Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21973 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21973 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11133-2021 proposto da:
NOME COGNOME , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 635/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 16/02/2021 R.G.N. 1450/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
05/06/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME.
Oggetto
Licenziamento
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 05/06/2024
CC
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Napoli, con la sentenza qui impugnata, ha confermato la decisione di primo grado che aveva dichiarato l’improponibilità della domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE con cui, in relazione al licenziamento intimato in data 30 giugno 2010 e già dichiarato illegittimo con una precedente pronuncia confermata dalla stessa Corte territoriale, chiedeva ordinarsi la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna della società al risarcimento del danno ex art. 18 l. n. 300 del 1970 nel testo all’epoca vigente;
la Corte territoriale, in sintesi, ha premesso che la precedente sentenza, passata in cosa giudicata, aveva ritenuto corretta ‘la motivazione con cui il giudice di prime cure aveva disatteso la domanda di reintegra (con le conseguenti pronunce risarcitorie) in mancanza, nell’atto introduttivo del giudizio, di ogni riferimento all’art. 18 legge 300/1970 e, comunque, all’applicabilità della tutela reale’;
il Collegio d’appello ha, quindi, confermato la decisione del primo giudice che, nuovamente adito, aveva ‘ritenuto, sulla scorta del pregresso giudicato, di non poter esaminare la domanda di reintegra, avendo parte ricorrente esaurito il potere di impugnat iva con la proposizione del primo ricorso giudiziario’, atteso che ‘il giudicato, infatti, copre, , il dedotto ed il deducibile’;
avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il soccombente con due motivi, cui ha resistito l’intimata con controricorso;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il
deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi del ricorso possono essere sintetizzati come di seguito;
1.1. col primo si denuncia la violazione, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dell’art. 324 c.p.c. ‘in relazione al principio del ‘; si deduce che il precedente giudizio aveva ad oggetto esclusivamente il ‘mero accertamento della illegittimità del licenziamento’, sicché ‘il giudicato si è formato, , esclusivamente sulla domanda di accertamento della illegittimità del licenziament o’, con la conseguenza che doveva essere considerata proponibile la domanda successiva avente ad oggetto le conseguenze derivanti da detta illegittimità;
1.2. il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 18 della l. n. 300 del 1970, sostenendo che ‘è del tutto irrilevante che il ricorrente abbia o meno richiesto esso stesso tempestivamente la reintegra nel posto di lavoro, giacché essa discende come conseguenza automatica della preesistenza del rapporto giuridico e dell’accertamento giudiziale della ingiustizia della intimata risoluzione’;
il primo motivo del ricorso non può trovare accoglimento; è principio condiviso di questa Corte (Cass. n. 8053 del 2022), anche in riferimento alla versione dell’art. 18 St. lav., modificata dalla legge n. 108 del 1990, quello secondo cui: ‘Ai sensi dell’art. 18 della l. n. 300 del 1970, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla l. n. 92 del 2012, il giudice che accerta l’inefficacia o l’illegittimità del licenziamento deve ordinare la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, anche in mancanza di una esplicita domanda in tal senso del lavoratore licenziato, atteso che la reintegrazione salvo il caso di
espressa rinuncia ad essa – è compresa, come effetto tipico della tutela reale prevista dalla norma suddetta, nella domanda avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità od inefficacia del recesso del datore di lavoro’; pertanto, ‘una volta qualificata la domanda proposta dal lavoratore come diretta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento e al suo annullamento, il giudice non può esimersi dall’applicare la tutela legale prevista dall’art. 18, l. n. 300 del 1970’, nella sua previgente formulazione;
ne deriva che la pregressa pronuncia della Corte napoletana, che ha confermato la sola illegittimità del licenziamento impugnato dal COGNOME, senza disporre la reintegrazione del lavoratore quale effetto legale tipico della tutela reale prevista dalla norma pro tempore applicabile, ove non impugnata, è idonea a precludere ogni ulteriore statuizione sulle conseguenze sanzionatorie di quel licenziamento, per effetto dell’intervenuto giudicato;
osserva inoltre il Collegio che, come recentemente ribadito da questa Corte (v. Cass. n. 6758 del 2024) il giudicato, esplicito e implicito, sul cd. dedotto e deducibile non si forma su singoli punti della motivazione, ma sulla complessiva portata del giudicato; tale interpretazione della portata del giudicato, sia esso interno od esterno, va effettuata alla stregua di quanto stabilito nel dispositivo della sentenza e nella motivazione che la sorregge, potendo farsi riferimento, in funzione interpretativa, alla domanda della parte solo in via residuale qualora, all’esito dell’esame degli elementi dispositivi ed argomentativi di diretta emanazione giudiziale, persista un’obiettiva incertezza sul contenuto della statuizione (cfr. Cass. n. 21165 del 2019); sicché, qualora due giudizi tra le stesse parti si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi
sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il ” petitum ” del primo (cfr. Cass. n. 25269 del 2016; v. anche Cass. n. 41895 del 2021);
il secondo motivo è inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, che attiene alla improponibilità del presente giudizio per la preclusione derivante dal pregresso giudicato, mentre la censura qui proposta è proprio quella che avrebbe dovuto essere formulata nei confronti della precedente decis ione della Corte d’Appello di Napoli, che aveva disatteso l’effetto legale tipico della tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 St. lav. nella sua precedente formulazione;
conclusivamente, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso e le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ult eriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.000,00, oltre esborsi pari ad euro 200,00, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori secondo legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 5 giugno 2024.