Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3349 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3349 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 26018/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO giusta procura speciale a margine del ricorso.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv ocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 4467/2018, depositata in data 2/7/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/2/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con riferimento ai lavori di adeguamento della SS 96 Barese, variante di Altamura, il Consiglio comunale di Altamura con due deliberazioni n. 166 del 12/12/2000 e n. 98 del 23/10/2001 emetteva atti di adozione di variante al PRG
Successivamente, veniva approvato dall’ANAS in data 9/1/2003 il progetto definitivo n. 7566 del 2/10/2002 ex art. 1, legge n. 1 del 1978.
Il prefetto disponeva l’occupazione temporanea con provvedimento n. 263 del 17/9/2003.
Con nota del 30/9/2003 l’Anas comunicava il decreto di occupazione temporanea temporanea ed il giorno fissato per lo stato di consistenza e l’immissione in possesso.
Il 18/11/2003 si procedeva con lo stato di consistenza e l’immissione in possesso.
Sul ricorso proposto da NOME COGNOME il Tar Puglia, sezione di Bari, con la sentenza n. 1790 del 2007, annullava gli atti impugnati.
In particolare, il Tar dava atto del decreto di occupazione temporanea n. 263 del 17/9/2003 emesso dal prefetto, della nota dell’Anas del 30/9/2003, del verbale dello stato di consistenza del 18/11/2003.
Evidenziava che il ricorrente aveva chiesto l’annullamento, oltre che degli atti sopraindicati, anche di ogni altro atto presupposto, ivi compresi: le due delibere del Comune di Altamura con adozione di variante al PRG; la disposizione della direzione generale Anas S.p.A. n. 372 del 9/1/2003, con cui è stato approvato il progetto definitivo n. 7566 del 2/10/2002; il piano particellare di esproprio; l’ordinanza del prefetto n. 181 del 9/6/2003.
Il Tar Puglia evidenziava che, ai sensi dell’art. 1, comma 5, legge n. 1 del 1978, nel caso in cui l’opera pubblica ricadeva su aree che non erano destinate a pubblici servizi, la deliberazione di approvazione del progetto costituiva adozione di variante dello strumento urbanistico e doveva essere approvata con la procedura accelerata prevista dagli articoli 6 e seguenti della legge n. 167 del 1962.
Tale procedura non era stata rispettata, non essendo stati eseguiti gli adempimenti stabiliti in tema di approvazione dei piani ex lege n. 167 del 1962, oltre che ai sensi degli articoli 21 e 37 della legge regione Puglia n. 56 del 1980 (deposito della deliberazione negli uffici della segreteria comunale; notizia del deposito; pronuncia del consiglio comunale sulle eventuali osservazioni; approvazione dell’autorità regionale; approvazione definitiva da parte del consiglio comunale).
Nel frattempo, era stato stipulato in data 31/5/2005 il contratto di appalto tra l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione, quale mandataria dell’ATI, costituita da COGNOME RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, impresa NOME COGNOMERAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE C e Studio Tecnico Ing. NOME COGNOME, per la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori di adeguamento della strada statale 96 Barese.
A seguito dell’annullamento degli atti amministrativi presupposti la RAGIONE_SOCIALE chiedeva dichiararsi la nullità del contratto di appalto per effetto della sentenza del Tar n. 1790 del 2007, oltre alla condanna della committente al pagamento dell’importo di euro 10.266.421,58, a titolo di risarcimento dei danni per ritardata consegna dei lavori.
Si costituiva in giudizio l’Anas, la quale deduceva che il responsabile del procedimento in data 17/1/2008 aveva proposto alla direzione generale di risolvere il contratto per grave inadempimento dell’ATI, mediante provvedimento di rescissione in danno da emettere se sensi dell’art. 119, comma 1, del d.P.R. n. 554 del 1999.
L’Anas, oltre a chiedere il rigetto della domanda della Guidonia, proponeva domanda riconvenzionale per la risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’appaltatrice.
Il tribunale di Roma con sentenza n. 8598 del 2012, pubblicata il 27/4/2012, rigettava sia le domande principali che quelle riconvenzionali.
6.1. Il giudice di prime cure evidenziava che l’annullamento di alcuni atti della procedura amministrativa, pronunciato dalla sentenza del Tar Puglia n. 1790 del 2007, all’esito del giudizio intentato da uno dei privati espropriati nei confronti dell’Anas, non aveva determinato l’invalidità del rapporto negoziale intercorso dalle parti, «in quanto il giudicato amministrativo formatosi a seguito della predetta sentenza era privo di efficacia erga omnes».
Il giudicato amministrativo era, dunque, dotato di efficacia erga omnes «nella sola ipotesi in cui l’atto annullato sia un regolamento ovvero un atto che, pur indirizzandosi ad una pluralità di destinatari, abbia comunque contenuto inscindibile, circostanze non ricorrenti nel caso di specie».
Quanto poi alla lamentata ritardata consegna dei lavori da parte della committente, il tribunale richiamava la giurisprudenza che riconosceva la speciale disciplina di cui all’art. 10 del decreto legislativo 16/7/1962, n. 1063. È infatti, la ritardata consegna dei lavori da parte della stazione appaltante non conferiva all’appaltatore il diritto di risolvere il contratto ex articoli 1453 e 1450 4 c.c., né di richiedere il risarcimento del danno, «ma unicamente la facoltà di presentare istanza di recesso e, nel solo caso in cui tale istanza non venisse accolta dalla PA il diritto di pretendere un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo (previa iscrizione diritto alle riserve), oltre al diritto di ottenere un prolungamento del termine finale dei lavori» (si citava Cass., n. 3144 del 1994; Cass., n. 54 9/7/1992; Cass. n. 11329 del 1997).
6.2. Il tribunale, poi, respingeva anche la domanda riconvenzionale proposta dall’Anas, in quanto non provata.
Avverso tale sentenza proponeva appello principale la Guidonia, chiedendo l’accoglimento delle conclusioni formulate in primo grado.
7.1. In particolare, con il primo motivo la COGNOME lamentava che il tribunale non aveva riconosciuto natura di atti normativi agli atti annullati costituiti da: disposizione della direzione generale Anas n. 372 del 9/1/2003, di approvazione del progetto definitivo dell’opera pubblica posta a base di gara; la deliberazione del Consiglio comunale di Altamura n. 166 del 12/12/2000 e n. 98 del 23/10/2001 di adozione di variante allo strumento urbanistico e approvazione del progetto definitivo dell’opera pubblica; decreto di occupazione di urgenza del terreno.
Tali atti avrebbero avuto «natura di atti normativi», sicché l’invalidità e l’inefficacia della variante non era idonea a legittimare
l’inizio dei lavori, mentre questi ultimi «erano ineseguibili stante l’annullamento del progetto».
Il tribunale, invece, aveva fatto riferimento ad un’ipotesi diversa da quella in esame, ossia quella di annullamento di «atti plurimi caratterizzati dall’efficacia soggettivamente delimitata ai destinatari individuabili in relazione alla titolarità di delle singole porzioni immobiliari oggetto della potestà ablatoria».
Nella specie, invece, l’annullamento, coperta da giudicato, degli atti della procedura amministrativa avrebbe determinato «l’invalidità/inefficacia dell’atto negoziale successivamente stipulato».
Con il secondo motivo di impugnazione l’appellante principale contestava la statuizione impugnata nella parte relativa alle conseguenze della ritardata consegna dei lavori. Non doveva farsi riferimento all’art. 10 del decreto legislativo n. 1063 del 1962, ma al successivo art. 12, richiamato dal contratto di appalto.
Si costituiva nel giudizio di gravame l’Anas chiedendo il rigetto dell’appello e formulando appello incidentale.
Per quel che ancora qui rileva, la Corte d’appello di Roma con sentenza n. 4467/2018, pubblicata il 2/7/2018, rigettava sia l’appello principale proposto da Guidonia – che ancora interessa nel giudizio di legittimità – sia l’appello incidentale articolato dall’Anas (con la decisione che, in questo caso, non veniva impugnata dinanzi a questa Corte).
9.1. La Corte di merito, dunque, reputava infondato il primo motivo dell’appello principale della Guidonia, in quanto, il giudicato amministrativo aveva efficacia erga omnes nella sola ipotesi in cui l’atto annullato fosse un regolamento ovvero un atto che, pur indirizzandosi ad una pluralità di destinatari, avesse comunque contenuto inscindibile (si citava Cons. Stato, n. 2350 del 2012).
Precisava però la Corte d’appello che, da come emergeva dalla lettura della sentenza del Tar Puglia «nessuno degli atti annullati dal giudice amministrativo, in accoglimento del ricorso presentato dal signor NOME, appare rientrare nella predetta categoria».
Trattavasi invece di annullamenti che riguardavano «la singola posizione del ricorrente, privi di qualsiasi valenza generale sui provvedimenti amministrativi coinvolti». Infatti, era stata pronunciata l’illegittimità «dell’occupazione di urgenza ‘del suolo del ricorrente’, nonché l’illegittimità delle modalità progettuali ‘approvate in relazione all’area di proprietà del ricorrente’.
Ne conseguiva che il principio «dell’efficacia riflessa del giudicato» non poteva trovare applicazione, ma l’annullamento disposto nei confronti di un destinatario non sortiva effetti nei confronti dei terzi, che non avevano partecipato al giudizio.
Inoltre, era del tutto inconferente il richiamo «all’indirizzo giurisprudenziale di legittimità in tema di effetti, sul contratto di appalto, della caducazione degli atti del procedimento costitutivo della volontà di contrarre della PA» (si citava Cass. n. 9906 del 2008; Cass. n. 7481 del 2007; Cass. n. 12629 del 2006).
Ad avviso della Corte d’appello, nelle ipotesi richiamate, oggetto delle pronunce della Corte di cassazione, «l’annullamento operato dal giudice amministrativo riguardava infatti gli atti attraverso i quali si era formata la volontà contrattuale della PA, trattandosi, ad esempio, della deliberazione di contrarre, del bando o dell’aggiudicazione, con diretta incidenza quindi dell’annullamento sul contratto».
Nel caso di specie, invece, si trattava di nullità parziale di alcuni atti amministrativi «limitata al rapporto Anas/Angelastri, priva di qualsiasi incidenza nei confronti degli altri soggetti destinatari dei medesimi atti amministrativi».
Inoltre, tali atti non attenevano «al procedimento di formazione della volontà di contrarre della PA, trattandosi dell’approvazione della variante al PRG e dell’illegittimità delle modalità progettuali ‘approvate in relazione all’area di proprietà del ricorrente’.
L’annullamento di tali atti non aveva in alcun modo determinato «quale effetto automatico, la caducazione del contratto di appalto, concluso in seguito a gara pubblica.
9.2. La Corte di merito rigettava anche il secondo motivo di appello incidentale, in quanto effettivamente a seguito dell’inosservanza del termine per la consegna dei lavori da parte della stazione appaltante non originava il diritto dell’appaltatore di risoluzione del rapporto o di avanzare pretese risarcitorie, essendogli attribuita solo la facoltà di presentare istanza di recesso dal contratto, al mancato accoglimento della quale consegue l’insorgere di un diritto al compenso per i maggiori oneri dipendenti da ritardo» (si citava Cass., n. 4780 del 2012; Cass. n. 22112 del 2015).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito con controricorso l’Anas.
CONSIDERATO CHE:
Con un unico motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione o falsa applicazione dei principi in tema di giudicato Violazione o falsa applicazione articoli 80 e 83 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616; art. 2 legge 24 dicembre 1993, n. 537; art. 3 d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383 – Violazione o falsa applicazione dei principi in tema di efficacia erga omnes della decisione del giudice amministrativo di annullamento di atti amministrativi incidenti sulla volontà di contrarre da parte della pubblica amministrazione – Violazione o falsa applicazione dei principi in tema di redazione ed approvazione della progettazione esecutiva e di deliberazione a contrarre, di opera
pubblica – errata applicazione dei principi stabiliti dal Consiglio di Stato, sez. III , con la sentenza 20 aprile 2012, n. 2350 – Violazione o falsa applicazione in tema di invalidità degli atti amministrativi».
In particolare ad avviso della ricorrente, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza del Tar Puglia n. 1790 del 2007, di accoglimento del ricorso proposto da uno dei soggetti interessati alle procedure di espropriazione, risultano « tamquam non essent , perché definitivamente annullati, i seguenti atti:a) disposizione della direzione generale Anas n. 372 del 9 gennaio 2003, di approvazione del progetto definitivo dell’opera pubblica posta a base di gara; b) deliberazioni del Consiglio comunale di Altamura numeri 166 del 12 dicembre 2098 del 23 ottobre 2001 di adozione di variante allo strumento urbanistico e approvazione del progetto definitivo dell’opera pubblica;c) decreto di occupazione di urgenza del prefetto della provincia di Bari n. 263 del 17 settembre 2003.
Per la ricorrente, dunque, la decisione di annullamento, che, in linea generale, per i limiti soggettivi del giudicato amministrativo esplicava in via ordinaria effetti soltanto fra le parti in causa, acquistava efficacia erga omnes «solo nei casi in cui gli atti impugnati siano a contenuto generale inscindibile ovvero a contenuto normativo, nei quali gli effetti dell’annullamento non sono circoscrivibili ai soli ricorrenti, essendosi in presenza di un atto sostanzialmente e strutturalmente unitario, il quale non può esistere per taluni e non esistere per altri» (si cita Cons. stato., sez. III, 20 aprile 2012, n. 2350).
Tali principi sono stati applicati in modo erroneo dalla Corte d’appello.
Per la ricorrente, infatti, non può esservi dubbio che «lo strumento urbanistico ha natura di atto normativo in quanto detta
orientamenti, previsioni e parametri cui la pianificazione comunale deve uniformarsi».
Lo strumento urbanistico è atto a contenuto generale, recante prescrizioni a carattere normativo programmatorio.
Per tale ragione -rimarca la ricorrente -l’annullamento giurisdizionale dello strumento urbanistico, disposto per vizi del procedimento di formazione del piano stesso oltre che per vizi sostanziali, «ha efficacia erga omnes e si estende a tutti i soggetti interessati della pianificazione».
Tra l’altro, in base alla ricostruzione della ricorrente, «l’annullamento degli atti in precedenza citati fa stato nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, parte in giudizio di annullamento, nonché ai suoi aventi causa, tra i quali deve essere annoverata la società ricorrente».
I medesimi principi sarebbero stati affermati anche dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 11 del 2017, sicché la nullità di tutti gli atti collegati, connessi e consequenziali provvedimenti annullati, avrebbe dovuto comportare anche la nullità del contratto d’appalto a valle.
Erano state annullate anche le delibere consiliari del Comune di Altamura numeri 166 del 2098 del 2001, «perché adottata in difformità rispetto alle previsioni del combinato disposto degli articoli 21 e 37 della legge regione Puglia 56/80».
Il Tar ha persino elencato le varie fasi della procedura di approvazione della variante dello strumento urbanistico «del tutto trascurata nel caso di specie».
La medesima variante, allora, non era idonea a legittimare inizio e lavori.
Anche il decreto prefettizio di occupazione temporanea è stato annullato nella sua interezza. Tutti gli atti erano infatti legati da un vincolo di necessaria ed immediata consequenzialità.
Ad avviso della ricorrente, dunque, «l’annullamento dell’approvazione del progetto, nella quale è insita la dichiarazione di pubblica utilità, determina il travolgimento di tutta l’occupazione di urgenza per illegittimità derivata».
Inoltre, a giudizio della ricorrente, «l’annullamento dei predetti atti e provvedimenti incide, altresì, sulla legittimità della conferenza di servizi del 31 ottobre 2001, disposta, ai sensi e per gli effetti degli articoli 80 e 83 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, dell’art. 2 della legge 24 dicembre 1993 n. 537, del d.P.R. 18 aprile 1994 n. 383 ed, in particolare, dell’art. 3, dell’art. 52, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 e della legge 241/90».
Nel corso della conferenza di servizi era stato letto anche il parere del Comune di Altamura, relativo alla deliberazione consiliare n. 98 del 23 ottobre 2001.
La ricorrente osservava che in tema di localizzazione di opere di interesse statale, l’approvazione dei progetti, avvenuta a seguito di conferenza di servizi, convocata ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383, se adottata all’unanimità, sostituiva «ad ogni effetto gli atti di intesa, i pareri, le concessioni anche edilizie, le autorizzazioni, le approvazioni, i nullaosta, previsti da leggi statali e regionali».
Ove non fosse raggiunta tale unanimità, doveva provvedersi ai sensi dell’art. 81, comma 4, del d.P.R. n. 616 del 1977, quindi, sentita la commissione interparlamentare per le questioni regionali, con decreto del presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro competente.
Per tale ragione, l’annullamento della deliberazione consiliare del Comune di Altamura, presente alla conferenza di servizi, avrebbe inciso sull’evidenziata unanimità.
Sarebbe allora illogico ritenere che l’annullamento del provvedimento di approvazione del progetto definitivo dell’opera pubblica, oltre che del provvedimento di adozione di variante allo strumento urbanistico e approvazione del progetto definitivo, siano riferibili al solo ricorrente e non, invece, a diversi soggetti, tra i quali l’Anas.
L’annullamento degli atti della procedura amministrativa avrebbe determinato l’invalidità e/o l’inefficacia dell’atto negoziale successivamente stipulato (si richiamano Cass. n. 9906 del 2008; Cass. n. 7481 del 2007; cass. n. 12629 del 2006).
Avrebbe errato allora la Corte d’appello nel reputare la sussistenza solo di una nullità parziale di alcuni atti amministrativi limitata rapporto tra il ricorrente e l’Anas, da un lato, «priva di qualsiasi incidenza nei confronti degli altri soggetti destinatari dei medesimi atti amministrativi» e dall’altra non attinente «al procedimento di formazione della volontà di contrarre della PA».
Nella specie, in realtà, vi sarebbe «in presenza di atti annullati interamente» costituenti «i presupposti immancabili per la determina a contrarre da parte della pubblica amministrazione».
In ordine, poi, al secondo motivo di appello principale, rigettato dalla Corte d’appello, la ricorrente non condivide le argomentazioni che sono riferite «esclusivamente al mancato recesso da parte della ricorrente dal contratto, motivo che preclude l’iscrizione delle riserve».
Pertanto, tali argomentazioni possono semmai «essere ritenute attinente all’ipotesi di contratto valido ed efficace».
Nel caso in esame, invece, si sarebbe in presenza «di un contratto invalido/inefficace, che non ha prodotto alcun effetto, documento posto a base della responsabilità precontrattuale e domanda risarcitoria».
A seguito dell’annullamento da parte del giudice amministrativo di tutti gli atti presupposti alla stipula del contratto d’appalto, trattandosi di un atto unitario sostanzialmente e strutturalmente, gli effetti della pronuncia giurisdizionale non potevano essere circoscritte ai soli ricorrenti.
Se così è, a giudizio della ricorrente, poiché l’annullamento dell’approvazione del progetto esecutivo incide in misura decisiva sulla determina a contrarre e, quindi, sul contratto, anch’esso travolto dalla decisione del giudice amministrativo, per fatti e responsabilità dell’appaltante RAGIONE_SOCIALE», la ricorrente non avrebbe «mai potuto recedere» da tale contratto, «in quanto quod nullum est, nullum producit effectum ».
2. Il motivo è infondato.
2.1. Deve muoversi dalla considerazione che il Tar Puglia, sezione di Bari, con la sentenza n. 1790/2007, ha annullato tutti gli atti impugnati: le deliberazioni del Consiglio comunale di Altamura n. 166 del 12/12/2000 e n. 98 del 23/10/2001, quali atti di adozione di variante al PRG ex art. 1 comma 5 della legge n. 1 del 1978; la disposizione della direzione generale Anas n. 372 del 9/1/2003, con cui è stato approvato il progetto definitivo n. 7566 del 2/10/2002, relativo ai lavori di adeguamento della SS Varese, variante di Altamura,; decreto di occupazione temporanea n. 263 del 17/9/2003 adottato dal prefetto, con conseguente occupazione temporanea; nota dell’Anas n. 25442 del 30/9/2003, recante la comunicazione del decreto impugnato e del giorno fissato per la redazione dello stato
di consistenza e l’immissione in possesso; verbale dello stato di consistenza redatto in data 18/11/2003.
Non v’è dubbio che la sentenza del Tar Puglia, sezione di Bari, n. 1790 del 2007 sia passata in giudicato.
Vanno individuati, però, i limiti oggettivi del giudicato amministrativo.
3.1. Va chiarito che il Tar Puglia ha annullato, tra gli altri, la disposizione della direzione generale Anas n. 372 del 9/1/2003, quale approvazione del progetto definitivo dell’opera pubblica.
L’art. 1, comma 1, della legge n. 1 del 1978 (Accelerazione delle procedure per la esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni industriali) stabilisce che «l’approvazione dei progetti di opere pubbliche da parte dei competenti organi statali, regionali, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli altri enti territoriali equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità delle opere stesse».
Pertanto, va sottolineato immediatamente che l’approvazione dei progetti di opere pubbliche, e nella specie la disposizione dell’Anas n. 372 del 9/1/2003, che ha approvato il progetto definitivo della realizzazione della variante di Altamura, equivale a «dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza e di indifferibilità delle opere stesse».
La norma poi distingue l’ipotesi in cui lo strumento urbanistico vigente contenga destinazioni specifiche di aree per la realizzazione di servizi pubblici, nel qual caso l’approvazione di progetti di opere pubbliche da parte del Consiglio comunale non comporta necessità di variante allo strumento urbanistico medesimo, dal diverso caso, contemplato nel comma 5, dell’art. 1, in cui le opere ricadano su aree che negli strumenti urbanistici approvati non sono destinate a pubblici servizi.
In tal caso, «la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del progetto costituisce adozione di variante degli strumenti stessi, non necessita di autorizzazione regionale preventiva e viene approvata con le modalità previste dagli articoli 6 e seguenti della legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni».
3.2. L’art. 1, commi 4 e 5, è stato poi modificato, a partire dal 19/12/1998.
Si prevede, dunque, al comma 5 dell’art. 1 della legge n. 1 del 1978 che «nel caso in cui le opere ricadano su aree che negli strumenti urbanistici approvati non sono destinate a pubblici servizi oppure sono destinate a tipologie di servizi diverse da quelle cui si riferiscono le opere medesime e che sono regolamentate con lo standard minimi da norme nazionali e regionali, la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del progetto preliminare e la deliberazione della giunta comunale di approvazione del progetto definitivo ed esecutivo costituiscono adozione di variante degli strumenti stessi, non necessitano di autorizzazione regionale preventiva e vengono approvate con le modalità previste dal articoli 6 e seguenti della legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni».
L’art. 6 della legge 18/4/1962, n. 167 (Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare) prevede che «entro 5 giorni dalla deliberazione di adozione da parte del consiglio comunale, il piano deve essere depositato nella segreteria comunale e rimanervi nei 10 giorni successivi. Dell’eseguito deposito è data immediata notizia al pubblico entro 20 giorni dalla data di inserzione nel foglio annunzi legali, gli interessati possono presentare al Comune le proposizioni. Nello stesso termine stabilito per il deposito nella segreteria comunale, il
sindaco comunica il piano anche alle competenti amministrazioni centrali dello Stato ».
Si prevede, poi, all’art. 7 della legge n. 167 del 1962 che «decorso il periodo per le opposizioni e osservazioni, nonché il termine di 30 giorni di cui all’ultimo comma del precedente articolo 6, il sindaco, nei successivi 30 giorni trasmette tutti gli atti, con le deduzioni del consiglio comunale sulle osservazioni ed opposizioni presentate, al provveditore regionale alle opere pubbliche».
4.1. Nell’art. 37 della Legge Regione Puglia 31/5/1980, n. 56 (Attuazione degli strumenti esecutivi del Piano regolatore e pubblica utilità) vi è un espresso richiamo alla legge n. 167 del 1962.
Ed infatti si prevede che «I piani particolareggiati vanno attuati in un tempo non maggiore di dieci anni e la loro approvazione equivale a dichiarazione di pubblica utilità delle opere in essi previste.
I piani esecutivi di cui alla legge 18/4/1962, n. 167 e successive modifiche (piani di zona) ed all’art. 27 della legge 22/10/1971, n. 865 (piani per insediamenti produttivi) vengono disciplinati dagli articoli 19, 20 e 21 della presente legge ed attuati – per i comuni obbligati al programma pluriennale – mediante la loro inclusione nel P.P.A. medesimo; la loro approvazione produce, ai fini espropriativi e per la durata fissata dalle leggi statali vigenti, gli effetti della pubblica utilità delle opere previste. Per i piani di zona valgono anche le disposizioni di cui al 4 comma dell’art. 3 della legge statale 18/4/1962, n. 167».
4.2. Nella specie, il Tar Puglia con la sentenza n. 1790 del 2007, ha evidenziato, sul punto, che «benché i lavori di adeguamento della sede della strada statale 99 siano stati localizzati anche su aree, quale quella del ricorrente, non riservate a servizi pubblici, alle deliberazioni consiliari sopra richiamate, n. 166 del 2000 e n. 98 del
2001, non hanno fatto seguito gli adempimenti stabiliti in tema di approvazione dei piani ex lege n. 167/1962 dal combinato disposto degli articoli 21 e 37 della legge regionale Puglia n. 56/1980 (deposito della deliberazione negli uffici della segreteria comunale; notizia del deposito; pronuncia del consiglio comunale sulle eventuali osservazioni, approvazione dell’autorità regionale; approvazione definitiva da parte del consiglio comunale)».
Prosegue il Tar Puglia, nella sentenza citata, affermando che «di conseguenza, la variante, adottata in forza delle deliberazioni sopra richiamate, non avendo acquistato efficacia, non è idonea a legittimare l’inizio dei lavori e, quindi, non giustifica l’emanazione del provvedimento di occupazione di urgenza del suolo del ricorrente».
Tra l’altro, nel merito, il Tar Puglia evidenzia anche l’illogicità delle modalità progettuali, in quanto, con l’esecuzione dei lavori di adeguamento della sede stradale «sarà intercluso l’accesso al fabbricato del ricorrente».
Fondate sono risultate anche le censure di legittimità delle modalità progettuali approvate «in relazione all’area di proprietà del ricorrente».
Di conseguenza, per il Tar Puglia, «va accolta la domanda di annullamento della disposizione dell’Anas n. 372 del 9/1/2003, delle deliberazioni del Comune di Altamura di approvazione del progetto delle opere di adeguamento della sede della strada statale n. 96 e del decreto prefettizio n. 236 del 17/9/2003».
Quanto agli effetti del giudicato amministrativo trova conferma la sentenza della Corte d’appello impugnata, in quanto, nella specie, tali effetti non si estendono erga omnes , ma riguardano soltanto le parti del processo svoltosi dinanzi al Tar Puglia.
5.1. Si rileva, in particolare, che il Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria (sentenza 27/7/2019, n. 4), ha evidenziato che il giudicato
amministrativo è sottoposto alle disposizioni processuali civilistiche per cui il giudicato opera solo inter partes , secondo quanto prevede per il giudicato civile l’art. 2909 c.c.
I casi di giudicato amministrativo con effetti erga omnes sono, quindi, eccezionali e si giustificano in ragione «dell’inscindibilità degli effetti dell’atto e dell’inscindibilità del vizio dedotto: in particolare, l’indivisibilità degli effetti del giudicato presuppone l’esistenza di un legame altrettanto indivisibile fra le posizioni dei destinatari, in modo da rendere inconcepibile -logicamente, ancor prima che giuridicamente – che l’atto annullato possa continuare ad esistere per quei destinatari che non lo hanno impugnato».
Sono state individuate talune ipotesi eccezionali di estensione ultra partes del giudicato amministrativo: l’annullamento di un regolamento (l’efficacia erga omnes in questo caso trova una base normativa indiretta dell’art. 14, comma 3, del d.P.R. 24/11/1971, n. 1199); l’annullamento di un atto plurimo inscindibile (decreto di esproprio di un bene in comunione); l’annullamento di un atto plurimo scindibile, se il ricorso viene accolto per un vizio comune alla posizione di tutti destinatari (decreto di approvazione di una graduatoria concorsuale travolto per un vizio comune); l’annullamento di un atto che provvede unitariamente nei confronti di un complesso di soggetti (decreto di scioglimento di un consiglio comunale).
Gli effetti erga omnes dell’annullamento giurisdizionale si verificano solo nei casi in cui gli atti impugnati siano a contenuto generale inscindibile ovvero a contenuto normativo (Cons. Stato, sez. III, 20/4/2012, n. 2350).
In tal senso si è pronunciata anche questa Corte, per la quale, in tema di giudicato amministrativo, la regola generale dell’efficacia ” inter partes ” subisce delle eccezioni nei casi in cui la sua estensione
si giustifica o per la particolare natura dell’atto – ad es. un regolamento o un atto plurimo inscindibile – o per la presenza di un legame inscindibile fra i destinatari che, valutato unitamente al vizio che inficia la validità del provvedimento, rende inconcepibile, sul piano logico e giuridico, che l’atto stesso possa continuare a produrre effetti nella sfera giuridica dei soggetti non impugnanti; tale estensione riguarda, tuttavia, solo l’effetto caducatorio dell’annullamento e non anche gli obblighi ordinatori e conformativi, rispetto ai quali torna ad espandersi la regola generale fissata dall’art 2909 c.c., poiché, mentre l’eliminazione del provvedimento impugnato non può che fare stato “erga omnes”, quanto ai predetti obblighi, la mancata evocazione in giudizio di una parte impedisce la costituzione nei suoi confronti di quella “res iudicata” idonea a vincolare i successivi organi giudicanti (Cass., sez. L, 6/8/2019, n. 21000).
6. Non v’è dubbio, però, che le deliberazioni del Consiglio comunale di Altamura n. 166 del 12/12/2000 e n. 98 del 23/10/2001, quali atti di adozione di variante al PRG ex art. 1 legge n. 1 del 1978, sono – per giurisprudenza amministrativa – atti plurimi.
Si è, infatti, affermato che la sentenza che conduce all’annullamento di un atto generale non sempre ha efficacia erga omnes, il che accade facilmente nel caso dell’annullamento di un piano regolatore, in cui l’interesse fatto valere nel ricorso resta circoscritto alle aree individuate o a parti specifiche del territorio comunale, pertinenti alle posizioni dell’istante (Cons. Stato., sez. IV, 4/4/2018, n. 2097; Cons. Stato, sez. IV, n. 7771 del 2003).
Con la precisazione che «le prescrizioni contenute in una variante al piano regolatore generale vanno considerati scindibili, ai fini delle loro eventuale annullamento in sede giurisdizionale, con la
conseguenza che, nel caso in cui il ricorso prospetti vizi relativi solo ad alcune determinazioni, l’annullamento del provvedimento non può essere che parziale, stante il principio generale della specificità dei motivi proponibili dei ricorsi davanti al giudice amministrativo» (Cons. Stato, sez. IV, 4/4/2018, n. 2097; Cons. Stato., sez. IV, n. 8146 del 2003).
Vanno considerate, dunque, scindibili, ai fini del loro eventuale annullamento, le prescrizioni contenute in una variante al piano regolatore generale; sicché, laddove il ricorso prospetta vizi relativi solo ad alcune determinazioni, l’annullamento del provvedimento non può essere che parziale, stante il principio generale della specificità dei motivi nei ricorsi dinanzi al giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 10/12/2003, n. 8146).
Del resto, per poter assurgere ad atto normativo, è necessario che l’atto si rivolga a destinatari indeterminabili, per il naturale corollario della generalità e dell’astrattezza della previsione normativa (Cons. Stato., Ad. Plen., 20/12/2017, n. 11; Cons. Stato., sez. VI, 29/3/2013, n. 1848, in cui la delibera aveva contenuto generale, poiché, recando la modificazione dei confini tra due comuni, non era rivolta a destinatari determinati o determinabili a priori ed aveva contenuto unitario ed in inscindibile).
Peraltro, anche la giurisprudenza di questa Corte si è occupata della dichiarazione di indifferibilità ed urgenza e di pubblica utilità, implicita nell’approvazione di un piano, reputando che l’annullamento del provvedimento non si estende erga omnes .
7.1. Si è ritenuto (Cass., sez. 1, 22/5/2009, n. 11920), quindi, che la parte che non ha partecipato al giudizio amministrativo non può avvalersi del giudicato relativo all’annullamento di un piano di zona per l’edilizia economica e popolare, al fine di ottenere in sede di giudizio ordinario la cancellazione della trascrizione del decreto di
espropriazione e il risarcimento dei danni, in quanto la dichiarazione di pubblica utilità, implicita nell’approvazione del piano di zona, non è un atto collettivo, ma deve essere inquadrato nella categoria degli atti plurimi, caratterizzati dall’efficacia soggettivamente limitata ai destinatari individuabili in relazione alla titolarità delle singole porzioni immobiliari oggetto della potestà ablatoria, con la conseguenza che il suo annullamento non spiega efficacia ” erga omnes “.
Pertanto, si è chiarito che la dichiarazione di indifferibilità ed urgenza e di pubblica utilità, che è implicita nell’approvazione del piano di zona per edilizia economica e popolare, non è un atto collettivo, che in quanto tale è espressione di una volontà unica della pubblica amministrazione, che provvede unitariamente ed inscindibilmente nei confronti di un complesso di interessi considerati non singolarmente, ma come componenti di un gruppo unitario ed indivisibile; essa va al contrario inquadrata nella categoria degli atti plurimi «che sono viceversa caratterizzati dal fatto di rappresentare una esternazione unica di una pluralità di provvedimenti che non perdono la propria individualità (intesa nel senso dell’efficacia soggettivamente limitata a ciascun destinatario) e che riguardano diversi soggetti individuabili in relazione all’appartenenza dei vari beni vincolati e considerati ‘ uti singuli ‘ (Cass. n. 11920 del 2009; Cass. n. 725 del 2004).
Si è rimarcato che, poiché ognuno di tali soggetti, in relazione al singolo bene, è titolare di distinti diritti ed interessi, l’impugnazione della dichiarazione di pubblica utilità da parte di alcuno di essi non può spiegare effetto rispetto alle altre situazioni giuridiche (Cass. n. 11920 del 2009; Cass. n. 2038 del 1996).
Da ciò consegue che il giudicato di annullamento produce effetti ripristinatori della pienezza del diritto già affievolito solo per il
ricorrente e per la specifica posizione da questo dedotte nel giudizio amministrativo e che, quindi, dello stesso non può avvalersi la RAGIONE_SOCIALE, che al detto giudizio è rimasta estranea.
7.2. Non può che ribadirsi, allora, che l’efficacia erga omnes del giudicato amministrativo opera solo con riferimento a peculiari categorie di atti amministrativi, e cioè quelli aventi pluralità di destinatari e contenuto inscindibile e siano affetti da vizi di validità che ne inficino il contenuto in modo indivisibile per tutti destinatari (per esempio i provvedimenti tariffari, Cass. sez. 1, 17/12/1994, n. 10863; Cass., sez. 1, 13/3/1998, n. 2734), come gli atti di natura regolamentare e quelli aventi portata generale che sono atti collettivi, generali, indivisibili e che si contrappongono agli atti plurimi e divisibili (Cass., sez. 1, 16/4/2004, n. 7253).
Pertanto, la dichiarazione di pubblica utilità – che è implicita nell’approvazione del piano di insediamenti produttivi – non è un atto collettivo, ma va inquadrato nella categoria degli atti plurimi, ossia di quelli che riguardano una pluralità di soggetti individuabili in relazione alla titolarità dei vari beni vincolati e considerati ‘ uti singuli ‘ (Cass. n. 7253 del 2004).
Anche nel caso in esame, si è dinanzi al provvedimento dell’Anas di approvazione del progetto definitivo dell’opera n. 372 del 9/1/2003, che equivale, ai sensi dell’art.1, comma 1, della legge n. 1, del 1978 a «dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità delle opere stesse».
Peraltro, nella sentenza del Tar Puglia n. 1790 del 2007 si sottolinea la portata individuale dell’accertamento giurisdizionale e, dunque, dei limiti soggettivi del giudicato, laddove si fa riferimento alla circostanza che la variante adottata «non giustifica l’emanazione del provvedimento di occupazione di urgenza del suolo del ricorrente», e dove si reputano fondate le censure di legittimità delle
modalità progettuali «approvate in relazione all’area di proprietà del ricorrente».
Resta assorbita ogni altra considerazione, in quanto, una volta che non c’è efficacia del giudicato amministrativo nel giudizio civile in esame, diviene ultronea ogni considerazione in ordine all’efficacia del contratto a valle.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente si liquidano come da dispositivo.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 8.500,00, oltre spese prenotate a debito, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 febbraio 2025