Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6942 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6942 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7133/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO n. 234/2022, depositata il 22/09/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
1. NOME COGNOME ha convenuto in giudizio la vicina NOME COGNOME davanti al Tribunale di Campobasso deducendo che la convenuta, dopo avere demolito il fabbricato di sua proprietà, nel costruirne uno nuovo, aveva sopraelevato il muro comune con la proprietà dell’attrice, realizzando degli sbalzi verso ed entro la sua proprietà che ledevano i suoi diritti; che il suo immobile aveva subito danni a causa dei lavori di demolizione e ricostruzione; e che a seguito di tali interventi aveva perso il diritto di sopraelevare.
L’attrice chiedeva quindi di accertare che il fabbricato di proprietà della convenuta ha in comunione il muro portante in muratura con l’attiguo fabbricato di proprietà della ricorrente, che il fabbricato di proprietà della convenuta presenta difformità strutturali nella sua realizzazione e in particolare nella sopraelevazione del muro comune rispetto agli elaborati progettuali, nonché di determinare se le modalità utilizzate per la costruzione e le difformità strutturali evidenziate consentono all’attrice di fare pari uso del muro comune e dello spazio sovrastante il muro comune stesso; di condannare la convenuta all’abbattimento del fabbricato e al risarcimento di tutti danni arrecati all’attrice a seguito della demolizione e ricostruzione e, in particolare, di quelli causati dalla ‘perdita del diritto di sopraelevare il proprio fabbricato appoggiandosi al muro di confine in comunione fra i due edifici contigui’.
Con la sentenza n. 370/2018, il Tribunale di Campobasso ha accolto la domanda dell’attrice ‘nei limiti di cui in parte motiva’ e per l’effetto ha condannato la convenuta a pagare la somma di euro 24.458,87 a titolo di risarcimento del danno, avendo ritenuto che ‘il muro portante in pietra, esistente tra i due fabbricati, ‘è in comune’ e avendo riconosciuto la sussistenza dei danni relativi al fabbricato e al relativo tetto nonché quello relativo alla perdita della possibilità di edificare un piano in sopraelevazione.
La sentenza è stata impugnata in via principale dalla COGNOME e in via incidentale dalla Cirucci.
Con la sentenza 22 settembre 2022, n. 234, la Corte d’appello di Campobasso ha parzialmente accolto l’appello principale della convenuta e ha rigettato l’appello incidentale dell’attrice . In particolare, la Corte di merito ha ritenuto fondata la contestazione dell’appellante principale circa l’erronea ritenuta comunione del muro divisorio in pietra anche per la parte che sovrasta il fabbricato di Cirucci; la Corte d’appello ha precisato che l’accoglimento di tale censura è avvenuto ‘ferma restando l’accertata perdita del diritto di sopraelevare e la relativa liquidazione del danno’ (pag. 8 della sentenza impugnata) e ha ancora puntualizzato che, rispetto alla liquidazione dell’importo di euro 19.600 per la perdita della possibilità di sopraelevare, con l’appello incidentale la COGNOME ha chiesto la conferma della suddetta statuizione e la statuizione non è stata impugnata dall’appellante principale COGNOME con la conseguenza che la statuizione deve ritenersi coperta da giudicato interno.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME con un unico motivo, contrastato con controricorso da NOME COGNOME
Il Consigliere delegato dal Presidente della sezione ha ritenuto che il ricorso sia inammissibile e/o manifestamente infondato e ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis , comma 1 c.p.c.
La ricorrente ha chiesto, ai sensi del comma 2 dell’art. 380 -bis c.p.c., la decisione del ricorso da parte del Collegio.
Memoria è stata depositata dalla controricorrente.
CONSIDERATO CHE
L’unico motivo di ricorso denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 336 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c.: a dire della ricorrente, la Corte d’appello, avendo accolto il terzo motivo del gravame principale nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto erroneamente comune il muro divisorio laddove sovrasta il
fabbricato di COGNOME sulla base dell’effetto espansivo interno della riforma del provvedimento impugnato avrebbe dovuto riformare la sentenza di primo grado anche laddove ha condannato la COGNOME al risarcimento del danno per avere occupato l’intera parte del muro impedendo alla controparte di farne parimenti uso in caso di sopraelevazione.
Il motivo è infondato.
Viene contestata l’affermazione della Corte d’ Appello secondo cui, non essendo stato impugnato dalla ricorrente il capo della sentenza di primo grado che l’aveva condannata al risarcimento del danno causato all’attrice dalla perdita della possibilità di sopraelevare, la relativa decisione deve ritenersi coperta da giudicato interno. Secondo la ricorrente tale capo della sentenza sarebbe stato invece travolto dall’accoglimento del terzo motivo del proprio atto d’appello, che contestava l’ ‘erronea ritenuta comunione del muro divisorio in pietra anche nella parte che sovrasta e ha sempre sovrastato il fabbricato Cirucci’, accoglimento che avrebbe travolto, in base al principio del c.d. effetto espansivo interno, il capo della sentenza di primo grado che aveva condannato a risarcire il danno da mancata possibilità di sopraelevare.
Ad avviso della ricorrente non vi sarebbe ‘alcun dubbio sulla sussistenza del nesso conseguenziale tra il capo della sentenza di primo grado impugnato (comunione del muro sovrastante il fabbricato Cirucci) e la statuizione relativa al risarcimento del danno’, che riconosce di non avere impugnato, così che il giudice d’appello ‘automaticamente’ avrebbe dovuto statuire che nessun risarcimento spetta alla controparte, senza invocare la formazione della cosa giudicata.
Questa tesi non è condivisibile.
La ricorrente, che non offre nessun argomento sulla dipendenza tra i due capi della sentenza di primo grado, se non l’autoevidenza, si pone in contrasto con l’orientamento di questa Corte peraltro da
lei stessa richiamato -secondo cui la regola dell’effetto espansivo interno, costituendo un’eccezione al principio della formazione del giudicato in mancanza di impugnazione, va applicata con estremo rigore, dovendosi perciò escludere che l’impugnazione della statuizione sulla questione principale rimetta in ogni caso in discussione la decisione sulla stessa questione dipendente, posto che ciò potrà e dovrà accadere solo ove sia imposto dal tenore della decisione relativa all’impugnazione principale, ossia quando tale ultima decisione si ponga in contrasto con quella sulla questione dipendente (così Cass. n. 19937/2004 e, più di recente, Cass. n. 23985/2019; Cass. n. 37565/2021).
Nel caso in esame, la Corte d’appello, avendo affermato l’operare del giudicato in relazione al capo della sentenza di condanna al risarcimento del danno, ha evidentemente escluso l’operare della regola di cui al primo comma dell’art. 336 c.p.c.
La ricorrente aveva quindi l’onere di dimostrare rigorosamente come la parziale riforma del capo della sentenza di primo grado, che aveva accertato la natura comune del muro di divisione, nel senso della natura comune solo sino alla parte sopraelevata dalla ricorrente, si ponesse in contrasto, di fatto o di diritto, con la condanna della ricorrente a risarcire il danno da mancata possibilità di sopraelevare, contrasto che non emerge in maniera diretta e immediata dalla sentenza impugnata.
2. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., avendo il Collegio definito il giudizio in conformità alla proposta, trovano applicazione il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. (v. al riguardo la pronuncia delle sezioni unite n. 28540/2023, secondo cui, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, nel
prevedere nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c., ‘codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi a una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente’).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente, che liquida in euro 2.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, nonché al pagamento sempre in favore della controricorrente di euro 2.500,00 ai sensi del comma 3 dell’art. 96 c.p.c. e al pagamento di euro 2.000 ,00 in favore della Cassa delle A mmende ai sensi del comma 4 dell’art. 96 c.p.c.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione