LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Edifici di culto: l’onere della prova sulla destinazione

Un ente ministeriale ha rivendicato la proprietà di una chiesa, parte di un complesso ceduto storicamente a un ente pubblico. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che grava sull’ente rivendicante l’onere della prova di dimostrare che l’edificio fosse effettivamente destinato al culto al momento della cessione originaria. In assenza di tale prova, la cessione dell’intero complesso è da considerarsi legittima e comprensiva della proprietà della chiesa.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Onere della Prova e Proprietà degli Edifici di Culto: La Lezione della Cassazione

La questione della proprietà di immobili storici, specialmente quelli di origine ecclesiastica, è spesso complessa e radicata in normative secolari. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in materia: l’onere della prova. Chi rivendica la proprietà di un edificio di culto, sostenendo che fosse escluso da un trasferimento di beni avvenuto in passato, deve dimostrare in modo inequivocabile che, all’epoca dei fatti, l’immobile era effettivamente e attivamente destinato alle funzioni religiose. Senza questa prova, la pretesa non può essere accolta.

I Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria nasce dalla richiesta di un ente ministeriale, successore del Fondo per il Culto, di accertare la propria proprietà su una chiesa situata all’interno di un più ampio complesso immobiliare. Questo complesso, originariamente un convento, era stato trasferito in base alle cosiddette “leggi eversive” di fine Ottocento prima al demanio dello Stato e, successivamente, concesso a un Comune.

Nel corso del tempo, il Comune aveva a sua volta ceduto l’intero complesso a un ente previdenziale nazionale. L’ente ministeriale sosteneva che la chiesa, in quanto edificio di culto, non avrebbe mai potuto essere inclusa in tali trasferimenti di proprietà, ma solo concessa in uso, rimanendo di sua proprietà. Di contro, l’ente previdenziale rivendicava la piena proprietà di tutto il compendio, inclusa la chiesa.

La Decisione della Corte e l’Onere della Prova

Il Tribunale di primo grado aveva dato ragione all’ente ministeriale. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, respingendo la domanda. La Corte Suprema di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in via definitiva, ha confermato la sentenza d’appello, rigettando il ricorso dell’ente ministeriale.

Il punto cruciale della decisione ruota attorno al principio dell’onere della prova, sancito dall’articolo 2697 del codice civile. La Corte ha stabilito che spettava all’ente che agiva in rivendica (il ricorrente) dimostrare il presupposto della sua pretesa: ovvero che la chiesa, al momento della cessione storica al Comune, fosse conservata al suo uso di culto. Tale circostanza, infatti, avrebbe attivato la norma eccezionale che escludeva gli edifici di culto dalla piena devoluzione dei beni degli enti ecclesiastici soppressi.

Le Motivazioni della Corte

I giudici di legittimità hanno articolato il loro ragionamento su diversi punti chiave. In primo luogo, hanno chiarito che l’interpretazione degli atti storici e delle clausole contrattuali spetta ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non può essere ridiscussa in sede di Cassazione, se non per vizi logici o giuridici che, nel caso di specie, non sono stati riscontrati.

La Corte d’Appello aveva correttamente osservato che mancava qualsiasi prova concreta che la chiesa fosse aperta al culto pubblico al momento della cessione ottocentesca. Anzi, diversi elementi suggerivano il contrario. La semplice clausola che imponeva al Comune di tenere aperta la porta della chiesa non era, secondo i giudici, una prova sufficiente della sua destinazione attiva al culto.

La Cassazione ha quindi concluso che, in assenza di una prova rigorosa fornita dal rivendicante, la cessione originaria al Comune doveva essere intesa come un trasferimento di piena proprietà dell’intero complesso, inclusa la chiesa, secondo la regola generale prevista dalla legge dell’epoca (art. 20 della legge n. 3036/1866) e non secondo l’eccezione (art. 18).

Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: nelle controversie sulla proprietà di beni di origine ecclesiastica, non è sufficiente affermare la natura di “edificio di culto” di un immobile. È necessario fornire prove concrete e storicamente situate della sua effettiva destinazione funzionale al momento dei trasferimenti di proprietà che sono oggetto di contestazione. L’onere della prova ricade interamente su chi avanza la pretesa e la sua mancata soddisfazione determina inevitabilmente il rigetto della domanda. La decisione riafferma la centralità di questo principio, anche quando si tratta di interpretare eventi e normative risalenti a oltre un secolo fa, garantendo certezza nei rapporti giuridici consolidati nel tempo.

Chi deve dimostrare che un edificio di culto era effettivamente destinato a tale uso al momento di un trasferimento storico?
Secondo la Corte, l’onere della prova spetta alla parte che rivendica la proprietà del bene (in questo caso, l’ente ministeriale), la quale deve dimostrare che l’edificio era conservato al culto pubblico al momento della cessione, per poter beneficiare delle norme di eccezione che ne escludevano il trasferimento di proprietà.

La cessione di un bene da parte del Fondo per il Culto a un Comune, secondo la legge del 1866, trasferiva la proprietà o solo l’uso?
La Corte chiarisce che la “concessione” ai sensi dell’art. 20 della legge n. 3036 del 1866 deve essere interpretata come un vero e proprio trasferimento di proprietà, non un semplice diritto di godimento, a meno che non si dimostri l’applicazione di specifiche eccezioni, come quella per gli edifici conservati al culto.

Cosa succede se non c’è la prova che una chiesa, parte di un complesso conventuale soppresso, fosse aperta al culto al momento della sua cessione a un ente pubblico?
In assenza di tale prova, la chiesa non rientra nell’eccezione prevista dall’art. 18 della legge del 1866. Di conseguenza, si considera che sia stata legittimamente trasferita in piena proprietà insieme al resto del complesso immobiliare, seguendo la regola generale della devoluzione dei beni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati