Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4207 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2   Num. 4207  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31995/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE‘avvocato RAGIONE_SOCIALE (P_IVA), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE‘avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE),  che  lo  rappresenta  e  difende  unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrente- avverso la SENTENZA RAGIONE_SOCIALEa CORTE D’APPELLO ROMA n. 4979/2019, depositata il 18/07/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
RAGIONE_SOCIALE (‘RAGIONE_SOCIALE‘) conveniva in  giudizio  innanzi  al  Tribunale  di  Roma l’RAGIONE_SOCIALE,  quale successore ex lege RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE,  al  fine  di  chiedere  ed  ottenere  l’accertamento  in proprio favore del diritto di proprietà RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE di San Pietro in Vineis sita in Anagni, collocata all’RAGIONE_SOCIALE del convitto Principe di RAGIONE_SOCIALE, con conseguente condanna RAGIONE_SOCIALE‘ente convenuto al rilascio del bene così rivendicato.
1.1. A sostegno RAGIONE_SOCIALEa sua pretesa, spiegava il FEC che la proprietà RAGIONE_SOCIALE‘intero fabbricato, all’RAGIONE_SOCIALE del quale è situata la RAGIONE_SOCIALE nella cui proprietà si discute, era stata trasferita al FEC per effetto diretto di legge, R.D. 07/07/1866, n. 3036, con il quale vennero soppresse le corporazioni RAGIONE_SOCIALE e i beni appartenenti a quest’ultime furono devoluti al demanio RAGIONE_SOCIALEo Stato per il tramite del RAGIONE_SOCIALE, al quale è subentrato il FEC ai sensi RAGIONE_SOCIALEa legge 21 febbraio 1985, n. 222. Dettagliava l’attore che con atto del 7 luglio 1877 l’intero fabbricato era stato ceduto, ex art. 20 del R.D. n. 3036/1866 citato, dal RAGIONE_SOCIALE al Municipio di Anagni che ne aveva fatto richiesta al fine di permetterne l’uso a mo’ di opificio di mendici tà. Con atto del 06.12.1925 il Comune di Anagni cedette gli immobili trasmessi dal RAGIONE_SOCIALE – ivi inclusa la chiesa di cui è causa -all’IRAGIONE_SOCIALE, dante causa RAGIONE_SOCIALE‘INADEL, poi RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE e, infine, RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE, che vi avevano istituito il collegio Principe di RAGIONE_SOCIALE per i figli degli iscritti all’ente. A giudizio di parte attrice, tale avvenuta cessione è da intendersi limitatamente alla RAGIONE_SOCIALE – come mera cessione in uso ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 18 del Regio Decreto citato, poiché la RAGIONE_SOCIALE, intesa quale struttura, è da considerarsi edificio di culto conservato a questa destinazione.
1.2. Il Tribunale di Roma adito accoglieva la domanda di revindica proposta dal FEC, ritenendo che l’atto di cessione del 29.08.1877 non potesse ricomprendere la RAGIONE_SOCIALE in forza RAGIONE_SOCIALE‘art. 18 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 3036
del  1886,  in  quanto  edificio  ad  uso  di  culto  conservato  a  questa destinazione, traendo tale convinzione dalla previsione di cui all’atto stesso che riconosceva al Comune il potere di tenere aperta la porta per consentire che la RAGIONE_SOCIALE fosse destinata al culto pubblico, con spese a carico del municipio cessionario, senza alcuna ingerenza e spese del demanio e del FEC e senza impegno per l’adempimento nella chiesa RAGIONE_SOCIALEe pie funzioni a carico del fondo.
 L’RAGIONE_SOCIALE  impugnava la decisione innanzi alla Corte d’Appello di Roma che, in totale riforma nella pronuncia, accoglieva il gravame e rigettava la domanda proposta dal RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, compensando le spese del doppio grado. A sostegno RAGIONE_SOCIALEa sua decisione, la Corte distrettuale osservava che:
la concessione di cui parla l’art. 20 legge n. 3036 del 1866 è da intendere  come  concessione  in  proprietà:  ciò  è  dimostrato  dalla successiva  legge  27  maggio  1929  n.  848  (normativa  adottata  in occasione del concordato fra stato e chiesa), il cui art. 8 espressamente qualifica  come  «proprietari»  i  comuni  e  le  province  cui  siano  stati concessi  i  fabbricati  dai  conventi  soppressi,  richiamando  peraltro proprio l’articolo 20 legge n. 3036 del 1866 (Cass. n. 26349/2009).
l’art. 18 legge n. 3036 del 1866 dispone l’esclusione RAGIONE_SOCIALEa devoluzione al demanio degli edifici ad uso di culto che si conserveranno a questa destinazione con i relativi arredi (v. anche R.D. 11/08/1870, n. 5784): nel caso di specie, non vi è prova RAGIONE_SOCIALEa conservazione al culto RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE oggetto RAGIONE_SOCIALE‘atto di trasferimento al Comune di Anagni; né può condividersi quanto affermato dal primo giudice, che fa discendere tale evidenza dalla previsione del mero potere del Comune di tenere aperta la porta RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE;
il difetto di destinazione al culto si ricava , invece: a) dall’atto del 06.12.1925 di cessione all’RAGIONE_SOCIALE, ove era contenuta una clausola di
retrocessione in ipotesi di mutamento RAGIONE_SOCIALE‘uso di destinazione (collegio per gli orfani dei dipendenti degli Enti locali); b) dagli artt. 6 e 8 RAGIONE_SOCIALEa legge concordataria 26 maggio 1929, n. 848, posto che la RAGIONE_SOCIALE di cui è causa non era stata toccata dagli effetti RAGIONE_SOCIALEe disposizioni ivi contenute, ossia la retrocessione RAGIONE_SOCIALEe chiese già appartenenti agli enti ecclesiastici soppressi e la consegna RAGIONE_SOCIALEe stesse all’autorità ecclesiastica: ciò in quanto, in forza di tale disciplina, solo le chiese ex conventuali chiuse al culto -appartenenti alle case RAGIONE_SOCIALE soppresse con le leggi eversive -potevano essere attribuite al demanio RAGIONE_SOCIALEo Stato ed essere diversamente utilizzate (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10481 del 21/05/2015, Rv. 635442 – 01).
La suddetta pronuncia veniva impugnata dal RAGIONE_SOCIALE  per  la  cassazione,  e  il  ricorso affidato ad un unico motivo.
L’ RAGIONE_SOCIALE si difendeva depositando controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione di legge, artt. 1362 e 1363 cod. civ., art. 2697 cod. civ., artt. 18, 20 e 25 legge 7 luglio 1866, n. 3036; art. 831 cod. civ., artt. 6 e 8 legge 27 maggio 1929, n. 848, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. Con tre diverse censure il ricorrente lamenta: i. violazione dei canoni ermeneutici nell’interpretazione RAGIONE_SOCIALEe clausole contenute nell’atto di cessione del 29.08.1877, n on avendo il giudice di seconde cure considerato l’esatta portata RAGIONE_SOCIALEa voluntas dei contraenti risultante, in particolare, dalla clausola contenuta a p. 3 RAGIONE_SOCIALE‘atto in questione, né avendo essa interpretato le clausole le une per mezzo RAGIONE_SOCIALEe altre; ii. violazione dei principi in materia di interpretazione RAGIONE_SOCIALEe prove per omessa considerazione RAGIONE_SOCIALE‘esatto significato letterale RAGIONE_SOCIALEa clausola contenuta a p. 3 RAGIONE_SOCIALE‘atto citato,
nonché per violazione RAGIONE_SOCIALEe regole di giudizio fondate sull’onere RAGIONE_SOCIALEa prova come disciplinato dall’art. 2697, comma 2, cod. civ.: tenuto conto, infatti, RAGIONE_SOCIALE‘avvenuta dimostrazione RAGIONE_SOCIALE‘apertura RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE al culto al momento RAGIONE_SOCIALEa cessione, sarebbe stato onere RAGIONE_SOCIALEa convenuta RAGIONE_SOCIALE provare che la RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata successivamente sottratta al culto; iii. violazione RAGIONE_SOCIALEe disposizioni degli artt. 18, 20, e 25 legge 1866, n. 3036, RAGIONE_SOCIALE‘art. 831 cod. civ., nonché degli artt. 6 e 8 legge 1929, n. 848, laddove la Corte d’Appello ha ritenuto di desumere un ulteriore elemento dimostrativo RAGIONE_SOCIALEa chiusura RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE al culto dal fatto che l’edificio in questione non sarebbe stato toccato dalle disposizioni citate.
1.1. Il motivo in parte è inammissibile ed in parte infondato.
1.2. Occorre precisare che la legge n. 3036 del 1866 disconosceva «gli Ordini, le Corporazioni e le RAGIONE_SOCIALE, ed i Conservatorii e Ritiri, i quali importino vita comune ed abbiano carattere ecclesiastico» (art. 1) e, tra l’altro, provvedeva alla generale confisca dei loro beni(da qui la denominazione di legge eversiva): «Salve le eccezioni contenute nei seguenti articoli, tutti i beni di qualunque specie appartenenti alle Corporazioni soppresse dalla presente Legge e dalle precedenti, o ad alcun titolare RAGIONE_SOCIALEe medesime, sono devoluti al demanio RAGIONE_SOCIALEo Stato» (art. 11). Tra le eccezioni menzionate nella regola generale di confisca vi sono gli artt. 18 e 20. L’art. 20 consentiva che «I fabbricati dei conventi soppressi da questa e dalle precedenti Leggi, quando sieno sgombri dai religiosi, saranno conceduti ai Comuni ed alle Provincie, purché ne sia fatta dimanda entro il termine di un anno dalla pubblicazione di questa Legge …» , alla luce del principio di utilità sociale in senso liberale ed in prospettiva economica, e al fine di promuovere le attività di pubblica utilità e di beneficienza a cura degli enti pubblici del giovane nuovo Stato italiano.
Tanto  accadde  al  complesso  del  RAGIONE_SOCIALE  di Anagni il quale, dapprima trasferito ex lege (art. 11) al demanio RAGIONE_SOCIALEo Stato tramite RAGIONE_SOCIALE, a séguito di espressa e tempestiva richiesta del Municipio di Anagni, fu trasferito a quest’ultimo in virtù di atto di cessione (previsto, appunto dall’art. 20) del 29.08.1877 .
La questione sollevata dall’odierno FEC è se la RAGIONE_SOCIALE di San Pietro in Vineis , sita nel Convitto Principe di RAGIONE_SOCIALE sia, invece, sottratta a tale «cessione», rimanendo perciò nella proprietà del FEC. La sottrazione RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE alla concessione al Comune di Anagni, a giudizio dei ricorrenti, sarebbe desumibile in via interpretativa dallo stesso atto di concessione; e, al contempo, dalla regolare distribuzione degli oneri di prova, nonché RAGIONE_SOCIALEa corretta interpretazione RAGIONE_SOCIALEe disposizioni concordatarie.
1.2.1. Il motivo è inammissibile nella parte in cui ripropone a questa Corte una diversa lettura RAGIONE_SOCIALE‘atto di concessione con cui il FEC aveva trasferito al municipio di Anagni il complesso del RAGIONE_SOCIALE. Il ricorrente non spiega come avrebbe la Corte distrettuale violato i canoni ermeneutici relativi al significato letterale, posto che il giudice di seconde cure non ha affatto desunto l’apertura RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE al RAGIONE_SOCIALE dall’apertura RAGIONE_SOCIALEa porta a cura del Comune: al contrario, escludendo che tale impegno potesse essere utilizzato come prova RAGIONE_SOCIALEa destinazione al culto (v. sentenza p. 4, 2° capoverso) il giudice di seconde cure ha dedotto che, al momento RAGIONE_SOCIALEa cessione, la RAGIONE_SOCIALE in questione non fosse aperta al culto in virtù di una lettura sistematica RAGIONE_SOCIALEe disposizioni di legge applicabili al caso. Tra queste, innanzitutto la mancata menzione nell’atto di cessione RAGIONE_SOCIALE‘art. 18 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 3036 del 1866, norma che eccettua dalla devoluzione al Demanio e dalla conversione (tra gli altri): «1° Gli edifizi ad uso di culto che si conserveranno a questa destinazione, in un coi quadri, statue,
mobili ed arredi sacri che vi si trovano»: afferma la Corte d’Appello che, se la RAGIONE_SOCIALE di San Pietro in Vineis avesse ancora conservato la destinazione a luogo di culto al tempo RAGIONE_SOCIALEa cessione, non sarebbe potuta rientrare neanche tra i beni conferiti ex lege al Demanio. Inoltre, anche dalla lettura sistematica RAGIONE_SOCIALEe leggi concordatarie la Corte distrettuale ha correttamente tratto la conclusione riguardo la non destinazione ad uso di culto, perché altrimenti la RAGIONE_SOCIALE sarebbe rientrata tra gli immobili da retrocedere all’autorità ecclesiastica.
1.2.2. Né il ricorrente spiega come la Corte distrettuale avrebbe violato le norme ermeneutiche sull’interpretazione sistematica RAGIONE_SOCIALEe clausole RAGIONE_SOCIALE‘atto di concessione , posto che la deduzione proposta dal ricorrente tratta dal contenuto del verbale di cessione alla p. 4 -ove si prevedeva la restituzione all’Amministrazione degli arredi sacri nel caso in cui non fosse stato rispettato dal municipio il vincolo funzionale rappresentato dall’officio RAGIONE_SOCIALEe pie funzioni rappresenta una RAGIONE_SOCIALEe possibili e plausibili interpretazioni RAGIONE_SOCIALE‘atto negoziale: quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (tra le tante: Cass., Sez. 3, n. 24539 del 20/11/2009; Sez. 1, n. 4178 del 22/02/2007).
1.3. Il motivo è altresì infondato nella parte in cui ritiene violata la corretta distribuzione degli oneri di prova. Come si è detto supra , punto 1.2., la legge di soppressione RAGIONE_SOCIALEe corporazioni RAGIONE_SOCIALE (R.D. del 1866, n. 3036), ha attribuito i beni degli enti religiosi al demanio statale (art. 11), ad eccezione dei fabbricati conventuali, la cui «concessione» ai comuni ed alle province che ne avessero fatto richiesta entro un anno (art. 20) dev’essere interpretata nel senso che gli anzidetti fabbricati conventuali sono stati attribuiti in proprietà e non in godimento agli
enti  locali,  con  la  conseguenza  che  l’Amministrazione  comunale,  la quale rivendichi uno  dei suddetti fabbricati, non  ha  l’onere di dimostrarne l’avvenuto acquisto (a titolo derivativo o per usucapione), essendo questo avvenuto per effetto diretto RAGIONE_SOCIALEa legge (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26394 del 16/12/2009, Rv. 610974 – 01).
1.3.1. Tanto precisato, la Corte d’Appello ha adeguatamente e plausibilmente motivato in merito all’assenza di prova tratta dalla normativa vigente – RAGIONE_SOCIALEa conservazione RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE in questione a luogo di culto. Deve aggiungersi in questa sede che l’art. 831, comma 2, cod. civ. è la disposizione cardine del regime speciale degli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico, poiché stabilisce che essi non possono essere sottratti alla loro destinazione fino a che questa non sia cessata in conformità RAGIONE_SOCIALEe leggi che li riguardano. Il vincolo di destinazione, chiarisce la norma, si applica anche se i beni appartengono a privati e non cessa in caso di loro alienazione; nonché, si può aggiungere, in linea con la ratio legis , in caso di qualsiasi altro atto di disposizione, sia inter vivos sia mortis causa . Le speciali disposizioni a tutela degli edifici di culto si riferiscono, infatti, ad immobili che indipendentemente dalla qualifica del soggetto che ne sia proprietario (ente pubblico o privato persona fisica) siano comunque aperti al culto pubblico. Si tratta, secondo la lettura prevalente, di un diritto reale di servitù di uso pubblico. Orbene: l’ordinamento giuridico statuale compie un rinvio al diritto canonico per individuare sia il momento in cui comincia, sia il momento in cui cessa il vincolo di destinazione che connota il regime speciale RAGIONE_SOCIALEa res sacra . Capire se si tratta di res sacrae costituisce una RAGIONE_SOCIALEe difficoltà più significative per il riuso di tali edifici, soprattutto laddove di fatto non vi si eserciti più il culto, siano inutilizzati, oppure adibiti ad altri usi, magari da lungo tempo, come nel caso RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE di San Pietro in Vineis.
Alla luce RAGIONE_SOCIALEa normativa vigente, spettava, quindi, al FEC, ex art. 2697 cod. civ., dimostrare la destinazione al culto pubblico RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE di cui è causa secondo il diritto canonico e, quindi, la sua originaria sottrazione alla concessione al Comune di Anagni.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso;  le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma RAGIONE_SOCIALE‘art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALEe spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in €3.000,00 per compensi, oltre ad €200,00 per esborsi e agli accessori di le gge nella misura del 15%.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore RAGIONE_SOCIALEa pronuncia, va dato atto, ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 13, comma  1quater D.P.R. n. 115/02, RAGIONE_SOCIALEa sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma RAGIONE_SOCIALE‘art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  RAGIONE_SOCIALEa  Seconda