Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23861 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23861 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 1773 – 2022 proposto da:
AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso NOME RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso da sé stesso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’RAGIONE_SOCIALE ope legis ;
– controricorrente –
avverso il decreto n. cronol. 506/2021 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, pubblicato il 21/6/2021;
del l’8 /2/2024 dal consigliere COGNOME;
lette le memorie del ricorrente.
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello dell’Aquila, con decreto n. 506/2021, ha respinto l’opposizione proposta dall’AVV_NOTAIO, ex art. 5-ter 1. n. 89/2001, avverso il provvedimento che aveva liquidato in suo favore, per un giudizio civile da lui instaurato in proprio, durato 11 anni, 3 mesi e 14 giorni, Euro 2000 oltre interessi, quantificando la durata irragionevole in 4 anni e 11 mesi e utilizzando quale parametro annuo la somma di Euro 400,00; ha liquidato quindi le spese, in favore dell’opposto Ministero, in Euro 3.770, 00 oltre accessori.
In particolare, per quel che qui ancora rileva, la Corte d’appello ha confermato la correttezza del decreto monocratico quanto alla quantificazione dell’indennizzo in riferimento al parametro minimo previsto dall’art. 2 bis (E. 400,00 per anno) , in considerazione dell’ammontare del credito riconosciuto , alla sottrazione di complessivi cinque anni per essere il giudizio articolato in due gradi e del periodo di stasi tra il giudizio di primo grado e la pr oposizione dell’appello perché non imputabile allo RAGIONE_SOCIALE; ha, infine, ribadito l’ applicazione della tabella 8, allegata al d.m. n. 55 del 2014, per la liquidazione delle spese nella fase monocratica.
Avverso il decreto della Corte di appello dell’Aquila , NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi, a cui il Ministero ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato due successive memorie.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
Preliminarmente, deve rilevarsi che la seconda memoria è inammissibile perché depositata soltanto in data 7 febbraio 2024, oltre il termine di dieci giorni prima dell’ odierna adunanza in camera di consiglio, fissato dall’art. 380 bis 1 cod. proc. civ.
Sul punto, deve infatti ribadirsi che la parte può depositare due successive memorie prima dell’adunanza in camera di consiglio, perché il deposito della prima non consuma il suo potere di difesa scritta, ma è tenuta comunque, anche con la seconda memoria, al rispetto del termine di preclusione di dieci giorni prima previsto dall’ art. 380-bis.1 cod. proc. civ. (Cass. Sez. 2, n. 18127 del 31/08/2020).
Ciò precisato, con il primo motivo di ricorso, l’AVV_NOTAIO ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, c. I, n. 3, cod. proc. civ. per avere la Corte d’appello ribadito l’applicabilità della tabella 8 alle spese della fase monitoria, nonostante la natura contenziosa.
Il motivo è infondato. Per principio ormai consolidato, la liquidazione delle spese della fase destinata a svolgersi dinanzi al consigliere designato deve avvenire sulla base della tabella n. 8, rubricata «procedimenti monitori», allegata al d.m. n. 55 del 2014, per quanto si sia al cospetto di un procedimento monitorio destinato a celebrarsi dinanzi alla Corte d’appello, con caratteri di «atipicità» rispetto a quello di cui agli artt. 633 e ss. cod. proc. civ., rilevando, ai fini dell’applicazione di tale tabella, oltre che l’identica veste formale -cioè quella del decreto – del provvedimento conclusivo della prima fase di entrambi i procedimenti, anche l’iniziale assenza di contraddittorio e la differita operatività della regola cardine audiatur et altera pars , sicché sono pienamente accomunabili il primo sviluppo del procedimento ex lege Pinto e l’ordinario procedimento d’ingiunzione ( ex plurimis , Cass. Sez. 2, n. 16512 del 31/07/2020).
Con il secondo motivo, il ricorrente ha prospettato, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione degli art. 13, 41 e 46 CEDU e della legge n.848/1955 di sua ratifica, in relazione agli art. 24 e 111 Cost e «dei principi in materia di equa riparazione affermati dalla Corte EDU», chiedendo sia sollevata la
questione di legittimità costituzionale degli art. 2 commi 2 bis e 2 quater e dell’art. 2 bis per contrasto con gli art. 3, 111 comma I e 117 comma I Cost. in relazione agli art. 6 par. 1, 13 e 41 e 46 della CEDU: la Corte d’appello avrebbe, infatti, liquidato una somma di gran lunga inferiore al «dovuto secondo la giurisprudenza della Corte EDU».
In particolare, con un primo profilo di censura, l’avvocato COGNOME ha sostenuto che l’art. 2 della Legge 89/200 1 individuerebbe soltanto « i presupposti del , e non già i parametri per stabilire la misura di quest’ultimo » (così in ricorso), sicché non sarebbe giustificata la sottrazione del tempo di cinque anni che sarebbe stato indicato dal legislatore soltanto per stabilire la durata ragionevole ; l’indennizzo, invece, avrebbe dovuto essere riconosciuto per tutta la durata del giudizio presupposto, in quanto protrattosi oltre tale termine ragionevole; con un secondo profilo, poi, il ricorrente ha censurato anche il mancato indennizzo per il tempo necessario all’impugnazione; infine, con un terzo profilo, ha rappresentato che il moltiplicatore utilizzato non sarebbe corrispondente a quello indicato dalla Corte EDU (individuato in una somma tra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno) e in altri precedenti di questa Corte (n. 4997 e 4998 del 12 marzo 2015) pronunciati tra le stesse parti.
In ipotesi di rigetto di queste censure, ha prospettato, quindi, la necessità di sollevare questione di costituzionalità degli art. 2 commi 2 bis e 2 quater e dell’art. 2 bis.
Il motivo è infondato.
2.1. Questa Corte, con la pronuncia n. 25178 del 2021, resa in applicazione di orientamenti ormai consolidati, ha già dettagliatamente esaminato le questioni poste con il motivo.
Innanzitutto, quanto alla sottrazione della ragionevole durata, è l’art. 2 bis a prevedere che il giudice liquidi a titolo di equa riparazione, di regola, una somma di denaro « … per ciascun anno, o frazione di
anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo». Il dubbio di costituzionalità di tale previsione è stato già fugato da Cass. 10415/09 (seguita da Cass. 478/11) che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 2, comma 3, lettera a), della legge 24 marzo 2001, n. 89, nella parte in cui stabilisce che, al fine dell’equa riparazione, rileva soltanto il danno riferibile al periodo eccedente il termine di ragionevole durata, non essendo ravvisabile alcuna violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento alla compatibilità con gli impegni internazionali assunti dall’Italia mediante la ratifica della RAGIONE_SOCIALE Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali: infatti, qualora sia sostanzialmente osservato il parametro fissato dalla Corte EDU ai fini della liquidazione dell’indennizzo, la modalità di calcolo imposta dalla norma nazionale non incide sulla complessiva attitudine della legislazione interna ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto in argomento, non comportando una riduzione dell’indennizzo in misura superiore a quella ritenuta ammissibile dal Giudice europeo.
Quanto al secondo profilo, il sistema di quantificazione dell’indennizzo delineato dagli articoli 2 e 2 bis della legge n. 89/2001 attua i principi fissati nell’articolo 6 CEDU dettando una disciplina di dettaglio nell’ambito del margine di apprezzamento che la RAGIONE_SOCIALE lascia ai legislatori nazionali: pur nell’ambito di una disciplina chiaramente orientata a considerare in modo unitario il giudizio presupposto, il legislatore non irragionevolmente ha ritenuto che non possa essere addebitata all’amministrazione giudiziaria – all’interno del periodo compreso tra la data di decorrenza iniziale e quella di esaurimento del termine di impugnazione -il tempo imputabile unicamente alla scelta della parte di procrastinare il momento in cui proporre l’impugnazione.
Infine, quanto al terzo profilo, la quantificazione dell’indennizzo tra il minimo (Euro 400) ed il massimo (Euro 800) della forcella indicata nel primo comma dell’articolo 2 bis L. n. 89/2001 costituisce giudizio di fatto non censurabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di violazione di legge (e nella specie la Corte d’appello ha motivato la scelta del minimo).
Quanto ai dubbi di costituzionalità avanzati dal ricorrente, gli stessi sono formulati in termini generici e si fondano soltanto su una valutazione di sintesi di inadeguatezza della somma liquidata dal giudice di merito a titolo di indennizzo, senza alcuna specifica argomentazione che illustri, in relazione a ciascuna delle molteplici disposizioni promiscuamente impugnate, perché essa si porrebbe in contrasto con la RAGIONE_SOCIALE EDU: come già rilevato, è unicamente rilevante che la legislazione interna assicuri l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto ad un processo di durata ragionevole, non comportando una riduzione dell’indennizzo in misura superiore a quella ritenuta ammissibile dal giudice europeo: nella specie, come proprio rilevato dalla Corte d’appello, la misura dell’indennizzo è più che adeguata ad un serio ristoro, sol che si consideri l’ammontare della somma infine riconosciuta.
Con il terzo motivo, l’AVV_NOTAIO ha denunciato la violazione degli art. 10, 14, 91 cod. proc. civ., 3 e ss. della l. 89/2001, 13 comma 6 della l.n.247/2012 e 5 co.1 dm 55/2014, per avere la Corte d’appello ritenuto la sua soccombenza e liquidato comunque, a titolo di spese della fase di opposizione, una somma esorbitante, prendendo a riferimento l’erroneo valore di E uro 15.000,00, indicandolo come valore dichiarato, invece dell’importo di Euro 2000 riconosciuto in monitorio.
Il motivo è infondato.
Innanzitutto, è vero che l’opposizione di cui all’art. 5-ter della l. n. 89 del 2001 non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza una fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo.
É vero altresì che, come statuito da questa Corte, ove detta opposizione sia stata proposta, tuttavia, dalla parte privata rimasta insoddisfatta dall’esito della fase monitoria e abbia, pertanto, carattere pretensivo, le spese di giudizio devono essere liquidate in base al criterio della soccombenza, a misura dell’intera vicenda processuale, soltanto in caso di suo accoglimento, mentre, in caso di rigetto, fatta salva l’ipotesi di opposizione incidentale da parte dell’amministrazione, le spese devono essere regolate in maniera del tutto autonoma: in conseguenza, in tale ipotesi, devono essere poste anche a carico integrale della parte privata opponente, ancorché essa abbia diritto a ripetere quelle liquidate nel decreto, in quanto il Ministero opposto, avendo prestato acquiescenza al decreto medesimo, affronta un giudizio che non aveva interesse a provocare e del quale, se vittorioso, non può sopportare le spese (Cass. Sez. 6 – 2, n. 9728 del 26/05/2020 con richiami).
Quanto all’ammontare dei compensi liquidat i, in disparte ogni considerazione sulla non corretta formulazione della censura in riferimento al dettaglio dei parametri applicabili e delle violazioni commesse nella liquidazione, l’importo da tenere presente, trattandosi di rigetto dell’opposizione, è il disputatum in tale seconda fase (nella specie indicata dallo stesso opponente in Euro 15000, come risulta dal decreto qui impugnato); la Corte d’appello, invero, ha applicato lo scaglione relativo a un valore della causa compreso tra Euro 5.200 e Euro 26.000 che sarebbe stato utilizzabile anche volendo considerare un importo disputatum inferiore, pari alla differenza tra importo
inizialmente preteso (tra 16000 e 11000 euro) e importo riconosciuto in monocratico, cioè Euro 2000.
Pertanto, v’è che correttamente la Corte ha applicato alla fase di opposizione la tabella 12 e ha liquidato un importo compreso tra minimi e massimi RAGIONE_SOCIALE scaglione relativo a un valore della causa compreso tra Euro 5.200 e Euro 26.000.
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna del l’AVV_NOTAIO al rimborso delle spese processuali in favore del Ministero, liquidate in dispositivo in relazione al valore della pretesa.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna l’AVV_NOTAIO al pagamento, in favore del Ministero, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda