione dedotta in giudizio, ma solo il parziale difetto di titolarità, imponendosi anche in tal caso, a fronte della tempestiva deduzione, con l’indicazione del soggetto ritenuto invece passivamente legittimato, e che anche in tal caso debba pervenirsi alla cassazione della decisione gravata, per non avere provveduto a disporre la rinnovazione della notifica nei confronti del
Ministero dell’economia e delle finanze, dovendo il giudizio di rinvio, previa evocazione in giudizio anche di quest’ultimo Ministero, determinare il quantum dovuto dai due dicasteri, in relazione ai ritardi separatamente ascrivibili ai plessi giurisdizionali di riferimento.
L’accoglimento del secondo motivo di ricorso incidentale, rigettato il primo, con la conseguente cassazione del decreto impugnato comporta l’assorbimento del ricorso principale.
Conclusivamente, rigettato il primo motivo del ricorso incidentale, va accolto il secondo motivo del medesimo ricorso, assorbito quello principale, con la conseguente cassazione del decreto impugnato e rinvio alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, rigettato il primo, e dichiara assorbito il ricorso principale; cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda