Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24709 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24709 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 5454 del ruolo generale dell’anno 2020
, proposto da
Comune di Calatabiano , in persona del Sindaco pro tempore dott. NOME COGNOME (P_IVA, autorizzato al presente ricorso con deliberazione di Giunta n. 142 del 14.11.19, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO intINDIRIZZO (studio dell’Avv. NOME COGNOME), rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOMEcodice fiscale CODICE_FISCALE, P.E.C. EMAIL.ordineavvocaticataniaEMAIL e fax NUMERO_TELEFONO), che lo rappresenta e difende giusto mandato speciale in calce al ricorso.
Ricorrente
contro
NOME NOME , nato a Messina il 04/09/1970 (C.F.: CODICE_FISCALE, COGNOME NOME , nata a Pola il 26/09/1936 (C.F.: CODICE_FISCALE, entrambi residenti in Taormina (ME), INDIRIZZO rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE), p.e.c. EMAIL -fax NUMERO_TELEFONO, del foro di Messina, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO
presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale alle liti conferita su foglio separato e ed allegato al ricorso.
Controricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n° 2366 depositata il 29 ottobre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- Il 14 maggio 1991 NOME COGNOME ed NOME COGNOME cedevano volontariamente al Comune di Caltabiano una porzione di terreno di loro proprietà, pari a 1.180 mq, onde consentire la realizzazione di una strada di collegamento della strada provinciale con il torrente San Giorgio per il prezzo complessivo di lire 20.700 al metro quadrato.
Tuttavia, il Comune, dopo aver appaltato i lavori all’impresa NOME COGNOME, occupava arbitrariamente ulteriori 374 mq di suolo.
2 .- I proprietari agivano quindi davanti al tribunale di Catania, sezione distaccata di Giarre, chiedendo la condanna dell’Ente locale al risarcimento dei danni derivanti dall’illegittima occupazione e dall’irreversibile trasformazione del terreno.
Il tribunale accoglieva la domanda e condannava il Comune a pagare agli attori euro 13.014,71.
La Corte d’appello dichiarava inammissibile l’appello del Comune, ritenendo la notifica dell’impugnazione inesistente (in quanto eseguita all’avvocato NOME in Catania, difensore dei COGNOME -Torre, deceduto nel novembre 2002, dopo il deposito della prima decisione).
Adita dal Comune, questa Corte, con ordinanza n° 12499/2011, cassava la sentenza d’appello, ritenendo la notifica non inesistente, ma solo nulla e sanata dalla costituzione in giudizio degli appellati.
3 .-Riassunta in sede di rinvio dall’Ente locale, la causa è stata quindi decisa con la sentenza indicata in intestazione, con la quale la Corte etnea ha rigettato nel merito l’appello del Comune.
Osservava il giudice del rinvio che quest’ultimo non aveva un Piano regolatore, donde l’applicazione della normativa di salvaguardia prevista dalla legge n° 10/1977 e, in particolare, dell’art. 4 di essa, che prevedeva -per l’ipotesi di Comuni sprovvisti di strumenti urbanistici generali -un indice di edificabilità pari a 0,03 metri cubi per ogni metro quadrato di area edificabile.
Ciò, tuttavia, come statuito da Cass. 21424 ( recte : 21434) del 2007, non comportava che il valore del terreno occupato dovesse farsi coincidere con quello agricolo.
Il valore del suolo andava, infatti, accertato mediante il criterio della edificabilità di fatto, tenendo conto in particolare del microsistema urbanistico nel quale era inserito il fondo e dei vincoli legislativi idonei ad incidere sulla sua edificabilità.
Riguardo a questi ultimi, era insussistente il vincolo di inedificabilità stradale dedotto dal Comune, dato che -come risultava dalla c.t.u.
-la strada comunale era stata realizzata su una precedente via sterrata di proprietà privata.
Anche il vincolo derivante dalla presenza di un torrente doveva essere escluso, in quanto -sebbene l’art. 96, lettere f), del r.d. 25 luglio 1904, n° 523, prevedesse una fascia di rispetto di dieci metri dal corso d’acqua la superficie abusivamente occupata si trovava a distanza maggiore.
Inapplicabile era, infine, anche il vincolo previsto dall’art. 1 della legge Galasso (legge n° 431/1985) -prevedente una fascia di rispetto di centocinquanta metri dall’argine del corso d’acqua dato che residuavano comunque trenta metri lineari (quelli più lontani dall’argine) che non erano gravati dal vincolo paesaggistico. Passando, poi, alla liquidazione del danno secondo il criterio della edificabilità di fatto, la Corte rilevava, sulla base della c.t.u., che il
Piano regolatore comunale era stato bocciato dall’Assessorato regionale e che l’area interessata rientrava in parte nella zona edificabile B3 con indice di fabbricabilità di 4mc/mq e in altra parte in zona a verde attrezzato.
Pertanto, data la presenza di un gran numero di costruzioni, sia di vecchia che di nuova edificazione, e la vicinanza del terreno con strade di notevole importanza (tra le quali la s.s. 114), se ne doveva inferire, secondo la Corte, la vocazione edificatoria del terreno, che era la più coerente col microsistema.
In conclusione, era condivisibile il risultato finale cui era pervenuto il c.t.u., il quale, ammettendo una possibilità edificatoria pari alla metà di quella del PRG bocciato, aveva appurato che sull’area poteva essere realizzata una cubatura complessiva di (374 x 2 =) 737 mc, corrispondenti a circa sette vani.
Considerando, poi, il valore di un vano nel 1991 pari a lire 18 milioni, nonché ‘ una percentuale di permuta pari a 20% sul costruito ‘, si otteneva che il fondo valeva quanto già liquidato dal tribunale, ossia lire 25.200.000 (18.000.000 x 7 x 0,20), corrispondenti a lire 67.380/mq.
Da ultimo, l’eccezione di prescrizione quinquennale del Comune era infondata: gli appellati, infatti, avevano controeccepito l’inammissibilità di essa perché formulata per la prima volta in appello, senza alcuna replica da parte dell’appellante Comune.
Non era presente nel fascicolo di causa la comparsa di risposta di primo grado del Comune e tale carenza impediva alla Corte di verificare la tempestività dell’eccezione proposta.
4 .-Ricorre per cassazione l’Ente locale, affidando l’impugnazione a tre mezzi, illustrati da memoria, e riproponendo a pagina 49 del ricorso l’eccezione di prescrizione.
Con controricorso illustrato da memoria i resistenti concludono per l’inammissibilità del gravame e comunque per la sua infondatezza.
La causa è stata assegnata per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5 .- Col primo motivo -intitolato ‘ Violazione e falsa applicazione dell’articolo 96 del RD n. 523/1904 – Violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 1 bis e segg. e 1 quinquies del DL n. 312/1985, convertito nella legge 431/1985 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 112, 113, 115 e 116 cpc, con riferimento anche all’articolo 360, primo comma, n. 5, del cpc, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che aveva formato oggetto di discussione tra le parti e omessa applicazione delle norme di diritto. – Nullità della sentenza per motivazione apparente con riferimento art. 360 n.4 e all’art. 111, comma 6 della Cost. ‘ -il ricorrente lamenta che la Corte abbia fondato la decisione su un fatto storico in contrasto con le risultanze processuali.
La Corte, sulla base di una erronea c.t.u. (che avrebbe fornito tre diverse versioni dell’area occupata illecitamente), avrebbe altrettanto erroneamente identificato la superficie illegittimamente occupata e, quindi, concluso per l’insussistenza dei vincoli di inedificabilità con una motivazione apparente.
6 .- Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve in una critica priva di autosufficienza dell’operato dell’Ausiliare (giacché non vengono nemmeno riportati i passaggi della consulenza che la Corte avrebbe malamente inteso) e, comunque, in una discussione di questioni totalmente meritali (neppure menzionate nella sentenza gravata), che avrebbero dovuto essere affrontate nei precedenti gradi di merito.
Peraltro, secondo consolidata giurisprudenza, il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del proprio consulente che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi (come avvenuto nella fattispecie), dei rilievi dei periti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento e
non deve neppure soffermarsi sulle contrarie allegazioni dei c.t.p., che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che ciò possa determinare un vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive ( ex multis : Cass., sez. I, 16 novembre 2022, n° 33742).
Per altro verso, è vero che l’art. 360, primo comma, n° 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, consente di censurare, per omesso esame, la sentenza che abbia recepito la consulenza tecnica, solo ove venga individuato un preciso fatto storico, sottoposto al contraddittorio delle parti, di natura decisiva, che il giudice del merito abbia omesso di considerare; ma è anche vero che il ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, pretende col mezzo in esame una rivisitazione della fattispecie concreta già scrutinata dai giudici del merito, tramite la lettura degli atti istruttori.
In conclusione, il motivo è inammissibile.
7 .- Il secondo motivo -rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione dall’articolo 4 della legge n. 10/1977 e dall’art. 7 della legge 47/1985. Violazione dell’art. 116 cpc – Erronea qualificazione del terreno quale edificabile – Violazione dell’art. 360, comma I, nn. 3 e 5 ‘ -è articolato in vari profili.
Con un primo profilo il ricorrente deduce (pagina 30-32) che la Corte, recependo immotivatamente le conclusioni del c.t.u., avrebbe riconosciuto all’area una potenzialità edificatoria, violando l’art. 4 della legge n° 10/1977, che nei Comuni sprovvisti di PRG prevede che l’edificazione residenziale non possa superare metri cubi 0,03 per metro quadrato di area edificabile.
Con un secondo profilo (paragrafo 1, pagina 33) deduce che la Corte, con motivazione apparente, avrebbe ritenuto urbanizzabile il
suolo sul rilievo della presenza di un gran numero di costruzioni, vecchie e nuove, senza tener conto del fatto che la c.t.u. espletata in primo grado affermava una cosa diversa, mentre la relazione resa dal c.t.u. sulla richiesta di chiarimenti della Corte d’appello rappresentava una realtà radicalmente differente.
Con un terzo profilo (paragrafo 2, pagine 33-37), deduce che la Corte con motivazione apparente avrebbe tratto conferma della vocazione edificatoria del suolo dalla destinazione a zona B3 (edilizia di completamento) di una parte di esso, senza considerare che la previsione del PRG non approvato aveva lo scopo di armonizzare il territorio con quanto realizzato abusivamente nella parte tra il torrente e la strada provinciale e di consentire le sanatorie edilizie (del 1985 e 1994) a chi avesse costruito senza concessione.
Inoltre, Cass. 17069/2012 aveva escluso la edificabilità di un fondo per il solo fatto di ricadere in zona a vincolo paesistico, come nel caso di specie.
Ancora, il ricorrente (paragrafo 3, pagine 38-39) deduce che la Corte, sempre con motivazione apparente, avrebbe ritenuto generica la deduzione del Comune che negava l’edificabilità del fondo sul rilevo della presenza di costruzioni abusive, mentre dalla c.t.u. del primo grado risultava che tali costruzioni fossero molto numerose.
Da ultimo (paragrafo 4, pagine 40-41), il Comune lamenta che la Corte abbia ritenuto non esaustiva la prova della inesistenza di urbanizzazione primaria dell’area fornita mediante l’aerofotogrammetria del 1988, che, per contro, la comprovava inconfutabilmente, dato che il Comune aveva trasmesso al Consiglio regionale dell’urbanistica il piano urbanistico in data 21 giugno 1989 e che quest’ultimo Consiglio lo aveva restituito con delibera 6 dicembre 1989, ragion per cui il suolo, sul quale era
stata costruita una strada solo nel maggio 1991, non poteva essere urbanizzato.
8 .- Il mezzo è fondato nei limiti che seguono.
Prima di scrutinarne il merito, conviene fare una breve premessa normativa.
Come concordemente riferito da entrambi i litiganti, l’area di 374 mq per cui è causa si trova nella zona ‘ B ‘ del PRG del Comune di Caltabiano, che venne adottato e presentato alla Regione, ma poi non venne approvato.
Ora, l’art. 4 della legge 28 gennaio 1977 n° 10 prevede che ‘ decorrere dal 1° gennaio 1979, salva l’applicazione dell’articolo 4 della legge 1° giugno 1971, n. 291, nei comuni sprovvisti degli strumenti urbanistici generali e in mancanza di norme regionali e fino all’entrata in vigore di queste ‘ l’edificabilità dei suoli posti fuori dei centri abitati (quale quello oggetto della presente lite) sia limitata a ‘ metri cubi 0,03 per metro quadrato di area edificabile ‘.
D’altro canto, l’art. 4 della legge 1° giugno 1971 n° 291 stabilisce che, salva l’applicazione delle misure di salvaguardia nella pendenza dell’approvazione degli strumenti urbanistici, ‘ le limitazioni di cui all’articolo 17, primo, secondo e terzo comma, della legge 6 agosto 1967, n. 765, non si applicano dalla data di presentazione del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione all’autorità competente per l’approvazione ‘.
Di tenore sostanzialmente analogo sono le disposizioni normative regionali: legge reg. Sicilia 31 marzo 1972 n° 19 (art. 39) e legge reg. Sicilia 27 dicembre 1978 n° 71 (art. 21).
La prima norma, a dire il vero, appare superata dal disposto dell’art. 21 della legge reg. Sicilia 27 dicembre 1978 n° 71 (applicabile ratione temporis , nonostante la sua abrogazione per effetto della successiva legge reg. Sicilia n° 19/2020).
La legge reg. n° 71/1978 detta, in estrema sintesi, le seguenti regole: (1) l’edificazione nelle ‘ aree libere ‘ dei comuni dotati di
strumenti urbanistici generali approvati, oppure adottati e presentati all’assessorato regionale, può avvenire a mezzo di singole concessioni; (2) nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici, l’edificabilità dei suoli resta soggetta alle previsioni dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967 n° 765 (la cui applicabilità sul territorio siciliano è esclusa solo in relazione al suo ‘ terzo comma ‘, come prevede l’art. 15, ultimo comma, della legge reg. Sicilia 12 giugno 1976, n° 78) sino alla data di presentazione del piano urbanistico all’Assessorato generale; (3) dopo tale data l’edificabilità sarà quella prevista nei piani presentati, con le seguenti limitazioni: (3.a) nelle zone ‘ B ‘ dotate di urbanizzazione primaria e con previsione di urbanizzazione secondaria, l’edificabilità può essere consentita a mezzo di singole concessioni; (3.b) ‘ elle rimanenti aree non urbanizzate delle zone territoriali omogenee “B” l’edificazione è subordinata alla preventiva approvazione di piani particolareggiati o di piani di lottizzazione ‘.
In sostanza, questa disposizione (art. 21) stabilisce che, in caso di piani comunali approvati, oppure anche solo adottati e presentati, l’edificabilità sia quella prevista dal piano, mentre nelle rimanenti aree l’edificazione è subordinata alla presenza di piani particolareggiati o di lottizzazione o, quantomeno, alla già avvenuta urbanizzazione primaria ed alla previsione di urbanizzazione secondaria.
Nessuna previsione normativa è, invece, dettata per i piani comunali (adottati e presentati, ma) respinti dalla Regione, sicché deve ritenersi che essi siano parificabili alle cosiddette ‘ aree bianche ‘, trattandosi pur sempre di suoli per i quali uno strumento urbanistico è venuto meno, o in ragione della scadenza dei vincoli, oppure in ragione della mancata approvazione regionale del piano: in entrambe le ipotesi, infatti, l’area è in attesa della nuova determinazione del Consiglio comunale, alla quale l’Ente locale
dovrà procedere mediante adozione di un nuovo piano che preveda la destinazione del suolo privo di disciplina urbanistica.
Da ultimo, deve considerarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte ( ex multis : Cass., sez. I, 12 ottobre 2007 n° 21434), alle previsioni normative che impongono un determinato indice di edificabilità alle zone prive di strumenti urbanistici (per decadenza dei vincoli o perché il Comune non ha adottato strumenti urbanistici, oppure, ancora, perché essi sono stati annullati, ecc…) non si può assegnare valore di regolamentazione urbanistica, giacché solo l’attività pianificatoria può realizzare l’assetto complessivo del territorio, attraverso l’articolata previsione delle destinazioni nelle varie zone, in rapporto alle interrelazioni fra di esse ed ai bisogni della comunità.
Pertanto, la soggezione delle aree bianche alle norme sopra citate costituisce una situazione eccezionale e transeunte, nel senso che l’immodificabilità parziale dello stato dei luoghi partecipa della natura interinale e cautelare delle misure di salvaguardia, in attesa che il Comune, tenuto a provvedervi, dia una nuova regolamentazione alle stesse.
Tanto premesso, è agevole osservare che, benché la Corte abbia correttamente ritenuto e motivato che non vi fossero prescrizioni di inedificabilità assoluta sull’appezzamento di 374 metri quadrati in quanto, con un giudizio di fatto incensurabile in questa sede, ha appurato che esso ricadeva al di fuori del perimetro gravato da vincolo stradale, ex art. 16 del cod. strada e 26 reg. esec. cod. strada; da vincolo fluviale, previsto dall’art. 96, lettera f), del r.d. 25 luglio 1904 n° 523; e da vincolo paesistico, previsto dal d.l. 27 giugno 1985 n° 312 (convertito in legge n° 431/1985, cosiddetta legge Galasso) -essa ha poi scorrettamente applicato, per valorizzare il fondo, il criterio della edificabilità di fatto.
Infatti, dopo aver correttamente qualificato il suolo in questione come ‘ area bianca ‘, la Corte catanese ha poi aggiunto (ordinanza
pagina 11) che il c.t.u. aveva accertato che la zona in questione era urbanizzata per la presenza di un gran numero di costruzioni, sia vecchie che nuove, e che tra queste vi erano anche ‘ costruzioni abusive ‘, della cui presenza la Corte non aveva motivo di dubitare. Sicché, sempre secondo il percorso logico della motivazione, per escludere l’edificabilità di fatto, si sarebbe dovuto dar prova ‘ se non dell’esatto numero delle costruzioni abusive (…) quantomeno dell’incidenza percentuale di ciò che è abusivo rispetto alla complessiva edificazione della zona ‘.
Ora, il criterio di valorizzazione del suolo mediante l’edificabilità di fatto consiste nell’accertare il valore delle aree circostanti ed omogenee, costituenti nel loro insieme un microsistema urbanistico, ma sempreché risulti accertata la compatibilità con le generali scelte urbanistiche, avuto riguardo anche ai vincoli legislativi idonei ad incidere sull’edificabilità effettiva della zona (per tutte: Cass., sez. I, 7 aprile 2022, n° 11360, con menzione di altri precedenti).
In conclusione, la Corte, per valorizzare il fondo, ha tenuto conto, seguendo il divisamento del proprio c.t.u. (riassunto a pagina 12 dell’ordinanza), anche della presenza di costruzioni abusive in numero o in percentuale non accertata, pervenendo, dunque, ad un risultato sicuramente influenzato da tale dato.
Il c.t.u., infatti, ha considerato l’edificabilità dell’area in base ad una ‘ possibilità mediata (…) pari alla metà di quella del P.R.G. bocciato ‘, con la conseguenza che sul suolo oggetto di stima ‘ si sarebbero potute realizzare 374 x 2 = 737 mc di costruzione, corrispondenti a circa 7 vani ‘.
Considerando, poi, il valore di un vano nel 1991 pari a lire 18 milioni ed una percentuale di incidenza del suolo sul fabbricato pari al 20%, l’Ausiliario è pervenuto alla conclusione che il valore del terreno fosse ‘ pari a £ 18.000.000 x 7 x 0,20 = £ 25.200.000, corrispondenti a £/mq 67.380 ‘.
È, nondimeno, palese che il c.t.u. (come pure la Corte) siano giunti a tale valorizzazione sulla base di ‘ indagini di mercato nella zona in oggetto ‘ (ordinanza pagina 12), comprensive dei valori unitari attribuiti agli immobili abusivi o, quantomeno, senza specificare se a tale valorizzazione abbiano proceduto escludendo dalle ‘ indagini di mercato ‘ gli immobili edificati senza concessione edilizia: esclusione che non sembra desumibile dalla motivazione dell’ordinanza e che, anzi, appare contraddetta dalla constatazione (già sopra riportata) che sarebbe stato necessario dar prova del numero delle costruzioni abusive o almeno dell’incidenza percentuale degli immobili irregolari su quelli regolari (ordinanza pagina 11).
In conclusione, il secondo motivo appare fondato nei limiti sopra indicati e va, pertanto, accolto.
9 .- Il terzo motivo -intitolato ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 26 del codice della strada; Violazione dell’art. 96 del RD n. 523/1905 -Violazione dell’articolo 1 e segg. e 1 quinquies del DL 321/1985, convertito nella legge 431/1985, con riferimento all’art. 360, primo comma nn. 3 e 5. Erronea qualificazione del terreno quale edificabile nonostante la presenza di vincoli di inedificabilità ‘ -è formulato sotto diversi profili.
Col primo (paragrafo 1) il ricorrente lamenta che la Corte territoriale, nel predicare l’inesistenza di un vincolo derivante dalla strada, non aveva considerato che il vincolo di inedificabilità di dieci metri era sussistente anche in presenza di strade vicinali o poderali (art. 26, lettera e] del codice della strada).
Col secondo (paragrafo 2) deduce che la Corte avrebbe escluso con motivazione apparente l’esistenza della restrizione urbanistica (vincolo stradale) osservando che l’occupazione abusiva del fondo era avvenuta nel punto più lontano dal torrente posto che l’art. 26 lettera c) del codice predetto imponeva un vincolo di inedificabilità di trenta metri.
Inoltre, nessuna edificabilità del fondo poteva essere riconosciuta, poiché l’area ricadeva nel limite di centocinquanta metri previsto dall’art. 1 -quinquies della legge Galasso.
Col terzo (paragrafo 3) allega che la Corte, nel ricostruire la conformazione dell’area, avrebbe ignorato l’elaborato planimetrico allegato all’atto di cessione volontaria del 14 maggio 1991.
10 .-Il mezzo è assorbito a seguito dell’accoglimento del secondo motivo.
In ogni modo, sotto l’egida della violazione di legge, esso demanda a questa Corte una nuova valutazione delle risultanze della c.t.u. e dei documenti di causa e sarebbe stato, pertanto, inammissibile.
11 .- A pagina 49 del ricorso il Comune, con un paragrafo intitolato ‘ Intervenuta prescrizione della domanda ‘ deduce che il suo difensore, non avendo patrocinato il Comune nel giudizio di primo grado, non ha potuto soddisfare la richiesta della Corte di avere copia della comparsa di risposta depositata in tribunale, non essendo in possesso di copia di essa con attestazione del depositato di cancelleria.
Da tale premessa il ricorrente fa osservare che ‘ il rilievo della Corte coglie di sorpresa, poiché il depositario del documento non è la parte, ma l’ufficio giudiziario ‘.
Il ricorrente ben avrebbe potuto dolersi della declaratoria di infondatezza dell’eccezione di prescrizione senza la previa ricostruzione dei fascicoli d’ufficio e di parte, ma non l’ha fatto.
D’altra parte, la doglianza per come formulata è totalmente priva della struttura di un mezzo sussumibile in alcuno dei numeri di cui all’art. 360 cod. proc. civ. e, pertanto, non può nemmeno essere considerato un motivo scrutinabile.
Peraltro, la constatazione sulla quale essa si fonda è, comunque, erronea, in quanto gli originali dei documenti si trovano nel fascicolo della parte (art. 74 disp. att. cod. proc. civ.), mentre nel fascicolo d’ufficio vengono inserite le copie (art. 36 disp. att. cod.
proc. civ.): sicché è evidente che la Corte non fosse affatto l’unico depositario del documento.
p.q.m.
la Corte dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo, dichiara assorbito il terzo. Cassa e rinvia alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 10 luglio 2025, nella camera di