Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22968 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22968 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 4015/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, INDIRIZZO
-ricorrente-
CONTRO
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE NAPOLI 1 CENTRO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al controricorso dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME.
-controricorrente-
ricorrente incidentale-
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 5314/2023, depositata il 15/12/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/4/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con ricorso ex art. 702bis c.p.c. la società RAGIONE_SOCIALE chiedeva al Tribunale di Napoli di condannare la Asl Napoli 1 Centro, in adempimento del contratto, al pagamento del corrispettivo di euro 14.487,15, per le prestazioni sanitarie rientranti nella branca della diagnostica per immagini da essa rese dal 23/10/2013 al 29/10/ 2013, come da fattura n. 4 E del 29/1/2018, oltre agli interessi «previsti dall’art. 7 del predetto contratto».
Si costituiva in giudizio la Asl eccependo che l’importo si riferiva a prestazioni rese dopo la data del 23/10/2013, nella quale era stato superato il tetto di spesa fissato per l’anno 2013 per le prestazioni rientranti nella branca della diagnostica per immagini e che «quello degli interessi previsti dal contratto non era dovuto in mancanza di una sua costituzione in mora».
Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 17/10/2022, accoglieva integralmente la domanda della Vega, osservando che «era onere dell’Asl fornire la prova di quanto da essa eccepito». Aggiungeva che il pagamento era relativo a prestazioni «rese in epoca anteriore al 29 ottobre 2013; quest’ultima «era la data che la Asl aveva previsto come quella in cui il tetto di spesa della branca sarebbe stato superato, come dalla stessa comunicato alla Vega il 9 ottobre 2023», sicché trovava applicazione l’art. 5, comma 3, lettera a), del contratto stipulato tra le parti, «che non consentiva alla prima di non
pagarle alla seconda, ma solo di applicare la cd. regressione tariffaria, e, di conseguenza, imponeva alla prima di produrre in giudizio il provvedimento conclusivo del relativo procedimento amministrativo, il che non era avvenuto».
Avverso tale ordinanza proponeva appello la Asl rilevando che il Tribunale avrebbe errato: 1) nel non considerare il rispetto del tetto di spesa «uno degli elementi costitutivi del diritto di credito azionato nella specie dalla Vega»; 2) nel non considerare comunque che le prestazioni sanitarie erano state rese «dopo la data del 23 ottobre 2013 nella quale era poi risultato che il tetto di spesa della branca della diagnostica per immagini era stato superato» e prima della data in cui il contratto volto a regolare i suoi rapporti con tale società per l’anno 2013 era stato stipulato (sicché le clausole ivi contenute, tra cui quelle di cui all’art. 5, non potevano essere applicate); 3) nel riconoscere alla società ricorrente il diritto di aggiungere all’importo del credito vantato quello dei relativi interessi «al tasso fissato dal D.Leg.vo 231/02, richiamando l’art. 7 del contratto». Ad avviso dell’appellante il d.lgs. n. 231 del 2002 non era applicabile ai rapporti tra le Aziende sanitarie locali e i titolari delle strutture sanitarie accreditate. Il contratto era stato stipulato «solo alla fine dell’anno 2013 e in sua assenza non essere in alcun modo considerata in mora nei confronti della controparte nel pagamento del corrispettivo delle prestazioni sanitarie da questa rese». Tra l’altro, per l’appellante Asl, l’art. 7 del contratto stabiliva che il pagamento alla società degli eventuali interessi moratori sarebbe avvenuto «solo in seguito all’emissione da parte della medesima società di un’apposita fattura, e non risultava nella specie essere mai stata emessa».
5. La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n. 5314/2023, depositata il 15/12/2023, in parziale accoglimento dell’appello pro-
posto dalla Asl, in parziale riforma dell’ordinanza appellata, rigettava la domanda della Vega volta ad ottenere la condanna della Asl a pagare gli interessi moratori maturati, ai sensi dell’art. 7 del contratto concluso tra le parti 23 dicembre 2013.
5.1. In particolare, la Corte territoriale respingeva i primi due motivi dell’appello; da un lato, infatti, il tetto di spesa costituiva un fatto «che l’esigibilità, se non addirittura l’insorgenza, del credito e che, dunque, doveva «essere provato da chi l’eccepisce»; dall’altro, gli accordi contrattuali stipulati ai sensi dell’art. 8quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, tra le Aziende sanitarie locali e i titolari di strutture sanitarie private accreditate avevano «efficacia retroattiva, sempreché, ovviamente, in tal senso vada interpretata la volontà delle parti, come non par dubbio che debba farsi nel caso dell’accordo contrattuale stipulato il 23 dicembre 2013 tra la Asl e la RAGIONE_SOCIALE».
Nel contratto, infatti, si leggeva che lo stesso era stato stipulato proprio «per regolare per l’esercizio 2013 i volumi e le tipologie delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale ed i correlati limiti di spesa», in conformità con quanto previsto, in relazione alla branca della radiodiagnostica, dal decreto del commissario ad acta per la prosecuzione del piano di rientro dei debiti del settore sanitario della Regione Campania n. 88 del 24 luglio 2013.
Pertanto, la Asl, sottoscrivendo il contratto del 29/12/2013, aveva accettato anche l’art. 5, sotto la rubrica «criteri di remunerazione delle prestazioni», al punto contraddistinto dalla lettera a) del suo terzo comma.
Si prevedeva, infatti, che qualora l’esaurimento del limite di spesa si fosse verificato a consuntivo prima della data prevista nella ultima comunicazione dell’Asl, a tutte le prestazioni di quella Asl/ branca erogate dall’inizio dell’anno fino alla suddetta data prevista di
esaurimento delle limite di spesa, si sarebbe applicata la regressione tariffaria di cui all’allegato C) alla DGRC n. 1268/08, in modo da far rientrare la spesa nei limiti prefissati; mentre nulla sarebbe stato erogato, né a titolo di compenso, né a titolo di indennizzo di risarcimento, per le prestazioni rese oltre la data prevista di esaurimento delle limite di spesa.
Non si poteva allora escludere semplicemente la remunerazione a carico della Asl, per le prestazioni sanitarie rese dopo la data del superamento del tetto di spesa relativo alla branca della radiodiagnostica, ma era necessario seguire un procedimento più articolato.
Ove, dunque, a consuntivo, fosse risultato che il limite di spesa era stato raggiunto «prima della data prevista dall’Asl e da questa comunicato alla Vega, «il titolare della struttura sanitaria privata accreditata non avrebbe perso il diritto alla remunerazione delle prestazioni da lui erogate prima della stessa data ma dopo quella in cui il limite di spesa era stato raggiunto, bensì era esposto al rischio di subire la riduzione dei corrispettivi di tutte le prestazioni da lui erogate dall’inizio del 2013 fino alla data in cui il limite di spesa era stato effettivamente raggiunto».
In tal modo, si sarebbe dovuto applicare, a tutte le prestazioni di quella Asl/branca erogate dall’inizio dell’anno fino alla suddetta data prevista di esaurimento del limite di spesa, la regressione tariffaria unica, cioè «sulla base del contributo di ciascun Centro privato (accreditato o provvisoriamente accreditato) al superamento del tetto di spesa assegnato dalla Regione a ciascuna Azienda Sanitaria Locale».
La Asl avrebbe dovuto fornire la prova che «per effetto dell’applicazione della regressione tariffaria, quel pagamento non era dovuto o lo era solo in parte; il che non è avvenuto».
Nella specie, infatti, «il corrispettivo in questione si riferiva alle prestazioni sanitarie erogate dalla Vega ad assistiti dal SSN prima della data che, secondo quanto dall’Asl previsto e comunicata a detta società, era stata individuata come quella in cui il predetto limite sarebbe stato raggiunto».
6. Era fondato, invece, il terzo motivo dell’appello dell’Asl, nella parte in cui aveva censurato la propria condanna da parte del Tribunale a pagare alla Vega gli interessi sensi dell’art. 7 del contratto stipulato tra le parti, poiché pronunciata sebbene la creditrice non avesse messo la relativa fattura cui lo stesso articolo subordinava, in sostanza, tale pagamento.
Il motivo era inammissibile nella parte in cui la Asl sosteneva che il Tribunale avesse errato nel riconoscere gli interessi di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, richiamando l’art. 7 del contratto, reputando che tali disposizioni non erano applicabili nei rapporti tra il concessionario e la pubblica amministrazione concedente un pubblico servizio.
Tale credito della Vega, in realtà, non rinveniva il suo fondamento nella disciplina di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, ma «nell’art. 7 del contratto stipulato tra le parti il 23 dicembre 2013, il cui sesto comma fa riferimento alla ‘misura del tasso di riferimento di cui agli articoli 2 e 5’ di detto decreto solo al fine di individuare la base di calcolo del ben maggiore interesse degli ‘interessi di mora’ ivi ‘convenzionalmente stabiliti’».
L’eventuale inapplicabilità del d.lgs. n. 231 del 2002 al rapporto tra la Asl e la Vega non avrebbe privato quindi tale credito del suo fondamento.
Tra l’altro – aggiungeva la Corte d’appello – per la giurisprudenza di legittimità il d.lgs. n. 231 del 2002 era «applicabile anche ai rapporti derivanti o assimilabili a quelli derivanti dalla concessione di un pubblico servizio».
Neppure rilevava che il contratto fosse stato stipulato tra le parti soltanto il 23/12/2013. Tale negozio giuridico aveva infatti efficacia retroattiva a partire dal 1° gennaio 2013, e comunque gli interessi in questione erano maturati dopo la sua conclusione.
Chiariva però la Corte territoriale che, ai sensi dell’art. 7 del contratto stipulato tra le parti, si prevedeva che il pagamento da parte dell’Asl degli interessi moratori sarebbe avvenuto «a seguito dell’emissione da parte del creditore di apposita e regolare fattura». Pertanto, «fino a quando non sarà emessa la suddetta apposita e regolare fattura, la Asl potrà presumere la rinuncia della struttura privata agli interessi moratori, alle spese ed all’indennizzo di cui all’art. 6 del d.lgs. 231/2002».
Pertanto, si subordinava l’esigibilità del credito avente ad oggetto il pagamento degli interessi moratori spettanti alla Vega all’emissione da parte di quest’ultima di un’apposita e regolare fattura «che detta società non ha nemmeno asserito di avere emesso».
La doglianza sollevata dall’Asl, «facendo leva su tale previsione contrattuale deve pertanto essere ritenuta fondata».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso principale per cassazione la RAGIONE_SOCIALE depositando anche memoria scritta
Ha resistito con controricorso, proponendo anche ricorso incidentale, l’Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 Centro.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione principale la Vega deduce la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, primo comma, numeri 3 e 4, c.p.c.) con riferimento all’art. 345 c.p.c., per non avere la CdA ravvisato come l’eccezione formulata dalla Asl nel giudizio di appello (ed accolta a parziale riforma dell’ordinanza impugnata, costituisse domanda nuova (in quanto proposta per la
prima volta a mezzo dell’atto di citazione in appello) ed in quanto tale inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c.. Inammissibilità, oltretutto, rilevabile d’ufficio».
Per la ricorrente principale, dunque, la Corte d’appello aveva erroneamente attribuito rilevanza ad un’argomentazione «a valenza di eccezione», riportata in giudizio dalla Asl appellante «per la prima volta in atto di gravame, e quindi in evidente violazione dell’art. 345 c.p.c.».
Ciò al fine di ritenere non spettanti gli interessi del credito azionato dal centro Vega.
Per la ricorrente principale, infatti, «solo a mezzo dell’atto di citazione in appello la ASL Napoli 1 Centro rilevava, nell’ambito del motivo ivi rubricato sotto il titolo ‘sugli interessi’, come da specifica pretesa validata dal Tribunale in primo grado non fosse ammissibile in quanto l’art. 7 del contratto ex art. 8-quinquies d.lgs. n. 502/92 stabiliva che il pagamento di interessi moratori sarebbe potuto avvenire solo a ‘seguito della emissione da parte del creditore di apposita e regolare fattura’, che non risultava essere stata emessa dal centro appellato».
Diversamente, nella comparsa di costituzione e risposta depositata in data 11/12/2018 nel giudizio dinanzi al Tribunale, la Asl aveva testualmente chiesto di non pagare gli interessi richiesti nella misura in cui «per i debiti in esame occorre una costituzione in mora e che questa non è costituita dall’invio delle distinte contabili».
Pertanto, mentre nel giudizio di prime cure la contestazione della Asl atteneva alla «mera data di decorrenza degli interessi maturati», nel giudizio d’appello la contestazione era, in ordine agli interessi, «assoluta e radicale», afferendo alla generale inesigibilità degli stessi, «stante il mancato verificarsi, in tesi, di specifica clausola ‘ac-
cessoria (a valenza di condizione sospensiva) di cui al regolamento contrattuale».
Con il secondo motivo di impugnazione principale si deduce la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, primo comma, numeri 3 e 4, c.p.c.) con riferimento all’art. 101 c.p.c., per avere la CdA, nell’eventualità, giudicato sulla base di questione rilevata d’ufficio senza integrare, con riferimento al precipuo punto, il contraddittorio tra le parti».
Nell’ipotesi in cui si dovesse valutare il precedente motivo di gravame infondato, riconoscendo alla Corte d’appello un potere di valutazione ufficioso del tema, tuttavia vi sarebbe stata violazione dello art. 101 c.p.c.
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente principale lamenta la «violazione dell’art. 132, primo comma, n. 4, c.p.c. e 111 Costituzione, sesto comma, in relazione all’art. 360, primo comma, numeri 3) e 4) c.p.c., per essere la sentenza impugnata basata su di un presupposto del tutto irrealizzabile (la fatturazione di un importo in corso di determinazione), che ne ha falsato in termini di logica consequenzialità i percorsi valutativi conseguenti. Così da determinare una motivazione meramente apparente, ovvero del tutto perplessa/incomprensibile».
Il processo argomentativo sarebbe viziato in radice, in quanto la Corte d’appello muoverebbe da un presupposto fattuale del tutto improponibile.
Per la ricorrente principale, infatti, non vi sarebbe possibilità alcuna «di contabilizzare, ai fini della rendicontazione fiscale di cui alla fatturazione, un importo non consolidato».
Vi sarebbe stata, allora, una falsata interpretazione del dettato contrattuale.
La specifica disposizione contrattuale doveva essere riferita, non al caso in cui gli interessi venissero richiesti quale accessorio di un residuo in pagato, ma, esclusivamente, «allorquando risultassero essi stessi voce principale di domanda».
La «diversa interpretazione» della disposizione, oltre che obbligata dagli esiti, discenderebbe dalla più ampia lettura dell’art. 7 del contratto.
L’interpretazione fornita dalla Corte d’appello sarebbe in violazione o falsa applicazione di plurime norme di legge (art. 2 Costituzione; art. 111 Costituzione; art. 1175 c.c.; art. 1181 c.c.; art. 1375 c.c.; art. 88 c.p.c.).
4. Con il quarto motivo di impugnazione si deduce la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.), con riferimento agli articoli 1354, 1359, 1367 e 1419 c.c., art. 15 d.p.r. n. 633/72. Per aver la sentenza impugnata ricondotto efficacia dirimente a condizione sospensiva impossibile. Ovvero divenuta irrealizzabile a causa del mancato pagamento della sorte capitale dovuta ad opera della Asl (e quindi da ritenersi avverata): sotto il precipuo aspetto la sentenza della CdA risulta illegittima nella misura in cui ha ritenuto operante ed efficace un elemento contrattuale accidentale (una condizione sospensiva) evidentemente impossibile. In irriducibile contrasto con il disposto normativo di cui all’art. 1354 c.c.».
Non sarebbe prospettabile alcuna legittima attività di contabilizzazione ai fini fiscali, in presenza di una ragione di credito che si incrementa nel tempo.
Al contrario, «in una logica di conservazione del contratto (art. 1367 c.c.)», la marginalità dell’aspetto non avrebbe potuto determinare le conseguenze «di nullità generale di cui all’art. 1354 c.c.».
L’attività di fatturazione «se è stata omessa in quanto impedita dall’altrui inadempimento della residua sorte» dovrebbe essere riconosciuta.
Con il quinto motivo di impugnazione principale la ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) con riferimento all’art. 7 d.lgs. n. 231/02».
Deve muoversi dal principio per cui trova applicazione la disciplina di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, il cui art. 7 dispone che le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero, sono nulle quando risultano gravemente inique in danno del creditore, trovando applicazione gli art. 1339 e 1419, 2º comma, c.c.
Ai sensi dell’art. 7 citato «si considera gravemente iniqua la prassi che esclude l’applicazione di interessi di mora. Non è ammessa prova contraria».
Per la ricorrente principale il subordinare convenzionalmente l’applicazione della disciplina di cui al d.lgs. 231/02 ad elementi accidentali riconducenti ad attività ‘impossibili’ da porre in essere, significherebbe in definitiva denegarlo nella effettività.
Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile.
6.1. Infatti, la ricorrente non riporta il contenuto della comparsa di costituzione dell’Asl, in modo da comprendere se la difesa sostenuta in prime cure sia diversa da quella fatta propria con l’atto d’appello.
Neppure viene trascritto, almeno nei suoi elementi essenziali, l’atto d’appello dell’Asl, al fine di individuare l’esatto contenuto dello stesso, con riferimento alla questione nuova che sarebbe stata sollevata solo in sede di gravame.
Il ricorso, dunque, pecca di specificità, non rispettando i canoni di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c.
6.2. Tra l’altro, nella sentenza della Corte d’appello si riporta, in qualche misura, il contenuto della comparsa di costituzione in prime cure dell’Asl, la quale risulta aver negato integralmente la debenza degli interessi («costituendosi tempestivamente in giudizio l’11 dicembre 2018, la Asl contestava la domanda della Vega eccependo che l’importo degli interessi previsti dal contratto non era dovuto in mancanza di una sua costituzione in mora».
Tale argomentazione risulta poi sviluppata nell’atto d’appello dell’Asl, pure riportato nella motivazione della sentenza di secondo grado, ove gli interessi sono negati in favore della società, in ragione dell’art. 7 del contratto stipulato tra le parti il 23/12/2013.
Si legge, infatti, nella motivazione della sentenza d’appello che il gravame dell’Asl censurava il riconoscimento degli interessi in favore della società «al tasso fissato dal d.lgs. 231/02, richiamando l’art. 7 del contratto».
Ad avviso dell’Asl, invece, nonostante l’inapplicabilità del d.lgs. n. 231 del 2002 ai rapporti tra le aziende sanitarie locali ed i titolari delle strutture sanitarie accreditate, e sebbene quel contratto fosse stato stipulato solo alla fine dell’anno 2013, l’art. 7 del contratto stabiliva «che il pagamento alla predetta società di eventuali interessi moratori sarebbe avvenuto solo in seguito all’emissione da parte della medesima società di un’apposita fattura, che non risultava nella specie essere mai stata emessa».
Pertanto, in sede di appello la Asl si è limitata a meglio specificare le ragioni per il mancato riconoscimento degli interessi: in primo luogo per l’inapplicabilità del d.lgs. n. 231 del 2002; in secondo luogo, in quanto il contratto relativo all’annualità del 2013 era stato sottoscritto solo a fine anno il 23/12/2013, non potendo avere effi-
cacia la clausola di cui all’art. 7 del contratto; in terzo luogo, comunque, in quanto l’art. 7 del contratto stabiliva che il pagamento da parte della Asl ad interessi moratori e spese sarebbe avvenuto solo «a seguito di emissione da parte del creditore di apposita e regolare fattura», ma la società non aveva mai emesso tale fattura «non risulta che l’attuale appellata abbia emesso apposita fattura per interessi per ritardato pagamento, non a caso non prodotta» (cfr. pagina 7 del controricorso).
7. Il secondo motivo è infondato.
Infatti, la Corte d’appello non ha deciso su una questione rilevata d’ufficio, ma esclusivamente sul motivo di appello articolato dalla Asl, in ordine alla mancata spettanza alla società degli interessi convenzionali di cui all’art. 7 del contratto stipulato il 23/12/2013.
Non si è trattato di questione rilevata d’ufficio, ma di semplice maggiore argomentazione da parte dell’Asl di una eccezione ritualmente sollevata nel giudizio di prime cure, in sede di comparsa di costituzione.
8. Il terzo motivo è inammissibile.
In realtà, da un lato, si rileva che la motivazione della sentenza della Corte d’appello è presente, non solo in senso grafico, ma anche nella indicazione delle argomentazioni logiche e giuridiche sottese alla decisione.
Dall’altro, deve evidenziarsi che la ricorrente principale propone una diversa interpretazione della clausola contrattuale, e segnatamente dell’art. 7 del contratto stipulato il 23/12/2013, a fronte di una interpretazione del tutto plausibile fornita dalla Corte d’appello, e senza indicazione specifica dei canoni di ermeneutica contrattuale che sarebbero stati erroneamente applicati, nonché di quelli che in luogo dei primi, dovevano essere utilizzati dalla Corte territoriale.
La Corte d’appello, infatti, in modo chiaro, ha ritenuto che il credito per interessi non si rinvenisse nella disciplina di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, ma nell’art. 7 del contratto stipulato il 23/12/2013, e segnatamente al comma 6, ove si faceva riferimento alla «misura del tasso di riferimento di cui agli articoli 2 e 5» del d.lgs. n. 231 del 2002.
Il d.lgs. n. 231 del 2002 era dunque richiamato dal contratto del 23/12/2013 «solo al fine di individuare la base di calcolo del ben maggiore tasso degli interessi di mora ivi convenzionalmente stabiliti».
La circostanza poi che il contratto fosse stato stipulato solo al termine dell’annualità 2013, in data 23/12/2013, consentiva comunque l’applicazione della clausola di cui all’art. 7 del contratto, che aveva efficacia retroattiva, ossia a partire dal 1° gennaio 2013.
Ha ulteriormente chiarito la Corte d’appello che comunque gli interessi avevano iniziato a maturare dopo la conclusione del contratto del 23/12/2013 «posto che il secondo comma del suo art. 7 prevedeva che il corrispettivo spettante alla Vega per le prestazioni sanitarie da questa erogate ad assistiti dal SSN nel mese di ottobre del 2013 avrebbe dovuto essere dall’altra pagato, per il 90%, a titolo di acconto, entro 90 giorni dalla fine di quel mese e, per la parte residua, entro il 30 aprile dell’anno successivo o, in casi particolari, addirittura più tardi».
Tuttavia, gli interessi erano stati negati in base all’art. 7, comma 8, del contratto il 23/12/2013, che prevedeva il pagamento degli stessi solo «a seguito dell’emissione da parte del creditore di apposita e regolare fattura».
Tanto che, fino a quando «non sarà emessa la suddetta apposita e regolare fattura, la Asl potrà presumere la rinuncia della struttura privata agli interessi moratori».
Tale fattura non era stata mai emessa.
Il quarto motivo è inammissibile.
Anche in questo caso si propone una diversa valutazione ed interpretazione della clausola contrattuale, in difformità dall’interpretazione resa dalla Corte d’appello sulla stessa, non in modo implausibile; senza che peraltro la ricorrente principale indichi con precisione gli elementi di interpretazione contrattuale che sarebbero stati disattesi dalla Corte d’appello.
Si fa solo riferimento in modo del tutto generico ad una «logica di conservazione del contratto».
Il quinto motivo è inammissibile.
Si prospetta una diversa interpretazione della clausola contrattuale, senza però l’indicazione dei criteri di ermeneutica negoziale da applicare.
Tra l’altro, non si tratta di una condizione sospensiva impossibile, che renderebbe nullo il contratto, in quanto l’emissione della fattura è adempimento fiscale dovuto dal soggetto che effettua la prestazione, e quindi deve in ogni caso essere emessa dalla società che ha erogato la prestazione sanitaria.
11. Con il primo motivo di ricorso incidentale la Asl deduce la «nullità della sentenza impugnata per violazione degli articoli 112, 115, 116, 132, 2º comma, n. 4, c.p.c. e 118 disposizioni di attuazione c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., avendo la Corte di appello di Napoli omesso di pronunciarsi sull’eccezione dell’Asl Napoli 1 Centro, secondo cui sia la sorte capitale che gli accessori non erano dovuti in quanto il contratto tra le parti era stato sottoscritto solo a fine anno. Violazione e/o falsa applicazione del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, articoli 16 e 17, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Asl nell’atto di appello ha evidenziato che il contratto relativo all’annualità 2013 è stato sottoscritto soltanto il 23/12/2013 e che, quindi, in assenza di contratto, non poteva configurarsi alcun ritardo nei pagamenti. La Asl aveva anche sottolineato che «nulla avrebbe mai potuto legittimamente pagare la Asl a favore dell’attuale appellata in assenza di contratto».
La Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi su tale specifica eccezione, non considerando che il contratto stipulato da un’amministrazione pubblica deve essere redatto, a pena di nullità, in forma scritta.
Del resto, il contratto, nella sua formula letterale, non lasciava desumere, neppure implicitamente, la sua efficacia retroattiva.
12. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si deduce la «nullità della sentenza impugnata per violazione degli articoli 115, 116, 132, 2º comma, n. 4, c.p.c. e 118 disposizioni di attuazione al c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., avendo la Corte di appello di Napoli, con motivazione illogica, contraddittoria ed erronea, ritenuto inammissibili e, comunque, infondati il primo e il secondo motivo di appello dell’Asl a Napoli 1 Centro. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. nonché degli articoli 8-quinquies, 8-sexies e 8-octies del d.lgs. n. 502/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
L’errore commesso dalla Corte d’appello consisterebbe nell’aver ritenuto che, al caso in esame, si applicasse la prima ipotesi del procedimento previsto dall’art. 5, comma 3, lettera) del contratto sottoscritto il 23/12/2013.
La regressione tariffaria si applicava soltanto nei casi in cui le prestazioni fossero state rese prima della data prevista nell’ultima comunicazione effettuata dalla Asl, quindi prima della data di esaurimento del limite di spesa, fissata al 23/10/2013.
In realtà, però, la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che le prestazioni erano state erogate nel periodo dal 23/10/ 2013 alle 29/10/2013, ma erano state fatturate «addirittura il 29 gennaio 2018», quindi «dopo la predetta data di esaurimento del limite di spesa», con la conseguenza che non era possibile applicare la regressione tariffaria, ma la Asl era tenuta solo a comunicare al centro lo sforamento, in base alla previsione per cui «mentre nulla spetterà agli erogatori, né a titolo di compenso, né a titolo di indennizzo o di risarcimento, per le prestazioni sanitarie rese oltre la data prevista di esaurimento del limite di spesa».
Le prestazioni peraltro erano state realizzate prima della sottoscrizione del contratto, avvenuta il 23/12/2013.
La Corte d’appello ha ritenuto non rispettato dall’Asl il procedimento di recupero delle somme fatturate in esubero, «per il solo fatto che l’Asl avrebbe adottato un procedimento diverso da quello previsto nel contratto stipulato tra le parti».
Ciò, fermo restando che la società «aveva l’onere di dimostrare di non aver superato i tetti di spesa e gli esiti del tavolo tecnico di composizione mista, necessari per la determinazione della regressione tariffaria unitaria».
13. Il terzo motivo di impugnazione incidentale si deduce la «nullità della sentenza impugnata per violazione degli articoli 115, 116, 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 118 disposizioni di attuazione c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., avendo la Corte di appello, con motivazione illogica, contraddittoria ed erronea, ritenuto inammissibile in parte il terzo motivo di appello dell’Asl. Violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. n. 231/2002 e ss.mm.ii., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte ha ritenuto parzialmente inammissibile il terzo motivo d’appello della Asl, laddove censurava la sentenza di prime cure per
aver riconosciuto alla società gli interessi al tasso fissato dal d.lgs. n. 231 del 2002, richiamando l’art. 7 del contratto.
Per la Corte d’appello, infatti, il d.lgs. n. 231 del 2002 non sarebbe applicabile, trattandosi di rapporti tra il concessionario e la pubblica amministrazione concedente di un pubblico servizio.
La Corte territoriale ha dunque osservato che il credito della società Vega derivava non dalla disciplina di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, ma dall’art. 7 del contratto stipulato tra le parti e 23/12/2013.
L’eventuale inapplicabilità del d.lgs. n. 231 del 2002 al rapporto tra la Asl e la Vega non priverebbe dunque tale credito del suo fondamento.
Pur avendo riconosciuto la Corte d’appello che la giurisprudenza di legittimità aveva più volte affermato che il d.lgs. n. 231 del 2002 era applicabile anche ai rapporti derivanti o assimilabili a quelli derivanti dalla concessione di un pubblico servizio come quello intercorrente tra la RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE
In realtà, ad avviso della ricorrente incidentale, non sussistono i presupposti per la concessione degli interessi in quanto «la sorte capitale non è dovuta per le anzidette ragioni».
Tra l’altro, gli interessi moratori sarebbero applicabili solo ai contratti conclusi dopo la data in vigore della normativa di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, mentre nella fattispecie in esame la fattura si riferiva a prestazioni «che sarebbero state rese dal 23 al 29 ottobre 2013 e, quindi, prima della sottoscrizione del contratto avvenuta il 23 dicembre 2013».
Inoltre, la remunerazione della prestazione sanitaria non poteva certo definirsi «transazione commerciale», rientrando nel novero della concessione di pubblico servizio.
14. Il primo motivo di ricorso incidentale è infondato.
Possono prospettarsi due diverse soluzioni alla questione della efficacia retroattiva di un contratto pubblico stipulato nei mesi successivi, rispetto all’annualità di riferimento, quando le prestazioni sanitarie sono state già rese.
14.1. Un primo orientamento opta per la assoluta necessità che il contratto pubblico sia stipulato all’inizio dell’anno, senza la possibilità di efficacia retroattiva del contratto stipulato successivamente, dopo l’effettuazione delle prestazioni sanitarie.
In tal caso, si propende per differenziare la dinamica della stipulazione del contratto pubblico, con quella, diversa, della determinazione dei tetti di spesa, che fisiologicamente vengono individuati solo in epoca successiva, a seguito della contrattazione tra le parti, in occasione dei tavoli tecnici organizzati per discutere del tema.
La tesi della necessaria stipula del contratto con la pubblica amministrazione, prima dell’inizio dell’esecuzione del negozio, e quindi in un momento anteriore all’effettuazione delle prestazioni, con conseguente nullità del contratto redatto successivamente, trova un appiglio giurisprudenziale, sia pure non recente.
Si è affermato, infatti, che sono esclusi dalla proroga legale sancita dall’art. 2 della legge 23 maggio 1950, n. 253, i contratti di locazione di immobili urbani, formalmente stipulati dopo il 1 marzo 1947, e non ha rilevanza il fatto che, trattandosi di locazione stipulata da un comune, la deliberazione del consiglio comunale – con la quale viene approvata la proposta di locazione – sia stata presa e comunicata al conduttore in data precedente, e che nell’atto formale di stipulazione sia stata indicata, come inizio della locazione, altra data precedente al 1° marzo 1947 (Cass., sez. 3, 9/7/1968, n. 2383).
15. Pare però preferibile la diversa tesi che propende per la possibilità della stipulazione di un contratto scritto anche in un momento
successivo (nella specie al termine dell’annualità), purché vi sia la previsione di effetti retroattivi dello stesso, sin dall’inizio dell’anno, con riferimento alle prestazioni già eseguite.
Si va dunque a valorizzare il procedimento di formazione della volontà contrattuale da parte della pubblica amministrazione che sfocia, solo da ultimo, nella stipulazione del contratto, che si colloca all’apice di tale procedimento.
In dottrina, anche con riferimento al nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36 del 2023, che ha coniato, nella sua prima parte, i principi generali in materia, si enfatizza la natura dei contratti con la pubblica amministrazione, intesa come «contratti imposti» dalla legge.
Pertanto, la procedura di scelta del contraente si caratterizza per la presenza di due procedimenti paralleli: da un lato un procedimento diretto alla formazione della volontà contrattuale, disciplinato, salvo specifiche deroghe, da norme di diritto privato; dall’altro, un procedimento amministrativo, retto da norme di diritto pubblico, attraverso il quale l’amministrazione rende note le ragioni di pubblico interesse per le quali intende concludere quel determinato contratto, nonché i motivi per i quali vuole scegliere una certa controparte.
Il procedimento pubblico, quindi, «doppia» la procedura negoziale ed è formato da provvedimenti amministrativi che garantiscono l’osservanza del pubblico interesse.
Ovviamente, l’autonomia negoziale «procedimentale» nell’ambito dei contratti pubblici si differenzia da quella prettamente contrattuale.
Vi è l’esigenza di rispettare il principio di legalità-indirizzo, per cui la PA ha l’obbligo di stipulare determinati contratti pubblici.
La PA deve poi seguire gli schemi formativi individuati da norme imperative di diritto pubblico, sicché alle parti non è consentito mo-
dificare tali schemi negoziali oppure prevederne nuovi e diversi, come accade tra privati.
Non è neppure consentita la stipulazione di contratti preparatori atipici.
Quanto poi all’autonomia negoziale «sostanziale», si è sottolineato che lo scopo da raggiungere è predeterminato dalla legge ed è rappresentato dall’esigenza di perseguire l’interesse pubblico per assicurare il risultato della realizzazione dell’intervento.
Il contenuto è quello risultante all’esito dello svolgimento della procedura di evidenza pubblica.
Del resto, l’art. 8 del d.lgs. n. 36 del 2023 (nuovo codice dei contratti pubblici), che si applica esclusivamente ai contratti di appalto di concessione, ex art. 13 del medesimo d.lgs. n. 36 del 2023, inserisce tra i principi generali quello di autonomia contrattuale, prevedendo che «nel perseguire le proprie finalità istituzionali le pubbliche amministrazioni sono dotate di autonomia contrattuale e possono concludere qualsiasi contratto, anche gratuito, salvi i divieti espressamente previsti dal codice e date disposizione di legge». Si è codificato a livello di diritto positivo un principio ormai costantemente ribadito a livello giurisprudenziale, in base alla quale la PA ha una generale e piena capacità negoziale, salvo i divieti previsti dalla legge (Cass., Sez. U., 12 maggio 2008, n. 11656).
Altro principio fondamentale è quello del «risultato», inserito all’art. 1 del d.lgs. n. 36 del 2023.
Per risultato si intende l’interesse pubblico primario che le stazioni appaltanti ed enti concedenti devono perseguire: la rapidità di affidamento della commessa e della sua conseguente esecuzione, coordinata con il migliore rapporto possibile tra qualità realizzativa e prezzo dovuto per la realizzazione».
L’art. 4 del d.lgs. n. 36 del 2023 stabilisce, poi, che «le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai principi di cui agli articoli 1, 2 e 3».
Diventa centrale il raggiungimento del risultato cui mira il contratto e, dunque, l’interesse pubblico finale che deve essere perseguito con la massima tempestività e garantendo il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo.
È necessario dunque perseguire l’obiettivo finale, evitando che dei formalismi procedimentali, comportando rallentamenti, possano produrre effetti pregiudizievoli sull’azione amministrativa.
Si ribalta la prospettiva di cui al d.lgs. n. 50 del 2016, che si basava sull’esigenza di assicurare il rispetto del principio di concorrenza.
Pertanto, trattandosi di contratti «imposti», che rappresentano il risultato finale di un complesso procedimento, a formazione progressiva, il contratto conclusivo non può che essere stipulato all’esito della procedura.
Ciò comporta che le prestazioni sanitarie siano rese ed eseguite ancor prima della stipulazione del contratto, che può avvenire successivamente (nella specie in prossimità del termine finale dell’annualità), ma con espressa previsione della retroattività degli effetti, in modo da coprire anche le prestazioni già rese.
Anche il sopraggiungere della individuazione dei tetti di spesa, in epoca successiva, all’esito dei tavoli tecnici, si conforma alla natura prettamente procedimentale dell’attività negoziale della PA. Viene tracciato così un parallelismo tra la determinazione dei tetti di spesa, che si attua solo a seguito dell’espletamento dei tavoli tecnici, e la stipulazione del contratto con la PA, che è frutto di un procedimento complesso, caratterizzato da vincoli imposti ex lege , anche in ordine alla sussistenza stessa del contratto.
18.1. Del resto, le parti non hanno alcuna possibilità di incidere sul contenuto contrattuale, che viene stabilito con l’atto amministrativo di approvazione dello schema contrattuale, sicché, effettivamente, la sottoscrizione del contratto diventa un mero requisito di completamento della fattispecie a formazione progressiva prevista legislatore, al fine di porre a carico dell’erario il corrispettivo delle prestazioni sanitarie erogate dei centri accreditati.
Per tale ragione, non si tratta di convalidare un contratto nullo, ma semplicemente di garantire che gli effetti del contratto stipulato successivamente (nella specie a fine anno) retroagiscano, ammantando di legittimità anche le prestazioni eseguite prima della stipulazione.
In tal senso, va richiamato il precedente di questa Corte (si trattava del contratto di locazione stipulato con il Ministero delle Finanze, quale conduttore), per cui non sussiste nell’ordinamento un divieto per le parti di un contratto di attribuire ad esso efficacia retroattiva in modo da regolamentare i rapporti di fatto tra loro esistenti. Pertanto, le parti che possono liberamente determinare il contenuto di un contratto tipico nei limiti imposti dalla legge (art. 1322 cod. civ.) possono attribuire efficacia retroattiva ad un contratto di locazione da loro stipulato disponendo che il rapporto derivante da detto contratto vada considerato iniziato da una data anteriore alla sua conclusione. Né tale possibilità di dare effetto retroattivo al contratto può ritenersi esclusa per essersi verificata la situazione illecita di mora prevista dall’art. 1591 cod. civ., non sussistendo nell’ordinamento il divieto per le parti di disciplinare contrattualmente gli effetti di un inadempimento e/o di considerare regolare una situazione di fatto non conforme a diritto (Cass., sez. 3, 7/12/2000, n. 15530).
Nella specie, dunque, non rileva che le prestazioni siano state eseguite nell’ottobre del 2013, mentre il contratto è stato stipulato solo in data 23/12/2013.
Tale contratto, infatti, ha valore retroattivo, andando ad ammantare di legittimità anche le prestazioni eseguite nel periodo in cui il contratto non era stata ancora stipulato.
Il secondo motivo di ricorso incidentale è anch’esso infondato.
22.1. La motivazione della sentenza della Corte d’appello è presente, non solo in senso grafico, ma anche nell’enunciazione delle argomentazioni logiche e giuridiche, sottese alla decisione adottata.
22.2. Non v’è stata poi alcuna violazione della normativa specifica di riferimento, di cui agli artt. 8quinquies , 8sexies e 8octies del d.lgs. n. 502 del 1992, e neppure degli artt. 5, comma 3, e 7, comma 2, del contratto relativo all’anno 2014 sottoscritto dalle parti 29/12/2014.
22.3. Neppure v’è stata violazione delle regole di riparto dell’onere della prova, in quanto, come si dirà in seguito, è onere della Asl dimostrare l’esistenza del fatto estintivo del credito vantato dalla società che effettua le prestazioni, e quindi del superamento dei limiti relativi al tetto di spesa fissati annualmente.
La questione orbita essenzialmente sull’individuazione del soggetto cui è attribuito l’onere di dimostrare il superamento dei tetti di spesa fissati dalla regione (Cass., sez. 1, 6/12/2024, n. 31364).
Deve dunque ribadirsi il principio per cui, in tema di pretese creditorie della struttura sanitaria provvisoriamente accreditata per le prestazioni erogate nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, il superamento della capacità operativa massima (C.O.M.) costituisce un fatto impeditivo della remunerazione delle prestazioni erogate dalla struttura privata, della cui prova è onerato il debitore. Il man-
cato superamento del tetto di spesa, fissato secondo le norme di legge e nei modi da esse previsti, non integra un fatto costitutivo, la cui prova deve essere posta a carico della struttura accreditata, ma rileva come fatto impeditivo il suo avvenuto superamento, con conseguente onere della prova a carico della parte debitrice (Cass., sez. 1, 2/03/2021, n. 5661; Cass., sez. 6-2, 16/4/2021, n. 10182, per cui grava sulla Asl la dimostrazione del fatto, non costitutivo del diritto dell’attore ma impeditivo dell’accoglimento della pretesa della struttura sanitaria accreditata, rappresentato dal superamento del tetto di spesa, nel qual caso non è possibile configurare alcun diritto della struttura accreditata ad ottenere il pagamento di prestazioni eseguite oltre tale limite; anche Cass., sez. 1, 13/2/2023, n. 4375; Cass., sez. 1, 27/9/2018, n. 23324; Cass., sez. 3, 6/7/2020, n. 13884; di recente Cass., sez. 1, 6/12/2024, n. 31364).
24. Si legge nella delibera n. 1268 del 2008 (vedi Cass., sez. 1, 6/12/2024, n. 31364) che «il tavolo permanente per il monitoraggio dell’attuazione delle delibere regionali in materia di tetti di spesa, istituito con DGRC n. 800/06, è stato incaricato dalla DGRC n. 517/ 07 – tra l’altro – di supportare il procedimento di determinazione, comunicazione e monitoraggio dei budget delle singole strutture erogatrici private, pervenendo al monitoraggio mensile delle prestazioni erogate, dei costi e delle regressioni tariffarie in corso di maturazione, in base alle linee definite nel Piano di Rientro dal Disavanzo».
Si chiarisce, al punto 14 del deliberato, che «i tetti di spesa ed il budget di costo stabiliti dalla presente delibera saranno monitorati almeno ogni tre mesi e potranno eventualmente essere rimodulati ogni anno, con successive delibere della Giunta regionale, in funzione dell’andamento dei costi del servizio sanitario regionale e del finanziamento statale per la sanità, nel rispetto di tutti gli obiettivi e di
tutte le condizioni stabilite nel Piano di Rientro dal Disavanzo approvato dalla DGRC n. 460/07».
Tuttavia, nella fattispecie in esame la disciplina contrattuale prevedeva specificamente l’ipotesi del superamento delle soglie, nel corso dell’annualità di riferimento.
La stessa ricorrente riporta, a pagine 18 e 19 del ricorso incidentale, l’art. 5, comma 3, lettera a) del contratto stipulato il 23/12/ 2013, in relazione all’anno 2013, con la previsione per cui «qualora l’esaurimento del limite di spesa si sia verificato a consuntivo prima della data prevista nell’ultima comunicazione effettuata dalla Asl nei mesi scorsi in base alla proiezione dei limiti di spesa dell’anno precedente, a tutte le prestazioni di quella Asl/branca erogate dall’inizio dell’anno fino alla suddetta data prevista di esaurimento del limite di spesa, si applicherà la regressione tariffaria di cui all’allegato C) alla DGRC n. 1268/08, in modo da far rientrare la spesa nei limiti prefissati».
La ricorrente incidentale riporta anche la seconda parte della lettera a) dell’art. 5, comma 3, del contratto del 23/12/2013, a mente della quale «nulla spetterà agli erogatori, né a titolo di compenso, né a titolo di indennizzo o di risarcimento, per le prestazioni sanitarie rese oltre la data prevista di esaurimento del limite di spesa».
Si riporta, a pagina 20 del ricorso incidentale, anche l’art. 7, comma 2, ultima parte, del contratto del 29/12/2014, ove si legge che «il pagamento di ciascun saldo potrà essere effettuato, oltre che in seguito al completamento dei controlli di regolarità delle prestazioni, previa emissione da parte della struttura privata delle note di credito richieste dalla Asl, sia con riguardo ad eventuali contestazioni delle prestazioni rese, sia per applicare la regressione tariffaria o l’abbattimento del fatturato riconoscibile ai sensi del comma 3 del precedente art. 5».
Pertanto, si distingue, nell’ambito contrattuale, l’applicazione della regressione tariffaria, relativa ll’ipotesi in cui le prestazioni siano state rese prima della data prevista, quale esaurimento del limite di spesa, dall’altra fattispecie, relativa alle prestazioni rese oltre la data prevista di esaurimento del limite di spesa.
Nella specie, in particolare, la data prevista per l’esaurimento del limite di spesa era quella del 29/10/2013, mentre le prestazioni sono state rese tra il 24/9/2013 ed il 29/10/2013.
Ciò significa che, se le prestazioni erano state rese prima del 29/10/2013, doveva applicarsi la regressione tariffaria unica, attraverso la riduzione del credito in percentuale. Ed è questa l’ipotesi in esame. Al contrario, ove le prestazioni fossero state rese oltre il 29/10/2013, era eliso del tutto il diritto alla prestazione.
26. Sul punto, la Corte d’appello, nella sentenza impugnata, ha chiarito che si rientrava nella prima di tali ipotesi, ossia di prestazioni rese prima della data prevista di esaurimento del limite di spesa, dovendosi dunque applicare il meccanismo di regressione tariffaria e non l’esclusione totale della prestazione.
Si chiarisce nella sentenza della Corte d’appello che si prevedeva il raggiungimento del tetto di spesa annuale della macro-area diagnostica per immagini per «il 29 ottobre 2013» (vedi pagina 2 della motivazione della sentenza), come comunicato dalla Asl alla Vega il 9 ottobre 2013.
Pertanto, le prestazioni erano state rese tra il 24/10/2013 ed il 29/10/2013, nel periodo precedente alla data di previsione di esaurimento del tetto di spesa (29/10/2013).
La Corte d’appello ha dunque fatto corretta applicazione delle disposizioni del contratto scritto stipulato tra le parti il 23/12/2013.
Il terzo motivo di ricorso incidentale è, invece, assorbito, in quanto la Corte d’appello non ha riconosciuto gli interessi di cui al
d.lgs. n. 231 del 2002, in quanto richiamati nell’art. 7 del contratto stipulato il 23/12/2013, mancando l’emissione della fattura.
I motivi di ricorso principale della Vega in ordine agli interessi sono stati tutti reputati infondati o inammissibili.
Pertanto, gli interessi non sono stati applicati in favore della società Vega in ragione dell’art. 7 del contratto stipulato il 23/12/2013, che ha richiamato i principi di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, ma in assenza della emissione della fattura.
La parziale inammissibilità del terzo motivo d’appello della Asl (ritenuto però fondato nel suo esito complessivo), come ritenuto dalla Corte territoriale, per la non applicabilità degli interessi al tasso fissato dal d.lgs. n. 231 del 2002 ai rapporti tra il concessionario e la pubblica amministrazione concedente un pubblico servizio (testi sostenuta dall’ASL, ma smentita dalla Corte territoriale), perde di rilevanza.
Tra l’altro, per questa Corte, a Sezioni Unite, rientrano nella nozione di transazione commerciale, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 231 del 2002, le prestazioni sanitarie delle strutture private accreditate col RAGIONE_SOCIALE erogate agli assistiti in base ad un contratto – accessivo all’accreditamento – concluso in forma scritta con la P.A. dopo l’8 agosto 2002, avente la natura di contratto a favore di terzi ad esecuzione continuata e contenente la previsione dell’obbligo di pagamento di un corrispettivo, la cui ritardata esecuzione comporta il riconoscimento degli interessi moratori ex art. 5 del d.lgs. citato (Cass., Sez.U., 14/12/2023, n. 35092).
28. Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate interamente tra le parti stante la reciproca soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale;
rigetta il ricorso incidentale;
compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 aprile 2025