Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 145 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 145 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21841/2018 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
Regione Calabria , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. Dinanora COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2172/2017, depositata il 7.2.2018 della Corte d’Appello di Catanzaro;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20.12.2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente convenne in giudizio la Regione Calabria per chiederne la condanna al pagamento della «indennità aggiuntiva» (c.d. «beneficio con riferimento alla pensione») asseritamente dovutagli in forza del «contratto di risoluzione consensuale» del rapporto di lavoro a tempo indeterminato stipulato ai sensi dell’art. 7 della legge regionale n. 8 del 2005, che aveva previsto un incentivo all’esodo per il personale dipendente della Regione e dei suoi enti strumentali.
La Regione Calabria resistette alla domanda eccependo l’inadempimento, da parte del ricorrente, del « divieto assoluto di instaurare rapporti professionali, a qualunque titolo, con la Regione e con gli Enti strumentali da essa dipendenti per i cinque anni successivi alla cessazione del servizio», stabilito dal comma 8 del citato art. 7 della legge regionale n. 8 del 2005 e ribadito espressamente anche nel «contratto di risoluzione consensuale». Era infatti accaduto che il ricorrente, all’indomani della risoluzione del rapporto con la Regione era stato assunto, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, da RAGIONE_SOCIALE, società a partecipazione maggioritaria della stessa Regione Calabria, costituita per gestire gli acquedotti e le risorse idriche nel territorio regionale.
Il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del lavoro, rigettò la domanda del lavoratore, sulla base del convincimento che RAGIONE_SOCIALE fosse classificabile come ente strumentale della Regione Calabria e che, quindi, fosse stato violato il divieto di cui all’art. 7, comma 8, della citata legge regionale.
Il lavoratore si rivolse allora alla Corte di Appello di Catanzaro, la quale, in ri getto dell’impugnazione, confermò la sentenza di primo grado.
Contro la sentenza della Corte d’Appello il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione articolato in sette motivi. La Regione Calabria si è difesa con controricorso. Il ricorrente ha altresì depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia, in relazione all ‘art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., la «violazione e falsa applicazione di norme processuali (artt. 434 e 112 c.p.c.)», per sostenere che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto la «mancata contestazione delle argomentazioni poste a fondamento della sentenza di primo grado da parte dell’appellante» .
1.1. Questo primo motivo è chiaramente inammissibile, perché è lo stesso ricorrente a rilevare che il fugace cenno, nella sentenza del la Corte d’Appello, alla mancata censura di parte delle argomentazioni poste a sostegno della decisione di primo grado non ha comportato una pronuncia di inammissibilità del gravame e, quindi, nulla ha tolto e nulla ha aggiunto alla motivazione sul rigetto dell’appello. Pertanto, a sua volta, questo primo motivo nulla toglie e nulla aggiunge alle altre censure e il ricorrente non ha interesse a proporlo.
Con il secondo motivo si denuncia, con riferimento all’art. 360, comma 1, n° 4, c.p.c. e «in relazione all’art. 115 c.p.c.», la nullità della sentenza e del procedimento», sul presupposto che la decisione della controversia sia stata
pronunciata «sulla scorta dello statuto della RAGIONE_SOCIALE, non allegato dalle parti agli atti di causa».
Il terzo motivo è così rubricato: «art. 360, n. 3, c.p.c. -violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L.R. n. 8 del 2005 -La ‘nozione di ente strumentale’ contemplata nell’art. 7 L.R. n. 8 del 2005».
Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione e falsa applicazione dell’art. 7, commi 4 e 8, della L.R. n. 8 del 2005», ed è volto ad affermare, «il diritto del lavoratore a percepire la c.d. ‘indennità aggiuntiva’ nel caso di instaurazione di un rapporto di lavoro».
Il quin to motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., violazione dell’art. 1460 c.c.», supponendo «l’irrilevanza della qualificazione quale ente strumentale della RAGIONE_SOCIALE per insussistenza di alcuna corrispettività tra le prestazioni».
Il sesto motivo, anch’esso proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., denuncia «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1460 c.c.», evidenziando «la mancata richiesta di risoluzione del contratto da parte della Regione Calabria».
Infine, il settimo motivo censura il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., di nuovo per la «violazione e falsa applicazione dell’art. 7 , comma 8, della L.R. n. 8 del 2005, in relazione all’art. 40 della L.R. Calabria n. 10 del 1997 e all’art. 11 -ter d.lgs. n. 118 del 2011», con riguardo alla «qualificazione della RAGIONE_SOCIALE come società mista e non come ente strumentale».
Il ricorso nel suo complesso è infondato, intendendosi qui dare continuità -con le dovute integrazioni di motivazione,
per dare compiuta risposta agli argomenti spesi nel ricorso -all’orientamento già espresso in due precedenti riguardanti la medesima vicenda degli incentivi all’esodo pretesi dai dipendenti della Regione Calabria che vennero assunti dalla partecipata RAGIONE_SOCIALE subito dopo avere concluso il «contratto di risoluzione consensuale» del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 7 della legge regionale n. 8 del 2005 (Cass. nn. 14322/2016 e 14147/2018).
Detto della inammissibilità del primo motivo, i sei residui motivi di ricorso possono essere divisi in due gruppi.
8.1. I motivi 2, 3, 4 e 7 sono volti a contestare la qualificazione di RAGIONE_SOCIALE come ente strumentale della Regione Calabria, qualificazione che ha indotto la Corte d’Appello a ritenere violato, da parte del ricorrente, il «divieto assoluto di instaurare rapporti professionali, a qualunque titolo, con la Regione e con gli Enti strumentali da essa dipendenti per i cinque anni successivi alla cessazione del servizio».
8.1.1. Il motivo n. 2 paventa l’utilizzazione al fine di decidere, da parte della Corte territoriale, di materiale probatorio non introdotto nel processo dalle parti, con riguardo allo statuto della società RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è infondato, perché la sentenza impugnata, pur menzionando lo statuto della società, in particolare dando atto che era stato esaminato in altra sentenza pronunciata della medesima Corte territoriale in altra causa originata dalla medesima vicenda, motiva la propria valutazione sulla natura di ente strumentale di RAGIONE_SOCIALE sulla scorta dell’esame di fatti del tutto pacifici, anche nel presente processo, o comunque
notori, abbinato al l’analisi de l contenuto di disposizioni normative.
Non sussiste, pertanto, la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c.
8.1.2. Il terzo e il settimo motivo devono essere valutati congiuntamente, in quanto entrambi volti a censurare l’asserita violazione dell’art. 7 della legge regionale n. 8 del 2005, laddove la sentenza impugnata ha interpretato la nozione di «ente strumentale» rilevante ai fini del «divieto assoluto» imposto al ricorrente di instaurare qualsiasi rapporto professionale con quegli enti.
Su tale fondamentale aspetto i citati precedenti di questa Corte non sono utili, in quanto la relativa questione è stata in entrambi i casi dichiarata inammissibile per mancanza di sufficiente specificità del motivo di impugnazione. È quindi proprio questa l’occasione per affermare che, come ritenuto correttamente dalla Corte d’Appello di Catanzaro, RAGIONE_SOCIALE deve essere qualificata «ente strumentale» della Regione Calabria, ai sensi e per gli effetti di cui al citato art. 7.
Innanzitutto, in senso contrario, non possono essere considerate decisive né la forma privatistica dell’ente (società per azioni), né la partecipazione non totalitaria -ma comunque maggioritaria della Regione al capitale della società. Infatti, il concetto di «ente strumentale» della Regione (o degli altri enti locali) non esclude che la forma dell’ente possa essere quella privatistica delle società di capitali; inoltre, piuttosto che la partecipazione totalitaria al capitale, è rilevante il dato normativo che la partecipazione deve essere necessariamente a maggioranza assoluta (come accade nella specie), il che vuol dire che alla Regione viene garantito il pieno (e inalienabile) governo della società, potendo essa esprimere gli organi di
amministrazione e di controllo già sulla base delle comuni norme di diritto societario, senza nemmeno bisogno di una disciplina ad hoc che attribuisca al socio pubblico poteri speciali.
Ma ancor più importante è il dato, assolutamente pacifico e risultante da norme di diritto, relativo ai compiti affidati dalla a RAGIONE_SOCIALE dalla Giunta regionale che, in forza di legge, la costituì e ne approvò lo statuto (v. art. 40, comma 1, della legge regionale Calabria n. 10 del 1997). La società è sorta per «garantire su tutto il territorio regionale un equilibrio del bilancio idrico e la priorità negli usi», per gestire «tutte le opere idriche … di captazione, accumulo, potabilizzazione ed adduzione, trasferite alla Regione ai sensi dell ‘ art. 6 della legge 2 maggio 1976, n. 183, … nonché le ulteriori opere idriche di integrazione e completamento coerenti con la programmazione avviata dall ‘ ex Casmez» e per realizzare e gestire le «ulteriori opere idriche di integrazione e le necessarie riconversioni» (artt. 40, comma 2, e 38, comma 1, lett. b , della legge regionale Calabria n. 10 del 1997).
Si tratta, all’evidenza, di un servizio pubblico essenziale e da svolgere in regime di monopolio, non certo sul libero mercato e in concorrenza con le imprese commerciali. Per lo svolgimento di tale servizio, una legge speciale ha previsto la costituzione di un apposito soggetto di diritto che, al di là della forma privatistica, rimane strettamente e necessariamente vincolato al suo rapporto con la pubblica amministrazione.
Per delineare i connotati degli «enti strumentali», nell’ambito della legislazione nazionale, utili indicazioni possono essere tratte dal d.lgs. n. 118 del 2011 («Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42»), che infatti è
invocato anche da parte ricorrente, quantunque entrato in vigore successivamente alla legge regionale la cui interpretazione rileva nel presente processo.
Ebbene, l’art. 11 -ter del d.lgs. n. 118 del 2011 (Enti strumentali), nel dare la definizione degli enti strumentali delle regioni e degli enti locali, distingue gli «enti strumentali controllati» dagli «enti strumentali partecipati», stabilendo che può essere «ente strumentale controllato di una regione o di un ente locale l’azienda o l’ente, pubblico o privato nei cui confronti la regione o l’ente locale ha una delle condizioni» ivi previste, la prima delle quali è «il possesso, diretto o indiretto, della maggioranza dei voti esercitabili nell’ente o nell’azienda», mentre «si definisce ente strumentale partecipato da una regione o da un ente locale di cui all’art. 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, l’azienda o l’ente, pubblico o privato, nel quale la regione o l’ente locale ha una partecipazione», anche se in assenza delle condizioni previste per gli enti strumentali controllati. Con ciò resta escluso sia che abbia rilevanza la forma privatistica di società per azioni di RAGIONE_SOCIALE potendo essere ente strumentale anche un ente privato, sia che costituisca un impedimento al riconoscimento di RAGIONE_SOCIALE quale ente strumentale il fatto che la Regione Calabria non aveva, all’epoca dei fatti, una partecipazione totalitaria nella società, avendo comunque la maggioranza assoluta del capitale (e dovendola mantenere per espressa previsione di legge). Addirittura, nel caso dell’«ente strumentale partecipato», il rapporto di strumentalità con l’ente pubblico si può ravvisare anche per enti privati in cui la partecipazione della pubblica amministrazione non è nemmeno maggioritaria (comma 2).
Non ha quindi alcuna sostanza l’affermazione di parte ricorrente secondo cui «RAGIONE_SOCIALE non è ente strumentale, ma società mista» (pag. 30 del ricorso), perché una cosa non esclude l’altra: una società mista può ben essere un ente strumentale.
Piuttosto è decisivo che l’«ente strumentale» sia deputato all’esercizio di un servizio pubblico rientrante nelle ampie tipologie menzionate nel successivo comma 3 dell’art. 11 -ter , tra i quali i «servizi istituzionali, generali e di gestione» e quelli relativi a «sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell’ambiente ». La realizzazione e la gestione delle opere e delle risorse idriche di un certo ambito territoriale costituiscono appunto un servizio pubblico essenziale, la cui gestione, secondo principi di efficienza ed economicità, deve essere svolta, o quantomeno direttamente controllata, dagli enti pubblici o dai loro enti strumentali (v. gli artt. 141 e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006, e, prima di allora, la legge n. 36 del 1994, contenente «Disposizioni in materia di risorse idriche»).
La legislazione nazionale in materia di contabilità delle regioni e degli enti locali fornisce dunque una definizione di «enti strumentali» ampia e perfettamente coerente con l’ipotesi che in tale categoria debba rientrare anche RAGIONE_SOCIALE, società costituita per legge dalla Regione Calabria per lo svolgimento di un servizio pubblico essenziale e di cui la Regione deve detenere la maggioranza del capitale.
È tuttavia il caso di aggiungere che, ai sensi del citato decreto legislativo n. 118 del 2011, anche le «società controllate» (art. 11 -quater ) e le «società partecipate» (art. 11 -quinquies ), a prescindere che siano o meno «enti strumentali» (ai sensi dell’art. 11 -ter ), vanno inserite nel bilancio consolidato dell’ente pubblico (art. 11 -bis ), il che significa che anche le loro
vicende patrimoniali ed economiche sono rilevanti ai fini della corretta rappresentazione contabile della situazione della finanza pubblica.
Ma, allora, poiché non è in discussione che la ratio legis dello stretto collegamento posto dalla norma di legge regionale tra l’incentivo all’esodo e il divieto di instaurare rapporti professionali con gli enti strumentali della Regione Calabria (e non solo con la Regione stessa) è l’intento di evitare che il cos to del personale dipendente -nonostante la risoluzione del rapporto di pubblico impiego e il pagamento degli onerosi incentivi -continui indirettamente a gravare sulla spesa pubblica (allargata alla partecipazione e alla gestione di tali enti), ne consegue che la nozione di «ente strumentale» utilizzata nella legge regionale deve essere intesa in conformità con quella delineata ai fini della rilevanza dell’ente nell’ambito della contabilità della Regione.
In definitiva, la legge della Regione Calabria n. 8 del 2005, laddove usa la nozione di «ente strumentale», deve essere interpretata in modo perlomeno coerente con la nozione desumibile dalla legislazione nazionale, eventualmente in senso più ampio, ma non certo in senso più restrittivo, come pretenderebbe parte ricorrente, in stridente contrasto con il fine (risparmio di spesa pubblica) che il legislatore regionale si era prefisso.
8.1.4. Il quarto motivo è inammissibile.
Il ricorrente ipotizza che la Corte d’Appello abbia inteso affermare un ‘ulteriore autonoma ratio decidendi del rigetto della domanda, legata all o scopo dell’«indennità aggiuntiva» di colmare il deficit di contribuzione del lavoratore nel periodo tra la risoluzione del rapporto di lavoro con l’amministrazione regionale e il raggiungimento dell’età pensionabile.
Ma, poiché, come afferma lo stesso ricorrente, l’avere affermato la natura di ente strumentale di RAGIONE_SOCIALE è «di per sé sufficiente a comportare il rigetto delle domande», l’impugnazione di tale, ipotizzata, ulteriore ratio decidendi è inammissibile per carenza di interesse.
8.2. Il quinto e il sesto motivo pongono una diversa questione. Secondo il ricorrente, anche ammettendo che egli avesse violato il divieto di instaurare un rapporto di lavoro con un ente strumentale della Regione, quest’ultima non avrebbe potuto eccepire l’inadempimento di quell’o bbligo per negare il pagamento dell’indennità aggiuntiva, in quanto non ci sarebbe un rapporto sinallagmatico tra le due obbligazioni e, in ogni caso, l’eccezione di inadempimento non potrebbe mai comportare un definitivo rifiuto di adempiere, ma soltanto un rifiuto temporaneo e strumentale ad una domanda di adempimento o di risoluzione che, nel caso di specie, la Regione non ha proposto.
Anche questi motivi sono infondati.
8.2.1. Infatti, da un lato, si deve ribadire quanto già affermato nella citata sentenza n. 14322/2016, ovverosia che « L’apprezzamento della sussistenza nella fattispecie di un inadempimento suscettibile di legittimare il rifiuto della controprestazione attiene ad una non sindacabile valutazione di fatto, alla quale la sentenza ha fornito una sufficiente e logica motivazione, coerente con la ratio della norma che prevedeva l’erogazione dell’incentivo all’esodo ».
Dall’altro lato, si deve aggiungere che, con l’instaurazione del rapporto con RAGIONE_SOCIALE, il lavoratore non si è soltanto reso inadempiente all’obbligazione negativa esplicitamente indicata nel contratto di risoluzione consensuale, ma, prima ancora, ha violato un preciso obbligo di legge, posto che l’art.
7, comma 8, della legge regionale n. 8 del 2005 sancisce che «Ai soggetti che si sono avvalsi del beneficio di cui al presente articolo è fatto divieto assoluto di instaurare rapporti professionali, a qualunque titolo, con la Regione e con gli Enti strumentali da essa dipendenti per i cinque anni successivi alla cessazione del servizio». È proprio il ricorrente a rilevare che, nel contratto di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, il divieto di instaurare rapporti con la Regione o con i suoi enti strumentali è formulato nei termini di una mera presa d’atto e non di una volontà di assumere un’obbligazione («… dichiara altresì di essere a conoscenza che non potrà instaurare con l’Amministrazione Regionale e con gli Enti strumentali da essa dipendenti , incarichi professionali a qualunque titolo …»). Ma tale formula, lungi dall’escludere una stretta relazione tra il diritto all’indennità aggiuntiva e il divieto di instaurare rapporti, sottolinea che quest’ultimo origina dalla stessa legge, prima ancora di essere sancito e ribadito nel contratto.
In altri termini, al divieto posto a carico del lavoratore corrisponde, in capo alla Regione, tanto il diritto contrattuale di rifiutare il pagamento dell’indennità, opponendo l’eccezione di inadempimento, quanto un obbligo legale di non versare al lavoratore un incentivo che verrebbe percepito in violazione di legge.
8.2.2. Con ciò perde rilevanza anche la questione, sollevata in particolare con il quinto motivo, della ritenuta impossibilità di utilizzare l’eccezione inadimpleti non est adimplendum per paralizzare definitivamente la domanda di adempimento della controprestazione, invece che per sospenderla in via provvisoria e in funzione accessoria rispetto a una principale domanda di risoluzione o di adempimento del contratto. La questione è, comunque, di per sé infondata,
perché l’art. 1460 c.c. richiede soltanto, quale presupposto dell’eccezione, che si tratti di «contratti con prestazioni corrispettive», non anche che l’eccezione sia necessariamente abbinata e funzionale a una domanda di adempimento o di risoluzione del contratto da cui originano gli obblighi con «prestazioni corrispettive». Il contratto può produrre effetti ulteriori, rispetto alle contrapposte obbligazioni considerate nell’eccezione, che le parti (e, in particolare, la parte che solleva l’eccezione di in adempimento) possono avere interesse a conservare, il che non esclude che restino definitivamente non dovute le prestazioni con riferimento alle quali non viene adempiuta (e non può essere più adempiuta) la controprestazione. Nel caso di specie, l’effetto risolutivo del rapporto di pubblico impiego con la Regione Calabria è stato voluto dalle parti e nessuna di loro ha inteso rimetterlo in discussione. Si tratta di un effetto che prescinde sia dall’obbligo di pagare l’indennità sostitutiva sia dal divieto d i instaurare nuovi rapporti con la Regione o i suoi enti strumentali e che non intacca la corrispettività tra queste prestazioni.
Respinto il ricorso, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
10 . Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002..
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, al rimborso delle spese generali nella misura del 15%
e agli accessori di legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 20.12.2023.