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Ente Strumentale: la Cassazione e il divieto di reimpiego

Un ex dipendente di una Pubblica Amministrazione accetta un incentivo all’esodo, che impone un divieto di cinque anni di lavorare per l’ente o per un suo “ente strumentale”. Successivamente, viene assunto da una società a maggioranza pubblica controllata dall’Amministrazione. La Corte di Cassazione conferma che tale società è un ente strumentale, legittimando il mancato pagamento dell’incentivo a causa della violazione del divieto da parte del lavoratore.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Incentivo all’esodo e Divieto di Reimpiego: quando una Società è un Ente Strumentale?

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale nel diritto del lavoro pubblico: la definizione di ente strumentale e le conseguenze per i dipendenti che accettano un esodo incentivato. La decisione chiarisce che la sostanza prevale sulla forma, e un lavoratore che viola il divieto di reimpiego, anche presso una società di diritto privato controllata dall’ente pubblico, perde il diritto all’incentivo economico.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un ex dipendente di un’amministrazione regionale che aveva aderito a un piano di esodo anticipato. L’accordo, basato su una legge regionale, prevedeva la corresponsione di un’indennità a fronte della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Tuttavia, la stessa legge imponeva un divieto assoluto per il dipendente di instaurare, per i cinque anni successivi, qualsiasi rapporto di lavoro o professionale con la Regione o con gli enti strumentali da essa dipendenti.

Poco dopo aver lasciato l’amministrazione, il lavoratore veniva assunto da una società per azioni (S.p.A.) incaricata della gestione del servizio idrico regionale e a maggioranza partecipata dalla stessa Regione. Di conseguenza, l’amministrazione si rifiutava di pagare l’indennità pattuita, sostenendo che il lavoratore avesse violato il divieto di reimpiego.

Il caso è approdato in tribunale, con esiti opposti nei primi due gradi di giudizio. Il Tribunale ha dato ragione al lavoratore, negando la natura di ente strumentale alla società. La Corte d’Appello, invece, ha ribaltato la decisione, qualificando la società come ente strumentale e legittimando il rifiuto della Regione.

La Questione Giuridica: la nozione di Ente Strumentale

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione del concetto di ente strumentale. Il ricorrente sosteneva che una società di capitali, soggetta alle norme del diritto privato, non potesse essere considerata tale. La Regione, al contrario, puntava sulla funzione svolta dalla società e sul controllo pubblico esercitato su di essa. La Corte di Cassazione è stata quindi chiamata a definire i contorni di questa nozione per stabilire se il comportamento del lavoratore costituisse una violazione dell’accordo.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la sentenza della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno stabilito che, ai fini del divieto di reimpiego, la qualifica di ente strumentale non dipende dalla forma giuridica (pubblica o privata), ma dal legame funzionale e di controllo che lega l’ente alla pubblica amministrazione.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su diverse argomentazioni:

1. Irrilevanza della Forma Giuridica: La Cassazione ha chiarito che né la forma di società per azioni né la partecipazione non totalitaria della Regione sono elementi decisivi per escludere la natura di ente strumentale. Ciò che conta è il controllo effettivo. Nel caso di specie, la Regione deteneva la maggioranza assoluta del capitale, garantendosi il pieno governo della società.

2. Funzione e Scopo dell’Ente: La società era stata costituita per legge dalla stessa Regione per svolgere un servizio pubblico essenziale (la gestione delle risorse idriche) in un regime di monopolio. Questo la lega indissolubilmente agli scopi istituzionali dell’amministrazione, rendendola uno strumento per il perseguimento di fini pubblici.

3. La Ratio Legis: La Corte ha sottolineato lo scopo della norma sull’esodo incentivato: il risparmio della spesa pubblica. Permettere a un dipendente di ricevere un incentivo per poi essere assunto da un’entità controllata dalla stessa amministrazione vanificherebbe questo obiettivo. Il costo del personale, infatti, continuerebbe a gravare, seppur indirettamente, sulle finanze pubbliche.

4. Legittimità del Rifiuto di Pagamento: La violazione del divieto di reimpiego, che è un obbligo di legge prima ancora che contrattuale, ha impedito il sorgere del diritto all’indennità. Di conseguenza, il rifiuto della Regione di erogare la somma è stato ritenuto legittimo come eccezione di inadempimento, poiché la controprestazione del lavoratore (l’astensione dal reimpiego) è venuta a mancare.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante principio guida: nella valutazione di un ente strumentale, la sostanza prevale sulla forma. Il controllo pubblico e la funzione di perseguimento di interessi collettivi sono gli elementi chiave, a prescindere dalla veste giuridica dell’organismo. Per i lavoratori pubblici che considerano l’esodo incentivato, questa sentenza rappresenta un monito fondamentale: è necessario verificare con estrema attenzione non solo l’assenza di rapporti diretti con l’ex datore di lavoro, ma anche con tutta la galassia di società ed enti che, pur apparendo formalmente autonomi, sono di fatto il braccio operativo dell’amministrazione pubblica. La violazione di questo obbligo può comportare la perdita totale del beneficio economico pattuito.

Una società per azioni (S.p.A.) a partecipazione pubblica maggioritaria può essere considerata un ‘ente strumentale’?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la forma giuridica privata non è decisiva. Se l’ente pubblico detiene il controllo (come la maggioranza del capitale) e la società svolge un servizio pubblico essenziale per conto dell’ente stesso, essa va qualificata come ente strumentale.

Cosa succede se un ex dipendente pubblico, dopo aver accettato un esodo incentivato, viola il divieto di lavorare per un ente strumentale?
Perde il diritto a percepire l’indennità prevista dall’accordo di esodo. La violazione dell’obbligo di non instaurare nuovi rapporti lavorativi con l’amministrazione o i suoi enti strumentali costituisce un inadempimento che legittima l’ente pubblico a rifiutare il pagamento.

Perché la Corte ha dato più peso alla funzione dell’ente che alla sua forma giuridica privata?
Perché lo scopo (la ratio legis) della norma sull’esodo incentivato è il contenimento della spesa pubblica. Se un dipendente uscisse dalla porta principale per rientrare attraverso una società controllata, il costo per le finanze pubbliche rimarrebbe sostanzialmente invariato, vanificando l’obiettivo del legislatore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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