Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2483 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 2483 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3421/2018 R.G. proposto da:
COMUNE RAGIONE_SOCIALE TORINO, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO TORINO n. 701/2017 depositata il 12.10.2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza in data 12 ottobre 2017, confermava nel merito, riformandola solo in punto spese di lite, la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto la domanda proposta dai lavoratori meglio indicati in epigrafe nei confronti del COMUNE DI TORINO (in prosieguo, anche: il Comune) per l’accertamento del diritto a mantenere, all’esito della riassunzione alle dipendenze dello stesso, il livello retributivo goduto presso il precedente datore di lavoro –RAGIONE_SOCIALE lo Sviluppo dell’Elettronica e dell’Automazione (in prosieguo: RAGIONE_SOCIALE).
2.La Corte territoriale in fatto esponeva che:
i lavoratori, già dipendenti del COMUNE DI TORINO ed addetti ai Centri di formazione professionale, erano stati trasferiti dal maggio 1997 al RAGIONE_SOCIALE, al quale il Comune aveva affidato l’attività di formazione professionale, giusta convenzione decennale dell’anno 1996, rinnovata nell’anno 2007;
la convenzione dell’anno 1996, all’ articolo 14, prevedeva, in caso di cessazione per qualsiasi causa degli effetti della convenzione, la prosecuzione dei rapporti di lavoro con il Comune ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 2112 cod.civ.;
tale impegno era stato ribadito nella convenzione del 2007 (articolo 5);
nell’anno 2012 il RAGIONE_SOCIALE era stato dichiarato fallito ed il Comune aveva revocato la convenzione;
-con diverse sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello di Torino, passate in giudicato, i lavoratori avevano ottenuto il riconoscimento del diritto alla prosecuzione del rapporto con il Comune ed alla riammissione in servizio, oltre al pagamento delle retribuzioni arretrate.
A fondamento della decisione, il giudice dell’appello osservava che le precedenti pronunce avevano ad oggetto due domande: la prima, accolta, riguardante il diritto dei lavoratori alla prosecuzione del rapporto di lavoro con il Comune; la seconda, respinta, diretta ad ottenere l’accertamento della responsabilità solidale del Comune per il pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal RAGIONE_SOCIALE, poi fallito, ai sensi dell’articolo 2112, comma due, cod.civ.
4.Le domande oggetto della presente causa erano diverse tanto nel petitum che nella causa petendi rispetto alle domande definite dalle pronunce in giudicato, né le questioni in trattazione erano deducibili nel giudizio in cui tale giudicato si era formato, non essendo all’epoca avvenuta l’assunzione da parte del Comune.
Gli accertamenti contenuti nella motivazione della pronunce in giudicato non costituivano precedenti logici essenziali e necessari delle domande proposte nel successivo e presente giudizio.
La clausola della convenzione del 2007 doveva essere intesa nel senso del riconoscimento del diritto dei lavoratori non solo alla riammissione in servizio ma anche alla conservazione del trattamento economico goduto presso il RAGIONE_SOCIALE.
Infine, il principio di parità di trattamento economico di cui all’art. 45 D.Lgs nr. 165/2001 era garantito dalla previsione di riassorbibilità dell’assegno ad personam.
A tale conclusione non poteva opporsi il richiamo all’articolo 30 D.Lgs. nr. 165/2001, che riguardava il passaggio di personale tra amministrazioni pubbliche e non era applicabile analogicamente in presenza di una specifica regolamentazione contrattuale.
9.Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il COMUNE DI TORINO, articolato in sette ragioni di censura, cui hanno resistito i lavoratori con controricorso.
Sono in atti memoria di ambo le parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il Comune, ricorrente in via principale, ha denunciato -ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 e nr. 4 cod.proc.civ. -erronea e falsa applicazione dell’articolo 2909 cod.civ. e dell’articolo 324 cod.proc.civ., per non avere la Corte territoriale riconosciuto la efficacia preclusiva del giudicato di cui alle precedenti sentenze inter partes, che avevano già esaminato -e risolto in senso negativo -la questione dell’applicabilità del regime di cui all’articolo 2112 cod.civ.
Ha dedotto che i diversi giudizi tra le medesime parti fondavano sul medesimo presupposto, fattuale e normativo, dell’applicabilità dell’articolo 2112 cod.civ. sicché sul punto i fatti costitutivi delle rispettive domande erano identici; a nulla rilevava il fatto che nelle cause definite dal giudicato gli stessi fossero invocati ai fini della riammisssione in servizio e della solidarietà tra condebitori e nel giudizio in trattazione per la rivendicazione delle differenze retributive.
3.Con il secondo mezzo del ricorso principale si deduce -ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 e nr. 4 cod.proc.civ. -erronea e falsa applicazione dell’articolo 2909 cod.civ e dell’articolo 324 cod.proc.civ., sostenendo che la sentenza impugnata, nell’ accogliere una interpretazione degli accordi degli anni 1996 e 2007 diversa da quella consacrata dal giudicato -nel quale era stata sancita la inapplicabilità, nel suo complesso, dell’articolo 2112 cod.civ. -si era posta in contrasto con i giudicati.
Con la terza critica si torna a denunciare -ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 e nr. 4 cod.proc.civ. -la erronea e falsa applicazione dell’articolo 2909 cod. civ. e dell’articolo 324 cod.proc.civ., per avere la Corte territoriale arrestato la sua analisi al contenuto delle domande proposte nei due diversi giudizi, senza considerare il rilievo oggettivo del giudicato in relazione a tutte le questioni che hanno costituito presupposto necessario della decisione assunta.
I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto sostanzialmente sovrapponibili, sono fondati, come già ritenuto dai precedenti di questa S.C. riguardanti altri lavoratori ed analoghe vicende processuali e fattuali (Cass. 29 dicembre 2021, n. 41895; Cass. 4 gennaio 2022, n. 70; Cass. 17 gennaio 2022, n. 1301; Cass. 17 gennaio 2022, n. 1305).
Ciò posto, richiamando quanto argomentato nei menzionati precedenti, in via preliminare giova distinguere il divieto di riproporre la stessa domanda già definita con pronuncia passata in giudicato -al quale si riferisce la regola secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile -rispetto al principio secondo cui l’ assetto del rapporto giuridico fissato dal giudicato ha efficacia oggettiva anche rispetto a domande nuove, nascenti dal medesimo rapporto.
In relazione a detto rilievo oggettivo del giudicato, non vi è questione di identità o meno della domanda in decisione rispetto a quella definita dal giudicato, ma, piuttosto, di identità del rapporto sostanziale cui due domande, tra loro diverse, si riferiscono.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, qualora due giudizi tra le stesse parti si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto nel giudicato in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo del giudicato, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (Cass. sez. III 15 maggio 2018 nr. 11754 e giurisprudenza ivi citata; Cass. sez. lav., 28 novembre 2017 nr. 28415; 9 dicembre 2016 nr. 25269; 16 dicembre 2015, n.25304).
La formazione di tale giudicato esterno sul «punto fondamentale comune ad entrambe le cause» prescinde dalla proposizione di una specifica domanda di parte.
Alla base della giurisprudenza richiamata vi è la distinzione tra:
pregiudizialità tecnica (o tecnico-giuridica o pregiudizialità in senso
stretto), che si verifica qualora vengano in considerazione due o più rapporti giuridici, uno dei quali (quello pregiudiziale) appartiene alla fattispecie dell’altro, che dipende da esso (quello pregiudicato);
pregiudizialità logica, che si verifica, invece, quando nell’ambito di un unico rapporto giuridico l’accertamento di un diritto richiede il previo accertamento di una situazione giuridica che è comune ad altri diritti nascenti dal medesimo rapporto.
Nel primo caso l’accertamento di un diritto presuppone l’accertamento di un altro «diritto»; ad esso si riferisce l’articolo 34 cod.proc.civ., secondo cui l’accertamento di una questione pregiudiziale non è idoneo a passare in giudicato, salvi i casi in cui una decisione con efficacia di giudicato sia richiesta per legge o per apposita domanda di una delle parti.
Nel secondo caso, invece, vi è un «punto pregiudiziale» -ovvero un antecedente logico necessario -comune a due diverse domande relative ad uno stesso rapporto giuridico; la pronuncia resa al riguardo acquista l’efficacia del giudicato, indipendentemente da una domanda di parte. Si è detto al riguardo che il giudicato copre le questioni che rientrano nel fatto costitutivo del diritto dedotto in causa, alle quali si riferisce la locuzione «pregiudiziale in senso logico».
Nella fattispecie di causa ricorre questa seconda eventualità: viene in questione l’unico rapporto giuridico tra il Comune ed i lavoratori disciplinato prima dalla convenzione dell’anno 1996 e poi, scaduta la prima, dalla convenzione dell’anno 2007, applicabile in causa.
Tale convenzione è stata oggetto del giudicato di cui alle diverse sentenze, di cui si è detto, che nell’esaminare la disposizione dell’articolo 5 della convenzione del 2007, qui rilevante, hanno affermato (v. anche gli stralci riportati nel ricorso per cassazione) che il richiamo all’art. 2112 cod.civ. da parte della convenzione era effettuato in senso «atecnico», a prescindere, cioè, da un effettivo ri-trasferimento al Comune dell’attività della formazione professionale ed era diretto a garantire i lavoratori dalla eventuale perdita del posto di lavoro e ad assicurare loro, in ogni caso di cessazione degli effetti della convenzione, il riassorbimento alle dipendenze del COMUNE.
Sulla base di questo accertamento, il giudicato ha respinto la domanda dei lavoratori diretta ad affermare la solidarietà del Comune per il pagamento delle retribuzioni maturate presso il RAGIONE_SOCIALE, secondo il regime di cui al comma due dell’articolo 2112 cod.civ.
In sostanza, il giudicato ha accertato che il richiamo all’articolo 2112 cod.civ. da parte della convenzione del 2007 era effettuato al solo fine di assicurare ai lavoratori il rientro alle dipendenze del Comune, non per estendere ad essi il regime previsto dalla stessa norma.
Trattandosi di un punto pregiudiziale comune ad entrambe le cause, erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che esso non fosse coperto dal giudicato.
Invero, una volta stabilito dal giudicato che il richiamo all’articolo 2112 cod.civ. contenuto nella convenzione del 2007 si riferiva unicamente alla garanzia dei lavoratori ad essere riassunti dal Comune (anche in mancanza di riassorbimento dell’attività trasferita) il giudice del merito non avrebbe potuto procedere ad una nuova interpretazione della convenzione, preclusa dal giudicato.
19. Non possono poi essere condivise le difese svolte dai lavoratori anche in memoria, secondo cui il richiamo nelle convenzioni all’art. 2112 c.c. si doveva estendere agli altri effetti di cui alla citata norma e che analoga estensione doveva attribuirsi al rinvio ‘atecnico’ quale ritenuto dai precedenti passati in giudicato.
La sentenze -che sono l’unico dato che oramai rileva hanno infatti chiaramente ritenuto, non a caso escludendo la solidarietà, che il rinvio all’art. 2112 c.c. valesse solo al fine di assicurare salvaguardia al posto di lavoro e dunque non può essere condivisa una loro diversa interpretazione.
20. Sulla base di quanto sopra la sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, restando assorbiti i restanti motivi del ricorso principale (quarto e quinto) riguardanti l’interpretazione (diretta) da attribuire alle Convenzioni menzionate e le questioni sull’applicabilità dell’art. 30 d. lgs. 165/2001 (sesto motivo) e sulla misura del trattamento retributivo riconosciuto dalla Corte di merito (settimo motivo).
21. Non si può tuttavia procedere alla definizione nel merito, come avvenuto in altre cause, perché -pur nell’infondatezza della domanda esercitata propugnando l’applicazione dell’articolo 2112 cod.civ. in forza del richiamo a tale disposizione contenuto nella convenzione, per contrasto con i pregressi giudicati -i controricorrenti hanno prospettato di avere insistito ex art. 346 c.p.c. su pretese finalizzate, su basi giuridiche da verificare, ad una diversa determinazione della retribuzione erogata dal Comune e dunque su profili che -in rito e nel merito -vanno esaminati in sede di rinvio.
22. La causa va dunque rinviata alla Corte d’Appello di Torino che procederà al suo esame sulla base di quanto qui stabilito.
P.Q.M.
accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 07/11/2023.