Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20916 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20916 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18360/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME DNOME COGNOME DCOGNOMENOME COGNOME DNOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi da ll’avvocato NOME COGNOME unitamente all’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
– intimato – avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di POTENZA n. 48/2023, depositato il 02/02/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e gli eredi di NOME domandavano alla Corte d’Appello di Potenza un’equa riparazione ex lege n. 89/2001, per l’ eccessiva durata di una procedura fallimentare in cui i ricorrenti, quali dipendenti della società fallita, erano stati ammessi al passivo come creditori privilegiati ex art. 2751bis n.1, cod. civ.
Precisavano che il fallimento era stato dichiarato con sentenza n. 1/1988 del Tribunale di Potenza; il decreto di ammissione al passivo era stato emesso dal Giudice Delegato in data 09.02.1998, ed il decreto di chiusura del fallimento era del 25 febbraio 2020, e che il giudizio aveva avuto una durata irragionevole di 16 anni.
Il Consigliere d elegato della Corte d’Appello di Potenza accoglieva parzialmente la domanda, riconoscendo, quale valore della causa, le somme calcolate nella misura corrispondente ai crediti di ciascun ricorrente per come ammessi allo stato passivo e successivamente liquidati.
Il decreto monitorio veniva opposto ex art. 5ter legge n. 89 del 2001 dagli originari ricorrenti innanzi alla medesima Corte d’Appello che, in parziale accoglimento dell’opposizione, rideterminava il danno non patrimoniale da irragionevole durata, a favore di ciascun ricorrente, ai sensi dell’art. 2 -bis comma 3 della legge n. 89/2001, in misura corrispondente all’entità dei crediti ammessi al passivo da prendere in considerazione, nei casi come questo, in cui l’indennizzo sarebbe stato di importo sicuramente maggiore in relazione agli anni di durata irragionevole della procedura fallimentare; escludeva gli accessori sulla sorte capitale della somma liquidata a titolo di indennizzo, in quanto della liquidazione effettiva di tale maggior credito non era stata fornita prova documentale. Negava inoltre la rivalutazione monetaria sulla sorte capitale dell’indennizzo trattandosi di obbligazione ex lege di natura indennitaria, e liquidava i soli interessi legali dalla domanda al saldo.
Per l’effetto, così quantificava l’indennizzo per ciascuno dei ricorrenti: NOME COGNOME : €. 3.402,00; NOME COGNOME: €. 1.583,00 ; NOME COGNOME: €. 1.970,00 ; NOME COGNOME : €. 1.395,00 ; NOME COGNOME: €. 1.970,00.
Infine, ritenuta la sussistenza di una soccombenza parziale, il secondo giudice compensava le spese per la metà, accollando la restante frazione all’Amministrazione, secondo i valori tariffari minimi e con esclusione del compenso per la fase istruttoria.
Contro il suddetto decreto ricorrono per cassazione NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME sulla base di due motivi.
Resta intimato il Ministero della Giustizia.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2bis , comma 3, legge n. 89/2001, in relazione all’art. 6, par. 1 della CEDU, all’art. 1 del primo protocollo addizionale ed agli artt. 111 e 117 della Costituzione – Art.3 60, comma 1, n. 3. I ricorrenti contestano alla motivazione impugnata di non avere colto il contenuto del ricorso in opposizione: in esso, infatti, non si chiedeva il riconoscimento della rivalutazione monetaria sulla somma riconosciuta nel decreto monocratico a titolo di equa riparazione, bensì si chiedeva che il «valore della causa», ovvero il tetto risarcitorio applicato, tenesse conto di rivalutazione monetaria ed interessi da applicarsi sui crediti di lavoro ammessi al passivo, benché il Curatore del fallimento avesse pagato solo l’importo capitale, destinando le ulteriori somme disponibili ad un creditore privilegiato di grado inferiore, come appare evidente dai conteggi presenti nel documento n. 6 dei gradi di merito. Nel decreto qui impugnato, il giudice dell’opposizione rigettava, così, un motivo di opposizione che non era stato proposto, non rispondendo a quello che, invece, era stato formulato dagli opponenti. Ne deriva che
il giudice collegiale, nel considerare unicamente l’importo capitale ammesso al passivo (ed integralmente pagato in sede di riparto finale), omettendo di aumentare tale credito per la rivalutazione sino all’esecutività dello stato passivo e per gli oltre 20 anni di interessi legali sino al pagamento di dette somme, ha violato il disposto di cui all’art. 54 della legge fallimentare e dell’art. 429, comma 3, cod. proc. civ., come interpretato dalla sentenza n. 204/1989 della Corte Costituzionale, svuotando altresì di significato la locuzione «valore della causa» di cui all’art. 2 -bis , comma 3, legge n. 89 del 2001. Né i ricorrenti condividono il passaggio in cui il Collegio afferma che «senza che, però, questo maggior credito sia stato effettivamente liquidato dal fallimento, non essendo stata fornita prova documentale in tal senso», non essendo necessaria alcuna «liquidazione» effettiva, bastando sempre ai fini della determinazione del valore della domanda di equa riparazione -la somma ammessa nello stato passivo, per capitale ed accessori di legge, a favore dei ricorrenti.
Il motivo è infondato.
Occorre premettere che il giudice dell’opposizione ha correttamente correlato il valore della causa, ai fini della liquidazione per equa riparazione, alle somme ammesse al passivo per ciascuno degli ex dipendenti della società fallita, coincidenti con quelle effettivamente liquidate in sede di riparto finale : tanto in applicazione dell’art. 2 -bis , comma 3, legge n. 89 del 2001, laddove stabilisce che: «La misura dell’indennizzo, anche in deroga al comma 1, non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice». E difatti questa Corte ha avuto già occasione di precisare che: «In tema di equa riparazione, nel caso del giudizio di verificazione dello stato passivo, occorre aver riguardo al credito azionato dal ricorrente ovvero, se inferiore, alla somma per la quale il creditore, all’esito del giudizio stesso, risulti essere stato ammesso, a nulla rilevando, almeno a tal fine, la somma per la quale il creditore
ammesso risulti, poi, iscritto al riparto» (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 25181 del 17/09/2021, Rv. 662165 -01; conf.: Sez. 2, Sentenza n. 1103 del 16/01/2025, Rv. 673483 -01; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 1318 del 2023; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 31800 del 2022; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 10176 del 27/04/2018).
Tanto precisato, il motivo di ricorso lamenta il mancato riconoscimento da parte del curatore fallimentare, in sede di ammissione al passivo dei crediti privilegiati, sia della rivalutazione monetaria, sia degli interessi (v. ricorso pagg. 2,3,25).
Rileva però la Corte che le suddette questioni andavano fatte valere in sede di procedura fallimentare . L’omessa impugnazione del provvedimento del Curatore nel procedimento presupposto si traduce in acquiescenza degli interessati e quindi appare corretto il rilievo della «.. assenza di prova documentale in tal senso » (v. decreto impugnato p. 4, 2° capoverso), rispetto alla mancata liquidazione della rivalutazione e degli interessi sui crediti ammessi al passivo, acquiescenza che non è possibile neutralizzare nel presente giudizio, la cui funzione attiene unicamente al riconoscimento e liquidazione del danno non patrimoniale per eccessiva durata della procedura fallimentare.
Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. dell’art. 2233 c.c. e del D .M. Giustizia n. 55/2014 -Art.360, n. 3. I ricorrenti censurano il decreto impugnato nella parte in cui la Corte d’Appello ha riconosciuto i compensi di difesa alle parti vittoriose unicamente per tre delle quattro fasi previste dal DM n.55/2014, omettendo di attribuire i compensi per la fase istruttoria.
Il motivo è fondato.
Osserva il Collegio che il parametro tabellare di cui al D.M. n. 55 del 2014 è riferito alla «fase istruttoria e/o di trattazione», discendendone che l’eventuale mancato svolgimento della fase
istruttoria in sé e per sé considerata (ossia di alcuna delle attività che in tale fase sono da intendersi comprese secondo l’indicazione esemplificativa contenuta nel comma 5, lett. c, dell’art. 4 D.M. n. 55 del 2014) non vale ad escludere il computo, ai fini della liquidazione giudiziale dei compensi, dell’importo spettante per la fase così come complessivamente considerata nelle tabelle, restando questo comunque riferibile anche solo alla diversa fase della trattazione (come dimostra l’uso, nella descriz ione in tabelle della corrispondente voce, della congiunzione disgiuntiva «o», sia pure in alternativa alla congiunzione copulativa «e»: «e/o»: v. Cass. n. 28627/2023).
Pertanto, ove sussistente la fase di trattazione, compete al ricorrente anche il compenso per la fase istruttoria, alla luce dei precedenti di questa Corte che ne hanno riconosciuto l’applicabilità nei giudizi di equa riparazione (Sez. 2, Ordinanza n. 27034 del 2024; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 38477 del 06/12/2021, Rv. 663222 -01; Cass. n. 9701/2019; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 33066 del 20/12/2018; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 32576 del 17/12/2018, tutte non massimate).
In accoglimento del secondo motivo del ricorso, il decreto merita, pertanto, di essere cassato.
Non essendo necessari accertamenti in fatto, la Corte decide la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 comma 2 cpc. Pertanto, nella liquidazione delle spese del giudizio di opposizione va riconosciuto anche il compenso per la fase della trattazione, che si determina in €. 922,00 applicandosi i parametri già utilizzati dalla Corte d’Appello (scaglione fino a €. 26.000, parametro minimo, DM n. 147/2022).
La reciproca soccombenza (derivante dal rigetto del primo motivo di ricorso) giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo;
cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto, e decidendo nel merito riconosce nella liquidazione delle spese del giudizio di opposizione anche il compenso per la fase di trattazione, che liquida in €. 922,00.
Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2025.