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Effetto interruttivo prescrizione: la Cassazione decide

Una società informatica ha citato in giudizio un ente previdenziale per un risarcimento danni derivante da un presunto inadempimento contrattuale. Le corti di merito hanno respinto la domanda a causa dell’intervenuta prescrizione decennale. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha confermato la decisione, chiarendo che né un invito a una transazione né una delibera interna dell’ente per istituire una commissione d’indagine possono avere un effetto interruttivo della prescrizione, in quanto non costituiscono un chiaro riconoscimento del diritto altrui.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Effetto interruttivo prescrizione: quando un atto ferma il tempo?

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione I Civile, n. 3192 del 5 febbraio 2024, offre un’importante lezione sull’effetto interruttivo della prescrizione, un concetto cruciale nel diritto civile. La Corte ha stabilito che non tutti gli atti o le comunicazioni tra le parti sono idonei a fermare il decorso del tempo; è necessaria una chiara e inequivocabile volontà di riconoscere il diritto altrui, cosa che non si riscontra in semplici inviti a trattative o in atti interni di un’organizzazione.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da una controversia tra una società di servizi informatici e un importante ente previdenziale nazionale. La società sosteneva di aver subito ingenti danni a causa dell’inadempimento dell’ente rispetto a un accordo siglato negli anni ’80, volto a riassorbire lavoratori in esubero tramite l’affidamento di appalti. Dopo aver intentato una prima causa nel 1998, poi estinta, la società ne avviava una nuova nel 2008, chiedendo un risarcimento di oltre 100 milioni di euro.

L’ente previdenziale si è difeso eccependo l’avvenuta prescrizione decennale del diritto al risarcimento, sostenendo che l’ultimo atto utile per interrompere i termini fosse la citazione del 1998. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione all’ente, rigettando la domanda della società.

L’Analisi della Corte di Cassazione e l’effetto interruttivo della prescrizione

La società ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basando la propria difesa su quattro motivi principali. Il fulcro dell’argomentazione era che la Corte d’Appello avesse errato nel non attribuire effetto interruttivo della prescrizione a due atti specifici: una comunicazione del 2004, con cui la società invitava l’ente a una transazione, e una delibera interna dell’ente del 2001, che istituiva una commissione per valutare le controversie pendenti.

La Motivazione “Per Relationem”

In primo luogo, la Cassazione ha rigettato la censura relativa alla nullità della sentenza d’appello per motivazione carente. La Corte d’Appello aveva motivato la sua decisione per relationem, cioè richiamando una precedente sentenza della Cassazione (la n. 27354/2016) emessa in un caso quasi identico tra le stesse parti. I giudici hanno chiarito che tale tecnica è legittima quando il giudice mostra di aver compreso la fattispecie concreta e di averla correlata criticamente al principio di diritto richiamato, come avvenuto nel caso di specie.

La Valutazione degli Atti e la mancanza di effetto interruttivo della prescrizione

Il cuore della decisione riguarda l’interpretazione degli atti che, secondo la ricorrente, avrebbero dovuto interrompere la prescrizione.
1. La comunicazione del 2004: La Corte ha affermato che la valutazione sull’idoneità di un atto a interrompere la prescrizione è un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito. In sede di legittimità, la Cassazione non può sostituire la propria interpretazione a quella dei giudici di grado inferiore, a meno che questa non sia viziata da errori logici o giuridici. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto che un invito a una transazione, pur contenendo un riepilogo delle pretese, non costituisse un atto di messa in mora o una chiara rivendicazione del diritto idonea a interrompere il decorso del tempo.
2. La delibera del 2001 e i lavori della commissione: Anche in questo caso, la Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito. Una delibera interna di un ente, che istituisce una commissione d’indagine per valutare l’opportunità di un accordo transattivo, è un atto interno, privo di autonoma valenza esterna. Non può essere qualificato come un riconoscimento di debito ai sensi dell’art. 2944 c.c., poiché non proviene da un soggetto con il potere di disporre del diritto e non manifesta una volontà ricognitiva inequivocabile. Anzi, la delibera rimetteva ogni decisione finale al Consiglio di Amministrazione, dimostrando la sua natura meramente esplorativa.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha sottolineato che l’accertamento del contenuto ricognitivo di un atto è riservato alla valutazione discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in Cassazione se immune da vizi logici ed errori di diritto. La ricorrente, con i suoi motivi di ricorso, cercava inammissibilmente di ottenere dalla Corte di Cassazione un nuovo esame del merito e una diversa valutazione delle risultanze processuali, attività preclusa in sede di legittimità.

I giudici hanno chiarito che per aversi un effetto interruttivo della prescrizione, l’atto deve manifestare chiaramente l’intenzione del titolare di far valere il proprio diritto o, nel caso del riconoscimento, la consapevolezza del debitore circa l’esistenza del debito. Le trattative, gli inviti a transigere e gli atti preparatori interni non possiedono, di per sé, queste caratteristiche.

Le Conclusioni

L’ordinanza rigetta integralmente il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali. La decisione riafferma principi consolidati in materia di prescrizione, offrendo importanti spunti pratici. Chi intende interrompere la prescrizione di un proprio diritto deve farlo con atti chiari e formali, come una costituzione in mora o un atto giudiziale, che non lascino dubbi sulla volontà di esercitare quel diritto. Confidare in atti interlocutori, trattative o procedimenti interni della controparte è un rischio che può portare alla perdita definitiva del diritto per decorso dei termini.

Un invito a una transazione è sufficiente per interrompere la prescrizione?
No, secondo l’ordinanza, un semplice invito a una transazione non è di per sé idoneo a interrompere la prescrizione. La valutazione è rimessa al giudice di merito, ma di norma tale atto è considerato privo della chiara e inequivocabile volontà di costituire in mora la controparte, necessaria per l’effetto interruttivo.

Una delibera interna di un ente che istituisce una commissione d’indagine su una controversia vale come riconoscimento di debito?
No, la Corte ha stabilito che una delibera interna di questo tipo è un atto privo di rilevanza esterna e non può essere qualificato come riconoscimento di debito ai sensi dell’art. 2944 c.c. Non manifesta un’intenzione ricognitiva e, inoltre, non proviene necessariamente da un organo con il potere di disporre del diritto controverso.

La Corte di Cassazione può riesaminare se un atto ha interrotto o meno la prescrizione?
La Corte di Cassazione può intervenire solo se la valutazione del giudice di merito è affetta da vizi logici o errori di diritto. Non può, invece, compiere un nuovo esame dei fatti o sostituire la propria interpretazione dell’atto a quella fornita nei gradi di giudizio precedenti, poiché si tratta di un accertamento di fatto riservato alla competenza del giudice del merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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