LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Equa riparazione: chi paga per i ritardi del giudizio?

Una cittadina ha richiesto un’equa riparazione per l’eccessiva durata di un precedente procedimento, che includeva una fase esecutiva e un giudizio di ottemperanza. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1449/2024, ha stabilito due principi fondamentali: primo, la richiesta di indennizzo è tempestiva se presentata dopo la conclusione del giudizio di ottemperanza, anche se segue un’esecuzione forzata. Secondo, se il ritardo è attribuibile sia alla giurisdizione ordinaria che a quella amministrativa, la domanda di equa riparazione deve essere proposta nei confronti di entrambe le amministrazioni responsabili (Ministero della Giustizia e Ministero dell’Economia), che risponderanno ciascuna per la propria parte di ritardo. La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Equa riparazione: chi paga per i ritardi del giudizio?

Ottenere un’equa riparazione per l’eccessiva durata dei processi è un diritto fondamentale, ma il percorso può presentare ostacoli procedurali complessi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 1449 del 15 gennaio 2024) fa luce su due aspetti cruciali: da quando decorre il termine per agire e chi è il soggetto tenuto a pagare quando il ritardo coinvolge diverse giurisdizioni. Analizziamo la decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Una cittadina, dopo aver ottenuto una somma a titolo di equa riparazione per un precedente processo, si è trovata di fronte a un nuovo ritardo, questa volta nella fase di riscossione del suo credito. Per ottenere il pagamento, ha dovuto prima avviare una procedura esecutiva ordinaria e, successivamente, un giudizio di ottemperanza davanti al giudice amministrativo. A causa della durata eccessiva anche di questa seconda fase, ha intentato una nuova causa per ottenere un’ulteriore equa riparazione.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello di Perugia aveva accolto la domanda, ma con due decisioni rilevanti: in primo luogo, aveva applicato una riduzione del 40% sull’indennizzo a causa dell’elevato numero di parti nel giudizio presupposto; in secondo luogo, aveva individuato nel solo Ministero della Giustizia il soggetto responsabile per l’intero ritardo, compresa la fase di ottemperanza.

Contro questa decisione hanno proposto ricorso sia la cittadina, contestando la riduzione dell’indennizzo, sia il Ministero della Giustizia, sollevando due eccezioni: la tardività della domanda e il proprio difetto di legittimazione passiva per la fase del giudizio amministrativo.

L’Equa Riparazione in Cassazione: i Punti Chiave

La Corte di Cassazione è stata chiamata a risolvere le complesse questioni procedurali sollevate. La sua analisi si è concentrata sui due motivi del ricorso del Ministero, ritenuti preliminari.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Suprema Corte ha fornito chiarimenti essenziali su come gestire le richieste di equa riparazione in contesti procedurali complessi.

Tempestività della Domanda: il Termine Decorre dall’Ultimo Rimedio

Il primo punto affrontato riguarda il dies a quo, ossia il momento da cui far partire il termine semestrale per presentare la domanda di indennizzo. Il Ministero sosteneva che il termine dovesse decorrere dalla conclusione della prima fase esecutiva (con l’ordinanza di assegnazione), rendendo tardiva la domanda presentata solo dopo la sentenza del giudizio di ottemperanza.

La Cassazione ha respinto questa tesi. Richiamando un proprio orientamento consolidato (in particolare Cass. Sez. Un. n. 19883/2019), ha affermato che il processo si considera concluso solo quando il creditore ottiene l’effettivo e definitivo soddisfacimento del proprio diritto. Di conseguenza, se il creditore è costretto a utilizzare più strumenti in sequenza (esecuzione forzata e poi giudizio di ottemperanza), il termine per la richiesta di equa riparazione decorre dalla definizione dell’ultimo rimedio esperito. La domanda, quindi, era tempestiva.

Legittimazione Passiva: a Ciascuno il Suo Ritardo

Il secondo motivo del ricorso del Ministero è stato invece accolto, portando alla cassazione della sentenza. La Corte ha chiarito un principio fondamentale sulla responsabilità per i ritardi che si accumulano in diverse giurisdizioni. Il ritardo della fase di cognizione ed esecuzione ordinaria è imputabile al Ministero della Giustizia. Tuttavia, il ritardo relativo al giudizio di ottemperanza, che si svolge davanti al giudice amministrativo, è di competenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri (ora Ministero dell’Economia e delle Finanze – MEF).

Non si applica un criterio di prevalenza di una giurisdizione sull’altra. Al contrario, il cittadino che lamenta un ritardo cumulativo deve citare in giudizio entrambe le amministrazioni. Sarà poi compito del giudice determinare l’esatto importo dovuto da ciascun Ministero, in relazione al ritardo specifico avvenuto nel rispettivo plesso giurisdizionale. Poiché la Corte d’Appello non aveva ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti del MEF, la sua decisione è stata annullata.

Conclusioni

La sentenza n. 1449/2024 offre due importanti indicazioni operative per le domande di equa riparazione:

1. Termine di Decadenza: In caso di utilizzo di più strumenti esecutivi contro la Pubblica Amministrazione, il termine di sei mesi per chiedere l’indennizzo decorre dalla conclusione dell’ultimo procedimento attivato, quello che ha portato al soddisfacimento definitivo del credito.
2. Responsabilità Condivisa: Se l’irragionevole durata del processo è frutto di ritardi accumulati sia nella giurisdizione ordinaria sia in quella amministrativa, il cittadino ha l’onere di convenire in giudizio sia il Ministero della Giustizia sia il Ministero dell’Economia e delle Finanze. In caso contrario, la domanda sarà inammissibile per la parte di ritardo non attribuibile all’amministrazione correttamente citata.

Quando inizia il termine di sei mesi per chiedere l’equa riparazione se dopo un’esecuzione forzata si avvia anche un giudizio di ottemperanza?
Il termine decorre dalla definizione dell’ultimo rimedio utilizzato per ottenere il soddisfacimento del credito. Pertanto, inizia a decorrere dalla conclusione del giudizio di ottemperanza, in quanto rappresenta il momento in cui il diritto del creditore è stato effettivamente realizzato.

Se il ritardo di un processo è causato in parte dalla giustizia ordinaria e in parte da quella amministrativa, chi bisogna citare in giudizio?
Bisogna citare in giudizio entrambe le amministrazioni competenti: il Ministero della Giustizia per i ritardi relativi alla giurisdizione ordinaria e il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) per i ritardi relativi alla giurisdizione amministrativa (come il giudizio di ottemperanza).

Cosa succede se si cita in giudizio il Ministero sbagliato per una richiesta di equa riparazione?
Se viene citata l’amministrazione sbagliata (ad esempio, solo il Ministero della Giustizia per un ritardo avvenuto in sede amministrativa), questa può eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva. Il giudice, se l’eccezione è sollevata tempestivamente, deve ordinare alla parte di rinnovare la notifica nei confronti dell’amministrazione corretta, rimettendola in termini per instaurare correttamente il giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati