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Effetto preclusivo del giudicato e licenziamento

Un lavoratore, dopo aver ottenuto una sentenza definitiva che dichiarava illegittimo il suo licenziamento ma senza ordinare la reintegra, ha avviato una seconda causa per ottenerla. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che l’effetto preclusivo del giudicato copre non solo le questioni decise, ma anche quelle che si sarebbero potute decidere nel primo processo. Pertanto, la domanda di reintegra, essendo una conseguenza legale del licenziamento illegittimo, non poteva essere proposta in un nuovo e separato giudizio.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Effetto preclusivo del giudicato: niente seconda causa per la reintegra

L’ordinanza in commento affronta un tema cruciale nell’ambito del diritto processuale del lavoro: l’effetto preclusivo del giudicato. La Corte di Cassazione chiarisce che, una volta ottenuta una sentenza definitiva che accerta l’illegittimità di un licenziamento, non è possibile avviare un secondo giudizio per chiedere la reintegrazione nel posto di lavoro, qualora questa non sia stata disposta nella prima pronuncia. Questo principio si basa sull’idea che il giudicato copre non solo ciò che è stato deciso, ma anche ciò che si sarebbe potuto e dovuto decidere.

I fatti del caso: La doppia causa per lo stesso licenziamento

Un lavoratore, licenziato nel 2010, aveva ottenuto una sentenza, passata in giudicato, che dichiarava l’illegittimità del recesso datoriale. Tuttavia, quella prima decisione, pur confermata in appello, non aveva disposto la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro, né le relative conseguenze risarcitorie.

Insoddisfatto, il lavoratore ha intrapreso un nuovo percorso giudiziario, chiedendo specificamente la reintegrazione e il risarcimento del danno sulla base dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dichiarato la domanda inammissibile, sostenendo che il lavoratore aveva esaurito il suo potere di azione con il primo ricorso. La questione è quindi giunta all’attenzione della Corte di Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione e l’effetto preclusivo del giudicato

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la decisione dei giudici di merito. Il fulcro della decisione risiede nell’applicazione rigorosa del principio dell’effetto preclusivo del giudicato, sancito implicitamente dall’art. 324 del codice di procedura civile.

I giudici hanno spiegato che il giudicato si estende non solo al “dedotto” (le questioni esplicitamente sollevate e decise), ma anche al “deducibile” (le questioni che, pur non sollevate, costituivano una conseguenza diretta e necessaria della domanda principale e avrebbero potuto essere decise).

Le motivazioni: perché la reintegra non può essere chiesta in un secondo momento?

La Corte ha argomentato che, secondo la versione dell’art. 18 della Legge n. 300/1970 applicabile all’epoca dei fatti, la reintegrazione nel posto di lavoro è un effetto legale tipico e una conseguenza diretta della declaratoria di illegittimità del licenziamento. Pertanto, il giudice che accerta l’illegittimità del recesso deve ordinare la reintegrazione anche se non vi è una domanda esplicita in tal senso da parte del lavoratore, a meno che quest’ultimo non vi abbia espressamente rinunciato.

Di conseguenza, la prima sentenza della Corte d’Appello, non impugnata e divenuta definitiva, nel momento in cui ha confermato la sola illegittimità del licenziamento senza disporre la reintegrazione, ha implicitamente definito tutte le conseguenze sanzionatorie di quel recesso. L’effetto preclusivo del giudicato ha quindi “cristallizzato” la situazione, impedendo che le stesse questioni potessero essere riesaminate in un successivo processo. Il secondo motivo di ricorso, incentrato sulla presunta automaticità della reintegra, è stato dichiarato inammissibile perché non si confrontava con la vera ragione della decisione impugnata, ovvero l’improponibilità della domanda a causa del giudicato pregresso.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per la certezza del diritto: una volta concluso un processo con una sentenza definitiva, le questioni in esso trattate o che avrebbero dovuto esserlo non possono essere riproposte. Per i lavoratori e i loro legali, ciò significa che è essenziale formulare sin dal primo ricorso tutte le domande connesse al diritto fatto valere. In caso di licenziamento illegittimo, è fondamentale assicurarsi che il giudizio affronti non solo l’accertamento dell’illegittimità, ma anche tutte le tutele conseguenti previste dalla legge, come la reintegrazione e il risarcimento del danno, per evitare di perdere definitivamente il diritto a tali tutele a causa dell’effetto preclusivo del giudicato.

Se un giudice dichiara un licenziamento illegittimo ma non ordina la reintegra, posso chiederla in una nuova causa?
No. Secondo la Cassazione, la richiesta di reintegra doveva essere decisa nel primo giudizio. Una volta che la prima sentenza diventa definitiva, l’effetto preclusivo del giudicato impedisce di avviare una nuova causa per le conseguenze che si sarebbero dovute far valere nel processo originario.

L’effetto preclusivo del giudicato copre solo ciò che è stato espressamente richiesto e deciso?
No, copre sia il “dedotto” (ciò che è stato discusso e deciso) sia il “deducibile” (ciò che si sarebbe potuto e dovuto discutere e decidere). Nel caso di licenziamento illegittimo, la reintegra è una conseguenza legale che il giudice deve applicare, e quindi rientra nel “deducibile”.

È necessario chiedere esplicitamente la reintegrazione nel ricorso contro il licenziamento illegittimo?
Secondo la versione dell’art. 18 della L. 300/1970 applicabile al caso analizzato, la reintegrazione è un effetto legale tipico della declaratoria di illegittimità del recesso. Il giudice deve disporla anche in assenza di una domanda esplicita del lavoratore, salvo che vi sia una sua espressa rinuncia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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