Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5634 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5634 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1412-2023 proposto da:
CONSORZIO RAGIONE_SOCIALE, in persona del Commissario Straordinario e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 770/2022 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 28/07/2022 R.G.N. 158/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 1412/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 03/12/2024
CC
RILEVATO CHE
Il Tribunale di Agrigento con sentenza n.926/2013, sul presupposto della nullità dei termini apposti ai contratti di somministrazione, di collaborazione e a tempo determinato intercorsi con il Consorzio RAGIONE_SOCIALE nell’arco temporale ottobre 2002/dicembre 2011, ha dichiarato l’esistenza di un rapporto a tempo indeterminato tra le parti, condannando il datore di lavoro al pagamento di un’indennità onnicomprensiva pari a n.10 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, ai sensi dell’ar t. 32 della legge n. 183/2010.
La Corte d’ Appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale di Agrigento, con sentenza n. 532 del 2015 ha respinto tutte le domande proposte nei confronti del Consorzio, ritenendo che alla vicenda contrattuale dovesse applicarsi l’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, poiché lo stesso decreto legislativo inserisce fra le amministrazioni pubbliche i consorzi costituiti dagli enti territoriali e dalle comunità montane, in quanto enti strumentali per l’esercizio in forma associata dei servizi pubblici, escludendo anche la fondatezza della domanda risarcitoria perché il ricorrente non aveva allegato e provato il pregiudizio sofferto in ragione della condotta datoriale.
Questa Corte di cassazione, con sentenza n. 34559 del 2021 ha accolto il ricorso e cassato con rinvio alla Corte di Appello di Palermo affinchè svolgesse un nuovo accertamento sulla natura dell’ente, valutando, sulla base dell’atto costitutivo e dello statuto, se l’attività gestita dal Consorzio avesse carattere imprenditoriale e fosse improntata a criteri di economicità, e -in tal caso- verificando le ulteriori condizioni che la legislazione regionale vigente ratione temporis ha richiesto per la valida instaurazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con gli enti pubblici, economici e non economici,
sottoposti al controllo, tutela e vigilanza della Regione o degli enti locali territoriali.
La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza n. 770/2022, ha confermato la decisione del Tribunale di Agrigento, che aveva dichiarato l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dalla pronuncia del Tribunale del 27 marzo 2013. La Corte ha qualificato il Consorzio come ente pubblico economico, confermando altresì la condanna all’indennità risarcitoria .
Per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso il Consorzio RAGIONE_SOCIALE, articolato in due motivi; resiste con controricorso il sig. NOME COGNOME entrambe le parti hanno depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., il Consorzio lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 2, della L. n. 196/1997, l’art. 86, comma 9, della L. n. 276/2003, l’art. 36, comma 5, e l’ar t. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, gli artt. 22 e 25 della L. n. 142/1990, la L.R. n. 15/2004, l’art. 97 Cost., l’art. 1 della L. n. 241/1990, nonché gli artt. 113, 115 e 116 c.p.c.
Si duole altresì della falsa applicazione dello Statuto del Consorzio RAGIONE_SOCIALE, lamentando l’errata qualificazione del Consorzio come ente pubblico economico anziché non economico, nonché l’errata valutazione delle prove. Denuncia tali carenze anche ex art. 360, n. 5, c.p.c., quali omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
In particolare evidenzia che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, i consorzi tra comuni sono qualificabili come pubbliche amministrazioni, poiché la norma include
esplicitamente tra le amministrazioni pubbliche i consorzi di enti locali, come quello in esame, il cui statuto e atto costitutivo indicano chiaramente che si tratta di un ente privo di finalità di lucro. Conseguentemente, secondo il ricorrente, trova applicazione il divieto di trasformazione dei rapporti di lavoro a termine in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, sancito dall’art. 36, comma 5, del medesimo decreto legislativo.
Nella prospettazione del ricorrente le disposizioni dello Statuto corroborano questa qualificazione, indicando che il pareggio di bilancio è garantito dai contributi dei comuni consorziati (art. 5), che il personale è regolato con modalità analoghe a quelle degli enti locali siciliani (artt. 14 e 15), e che l’Ente è sottoposto alle norme regionali sulla tesoreria unica (art. 22).
La Corte territoriale, nella sentenza impugnata, avrebbe erroneamente ritenuto che la gestione di un servizio idrico integrato, in quanto di rilevanza economica, sarebbe sufficiente a qualificare il Consorzio come ente pubblico economico. Ciò, secondo il ricorrente, sarebbe in contrasto con l’art. 25, comma 7-bis, della L. n. 142/1 990, secondo cui ‘ai consorzi che gestiscono attività aventi rilevanza economica e imprenditoriale si applicano le norme previste per le aziende speciali’, mentre ‘ag li altri consorzi si applicano le norme dettate per gli enti locali’. Il Consorzio in esame, non svolgendo alcuna attività imprenditoriale, rientrerebbe nella seconda categoria.
Con il secondo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., il Consorzio denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (segnatamente dell’art. 11, comma 2, della L. n. 196/1997, dell’art. 86, comma 9, della L. n. 276/2003, dell’art. 36, comma 5, del D.Lgs. n. 165/2001, degli artt. 22 e 25 della L. n. 142/1990 e successive modifiche, della L.R. n. 18/1999, dell’art. 1 della L.R. n. 12/1991, della L.R. n. 15/2004 e successive modifiche, dell’art. 97 Cost., degli artt.
113, 115, 116 e 132 del codice di procedura civile), la manifesta contraddittorietà e illogicità della motivazione della sentenza impugnata nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.
La Corte di Appello di Palermo, con la sentenza impugnata, avrebbe erroneamente ritenuto che la questione relativa alla legittimità delle clausole di durata apposte nei contratti di somministrazione fosse ormai coperta da giudicato, impedendo così una rinnovata valutazione della loro legittimità nella fase di rinvio.
Ed infatti, nella prospettazione del ricorrente, l’indagine sulla natura del Consorzio e sulla legittimità dei contratti sarebbe inscindibile dal giudizio sulla legittimità dei contratti, risultando oggetto della cognizione della sentenza impugnata.
Il consorzio si duole, nel motivo in esame, che in ogni caso la sentenza impugnata si basa su un’errata lettura delle norme di riferimento, in particolare dell’art. 36, comma 5, del D.Lgs. n. 165/2001, che stabilisce che la violazione di disposizioni imperative in materia di assunzione o impiego di lavoratori nelle pubbliche amministrazioni non può determinare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, tanto che, essendo il Consorzio una pubblica amministrazione, la conversione del rapporto di lavoro sarebbe in ogni caso preclusa.
Avrebbe altresì violato, la pronuncia impugnata, le norme in materia di impugnazione dei contratti a termine, omettendo di considerare come secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 30134/2018), l’impugnazione dell’ultimo contratto a termine non si estende automaticamente ai contratti precedenti, con la conseguenza che tutti i termini di impugnazione di cui alla L. n. 183/2010 e al D.Lgs. n. 81/2015 risultavano scaduti Avrebbe ancora errato, la corte di merito, omettendo l’ esame di un fatto decisivo per il giudizio, giacchè il sig. COGNOME dal 1°
luglio 2008 al 30 giugno 2009, non aveva svolto alcuna attività lavorativa per il Consorzio e non aveva sottoscritto alcun contratto a tempo determinato.
La corte territoriale non avrebbe adeguatamente considerato l’obbligo concorsuale reintrodotto dalla normativa regionale del 2004 (L.R. n. 15/2004) anche per le qualifiche più basse, che vincola anche gli enti pubblici economici al rispetto della procedura concorsuale per tutte le assunzioni, indipendentemente dalla qualifica ed al rispetto dei limiti imposti alla trasformazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato.
La corte avrebbe dunque errato non applicando tale norma, vigente al momento della proposizione del giudizio, in luogo delle disposizioni previgenti (L.R. n. 18/1999 e L.R. n. 12/1991), che consentivano deroghe all’obbligo concorsuale per qualifiche per cui era richiesto un titolo di studio non superiore alla scuola dell’obbligo.
7.- Il ricorso, che cumula nei motivi deduzioni di violazione di legge e vizi di omesso esame di fatti decisivi in maniera promiscua, è in parte inammissibile e in parte infondato. Inammissibili, in particolare, sono le censure proposte per il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., che non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. «doppia conforme» (v., tra molte, Cass. n. 23021 del 2014; Cass. n. 30646 del 2019); in tale ipotesi, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 5528 del 2014).
7.1. Il primo motivo di ricorso, proposto per violazione di legge e omesso esame di molteplici atti normativi e statutari che
avrebbero dovuto condurre, nella prospettazione del ricorrente, ad affermare la natura pubblica del soggetto in esame, è infondato.
Ed infatti, la censura proposta, pur lamentando vizi di violazione di norme di legge sostanziale o processuale, deduce, in sostanza l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce del materiale processuale, hanno operato i giudici di merito, risultando infondata in questa sede di legittimità, contrapponendo una diversa interpretazione delle emergenze processuali.
La corte d’Appello, muovendosi nel perimetro tracciato dalla sentenza di rinvio, ha compiuto una puntuale analisi dello statuto del Consorzio e della sua attività, rilevando elementi caratteristici degli enti pubblici economici, quali l’autonomia gestionale e patrimoniale, e ha evidenziato che il Consorzio non è sottoposto ai poteri di controllo tipici degli enti pubblici non economici.
Questa corte (Cass. 34559/2021), in particolare, aveva censurato la prima sentenza poiché aveva escluso la natura di ente pubblico economico a prescindere dall’esame dell’atto costitutivo e dello statuto sul presupposto che la qualificazione fosse stata già operata dal legislatore (avendo ritenuto sufficiente, per affermare l’applicabilità del d.lgs. n. 165/2001, il richiamo all’art. 1 dello stesso decreto nonché agli artt. 22 e 25 della legge n. 142/19909) e che fosse, altresì, sufficiente valorizzare la qualità degli enti associati nonché il carattere strumentale dell’attività svolta in forma consortile.
Correttamente la sentenza di rinvio sulla base dell’analisi dello statuto ha sottolineato, quanto alla gestione imprenditoriale, come l’attività del Consorzio, pur diretta a un servizio pubblico, è improntata a criteri di efficienza, produttività ed economicità, evidenziando in particolare, come la destinazione degli utili al reinvestimento, al miglioramento degli impianti e
all’abbattimento delle tariffe non esclude la natura economica, bensì conferma l’organizzazione imprenditoriale (pag. 5 della sentenza impugnata).
La qualificazione è conforme alla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 23368/2022, n. 36447/2022), che ha riconosciuto come i consorzi di tal genere, pur svolgendo un servizio pubblico, operino secondo criteri di efficienza, produttività ed economicità
7.2. Il secondo motivo è inammissibile.
In particolare, quanto alla questione della invalidità dei singoli contratti a termine che, secondo il ricorrente, la corte avrebbe erroneamente considerato coperta dal giudicato, deve essere rilevato il difetto di autosufficienza del motivo, dedotto non r iportando l’atto di appello nella sua interezza, come osservato dal controricorrente che, peraltro vi provvede.
Del resto questa corte ha più volte evidenziato come, ai fini del rispetto dell’onere di specificazione dei motivi di ricorso, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso (SS.UU. Cass. n. 34469 del 2019, sulla scorta di Cass. SS.UU. n. 7701 del 2016).
In ogni caso la Corte d’Appello ha adeguatamente valutato la normativa regionale applicabile e ha correttamente escluso la rilevanza della L.R. n. 15/2004 rispetto al caso in esame, osservando che ‘la sequenza contrattuale di cui è stato parte il Fazio è iniziata nel 2002 e già il termine apposto al primo contratto era illegittimo, secondo la statuizione di primo grado ormai assistita dal giudicato, sicchè è applicabile ratione temporis la l. r. n. 18/99 che, modificando l’art. 1 l. r. n. 12/91, per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il titolo di studio
non superiore alla scuola dell’obbligo consentiva instaurazione del rapporto senza procedura concorsuale.’
Il motivo in esame, a fronte di tali considerazioni, basate sulla corretta ricostruzione della vicenda processuale, per un verso non corrobora le proprie allegazioni in maniera corretta, per altro verso contrappone una diversa ricostruzione della vicenda rispetto a quella proposta e argomentata dalla corte quanto al regime applicabile.
Il ricorso deve essere pertanto respinto.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 3 dicembre 2024
La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME