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Ente Strumentale: No Incentivo se violi il divieto

La Corte di Cassazione ha stabilito che un ex dipendente pubblico perde il diritto all’incentivo all’esodo se, dopo la risoluzione consensuale, accetta un lavoro presso un ente strumentale dell’amministrazione. Nel caso specifico, una società per azioni a maggioranza pubblica, che gestisce un servizio pubblico essenziale, è stata qualificata come ente strumentale, rendendo legittimo il mancato pagamento del beneficio a seguito della violazione del divieto quinquennale di collaborazione.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Ente Strumentale e Incentivo all’Esodo: Quando Perdi il Diritto al Beneficio

Accettare un incentivo all’esodo da un’amministrazione pubblica può sembrare una soluzione vantaggiosa, ma è fondamentale prestare attenzione a tutte le clausole, specialmente quelle che pongono divieti per il futuro. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto cruciale: se si viola il divieto di collaborare con l’ente pubblico o con un suo ente strumentale, si perde il diritto al beneficio economico. La vicenda analizza la natura di una società a partecipazione pubblica e la sua qualificazione come ente strumentale, con conseguenze dirette per l’ex dipendente.

I Fatti: L’accordo di buonuscita e la nuova assunzione

Un dipendente di un’amministrazione regionale aveva concordato una risoluzione consensuale del proprio rapporto di lavoro a tempo indeterminato, aderendo a un piano di incentivi all’esodo previsto da una legge regionale. L’accordo prevedeva, oltre al pagamento di una ‘indennità aggiuntiva’, un divieto assoluto per il lavoratore di instaurare, per i successivi cinque anni, qualsiasi tipo di rapporto professionale con la Regione stessa o con gli enti strumentali da essa dipendenti.

Poco dopo aver lasciato l’impiego pubblico, il lavoratore veniva assunto a tempo indeterminato da una società per azioni, il cui capitale era detenuto in maggioranza dalla medesima Regione. Questa società era stata costituita per gestire il servizio idrico regionale. Di conseguenza, l’amministrazione regionale si rifiutava di pagare l’incentivo pattuito, sostenendo che il lavoratore avesse violato il divieto contrattuale e di legge, essendo la società di gestione idrica un ente strumentale regionale.

La Decisione dei Giudici: la nozione di ente strumentale

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione all’amministrazione pubblica. I giudici di merito hanno ritenuto che la società in questione, nonostante la sua forma giuridica di diritto privato (S.p.A.), dovesse essere classificata come un ente strumentale della Regione. La violazione del divieto è stata quindi considerata un inadempimento grave, tale da giustificare il mancato pagamento dell’incentivo.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando le decisioni dei gradi precedenti e fornendo importanti chiarimenti sulla definizione di ente strumentale.

L’Interpretazione estensiva di ‘Ente Strumentale’

La Corte ha stabilito che per qualificare una società come ente strumentale non sono determinanti né la forma giuridica privata né il fatto che la partecipazione pubblica non sia totalitaria. Ciò che conta è il legame funzionale con l’ente pubblico. Nel caso di specie, la società era stata creata per legge regionale per svolgere un servizio pubblico essenziale (la gestione delle risorse idriche) in regime di monopolio. La Regione, detenendo la maggioranza assoluta del capitale, ne garantiva il pieno governo. Questi elementi sono sufficienti per affermare la sua natura strumentale, ovvero di ‘braccio operativo’ dell’ente pubblico.

La Ratio Legis: Evitare l’aggiramento della spesa pubblica

Il ragionamento della Corte si è concentrato anche sulla ratio legis della norma regionale che prevedeva l’incentivo. Lo scopo era quello di ridurre la spesa pubblica per il personale, non di spostarla semplicemente da un bilancio a un altro. Permettere a un ex dipendente incentivato di essere riassunto da una società controllata dalla stessa amministrazione vanificherebbe questo obiettivo, poiché il costo del personale continuerebbe a gravare, seppur indirettamente, sulle finanze pubbliche.

La Legittimità del Rifiuto di Pagamento

Infine, la Cassazione ha confermato che la violazione del divieto di collaborazione costituisce un inadempimento che legittima l’amministrazione a rifiutare il pagamento dell’incentivo, applicando il principio dell’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.). Il diritto all’incentivo e il dovere di astenersi da nuovi rapporti erano legati da un nesso di corrispettività. Venendo meno uno dei due, l’altro non è più dovuto.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un monito importante per tutti i lavoratori del settore pubblico che valutano piani di esodo incentivato. La nozione di ente strumentale è ampia e va interpretata in senso sostanziale, non formale. Prima di accettare un nuovo incarico, è essenziale verificare non solo la forma giuridica del potenziale datore di lavoro, ma anche la sua relazione funzionale ed economica con l’amministrazione da cui si proviene. La violazione di un patto di non concorrenza o di non collaborazione può comportare la perdita totale dei benefici economici pattuiti, rendendo l’uscita incentivata molto meno vantaggiosa di quanto inizialmente previsto.

Una società per azioni a maggioranza pubblica può essere considerata un ente strumentale?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la forma giuridica privatistica (es. S.p.A.) e la partecipazione non totalitaria ma maggioritaria da parte di un ente pubblico non escludono la qualificazione di ente strumentale. Sono decisivi il legame funzionale, lo scopo di perseguire finalità pubbliche e il controllo esercitato dall’ente pubblico.

Cosa succede se un ex dipendente pubblico, dopo aver accettato un incentivo all’esodo, viola il divieto di instaurare nuovi rapporti con l’ente o i suoi enti strumentali?
Perde il diritto a percepire l’incentivo. La violazione del divieto, imposto sia dalla legge che dal contratto di risoluzione consensuale, costituisce un inadempimento che permette all’amministrazione pubblica di rifiutare legittimamente il pagamento della controprestazione economica.

È necessario che l’ente pubblico chieda la risoluzione del contratto per rifiutarsi di pagare l’incentivo?
No. L’amministrazione può legittimamente rifiutare il pagamento opponendo l’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.), senza dover prima avviare un’azione per la risoluzione dell’intero accordo. Il rifiuto di pagare è una forma di autotutela contrattuale a fronte dell’inadempimento della controparte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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