Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27055 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27055 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8824/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME
-intimati-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 228/2022 depositata il 14/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9/9/2024 dal Presidente NOME COGNOME
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Mantova NOME COGNOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo il risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, in termini di perdita del fatturato e di danno all’immagine e reputazione, che, quale società operante nel settore alimentare, aveva subito a causa della costante adulterazione del latte che aveva acquistato e successivamente commercializzato, adulterazione posta in opera dai convenuti con il concorso di NOME COGNOME, dipendente dell’ufficio acquisti della società attrice. Espose inoltre che in primo grado era intervenuta sentenza di condanna degli imputati per associazione a delinquere e frode in commercio, con riconoscimento di provvisionale corrisposta da NOME COGNOME, e che in sede di appello era stata dichiarata l’estinzione dei reati per prescrizione con conferma delle statuizioni civili (decisione cui aveva fatto seguito l’inammissibilità del rico rso per cassazione). Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 4.316.876,71, oltre rivalutazione e interessi, a titolo di danno patrimoniale ed al pagamento della somma di Euro 1.000.000,00, a ll’attualità, a titolo di danno non patrimoniale. Avverso detta sentenza proposero distinti appelli, poi riuniti, NOME COGNOME e NOME COGNOME da una parte, e NOME COGNOME dall’altra. Con sentenza di data 14 febbraio 2022 la Corte d’appello di COGNOME rigettò gli appelli.
Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che, stante il giudicato di accoglimento della domanda della parte civile con la condanna generica al risarcimento del danno, era precluso al giudice civile l’indagine sull’ an , dovendo solo accertare l’esistenza di conseguenze pregiudizievoli ai sensi dell’art. 1223 c.c. e che, sulla base del quadro probatorio, ed in particolare la scarsa vigilanza esercitata dalla società attrice sul latte in entrata, non vi era stato un ruolo causale rilevante della cr editrice ai sensi dell’art. 1227 c.c., poiché, anche qualora i controlli fossero stati più incisivi, essa non sarebbe mai riuscita ad avvedersi dell’adulterazione del latte per via della sostituzione dei campioni e la falsificazione dei documenti relativi alla tracciabilità del prodotto, operati da NOME COGNOME. Aggiunse che le censure mosse da NOME COGNOME con riferimento al riconoscimento e quantificazione del danno patrimoniale erano «inammissibili perché formulate in modo del tutto generico e privo di qualsiasi correlazione con le argomentazioni della pronuncia impugnata». Osservò ancora che del pari inammissibili erano le censure sollevate nell’altro appello, dovendosi comunque ritenere corretto il metodo seguito dal CTU e che, come rilevato da ques t’ultimo in risposta alle osservazioni del consulente dei COGNOME, le osservazioni del consulente di parte erano del tutto irrilevanti, dovendosi guardare al mancato conseguimento di ricavi nel breve periodo e non alle oscillazioni di lungo periodo.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di tre motivi. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ..
Considerato che:
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 652 cod. proc. pen., 578 cod. proc. civ., 2043 e 2049 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che alla sentenza di non doversi procedere per estinzione del
reato a seguito di prescrizione non può essere riconosciuta efficacia vincolante nel giudizio civile risarcitorio.
Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c.. Al riguardo è sufficiente richiamare i seguenti arresti della giurisprudenza di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità con riferimento alla presente fattispecie di estinzione del reato per prescrizione, dichiarata in sede di appello con conferma della condanna generica al risarcimento del danno in favore della parte civile.
Qualora, in sede penale, sia stata pronunciata in primo o in secondo grado la condanna, anche generica, alle restituzioni e al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile, e la Corte di cassazione, nell’annullare senza rinvio la pronuncia per essere il reato estinto per prescrizione, tenga “ferme le statuizioni civili, attesa la sentenza di condanna in primo grado e l’assenza di impugnazione sul punto”, una tale decisione dà luogo alla formazione del giudicato sulla statuizione resa dal giudice penale, a norma dell’art. 578 c.p.p., sulla domanda civile portata nella sede penale, come tale vincolante in ogni altro giudizio tra le stesse parti in cui si verta sulle conseguenze, anche diverse dalle restituzioni o dal risarcimento, derivanti dal fatto (Cass. n. 11467/2020). La sentenza del giudice penale che, nel dichiarare estinto per amnistia il reato, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine all’affermata responsabilità dell’imputato che, pur prosciolto dal reato, non può più contestare in sede civile i presupposti per l’affermazione della sua responsabilità, quali, in particolare, l’accertamento della sussistenza del fatto reato e l’insussistenza di esimenti ad esso riferibili, nonché la “declaratoria iuris” di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ma può contestare soltanto l’esistenza e l’entità in concreto di un pregiudizio risarcibile (Cass. n. 2083 del 2013).
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2049 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che il giudice di merito ha omesso l’accertamento del nesso di causalit à fra il fatto potenzialmente dannoso e le conseguenze pregiudizievoli, reputando che per l’esistenza del giudicato di condanna tali conseguenze dovevano ritenersi implicite nell’accertamento. Aggiunge che il latte pervenuto a RAGIONE_SOCIALE era sempre conforme ai parametri normativi ed agli accordi contrattuali e che il giudice del merito non ha svolto alcuna valutazione circa l’omessa previsione di controlli o verifiche da parte dell’acquirente ai fini dell’esclusione o limitazione del danno.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043 e 2049 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello, procedendo alla quantificazione del danno mediante un metodo induttivo per brevi periodi di ricavi potenziali, non ha considerato i fattori endogeni del mercato in grado di influenzare il fatturato e che il CTU, a causa della lacunosità della documentazione, ha operato delle semplificazioni. Aggiunge che non sono state oggetto di esame tutte le dinamiche aziendali che possono avere influenzato la variazione del fatturato.
Il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente, sono inammissibili. Il secondo motivo attiene al riconoscimento del nesso di causalità giuridica fra l’evento dannoso ed il danno che ne sarebbe conseguito. Il terzo motivo riguarda invece la quantificazione del danno conseguenza.
Al riguardo la corte territoriale ha affermato che le censure mosse da NOME COGNOME con riferimento al riconoscimento e quantificazione del danno patrimoniale sono «inammissibili perché formulate in modo del tutto generico e privo di qualsiasi correlazione con le argomentazioni della pronuncia impugnata». L’appello, sia sull’ an che
sul quantum del danno conseguenza è stato quindi ritenuto inammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c. per difetto di specificità. La statuizione di inammissibilità non è stata impugnata, da cui il difetto di decisività delle censure sollevate.
E’ appena il caso di aggiungere che quanto si afferma nel secondo motivo circa la mancanza di uno specifico accertamento del danno conseguenza e la mancata valutazione del contegno del creditore è del tutto estraneo alla ratio decidendi , avendo la corte territoriale premesso la necessità dell’accertamento del danno conseguenza da parte del giudice civile e valutato, sotto il profilo dell’art. 1227 c.c., il comportamento della creditrice danneggiata.
Nulla per le spese del giudizio di cassazione, in mancanza di partecipazione delle parti intimate.
Poiché il ricorso viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P. Q. M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso .
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il giorno 9 settembre 2024
Il Presidente AVV_NOTAIO NOME COGNOME