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Eccezioni in appello: quando si intendono rinunciate

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4190/2025, chiarisce un punto cruciale del processo civile: le eccezioni sollevate in primo grado, se non specificamente riproposte nell’atto di appello, si considerano rinunciate. Nel caso esaminato, alcuni garanti si erano opposti a un decreto ingiuntivo eccependo usura e anatocismo. In appello, si sono limitati a contestare la natura del contratto di garanzia, senza reiterare le altre contestazioni. La Suprema Corte ha confermato la decisione di merito, dichiarando il ricorso inammissibile e sottolineando che la mancata riproposizione delle eccezioni in appello ne comporta l’abbandono, rendendo irrilevante ogni altra questione sollevata.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Eccezioni in appello: l’importanza di riproporre tutto

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un’importante lezione sulla strategia processuale, in particolare sul modo in cui devono essere gestite le eccezioni in appello. Omettere la riproposizione specifica delle contestazioni sollevate in primo grado può avere conseguenze fatali per l’esito del giudizio, come dimostra il caso che andiamo ad analizzare. La pronuncia sottolinea un principio fondamentale: ciò che non viene espressamente reiterato nel secondo grado di giudizio si considera abbandonato.

I Fatti di Causa: Dal Decreto Ingiuntivo alla Cassazione

La vicenda ha origine dall’opposizione promossa da alcuni garanti (fideiussori) contro un decreto ingiuntivo ottenuto da un istituto di credito. La banca chiedeva il pagamento di una cospicua somma derivante dal saldo debitore di un conto corrente e da anticipi su fatture insolute di una società garantita.

I garanti, nel loro atto di opposizione, avevano sollevato diverse contestazioni di merito: la mancanza di certezza del credito, l’applicazione di interessi usurari e anatocistici, e la presenza di commissioni non dovute. Il Tribunale, tuttavia, aveva rigettato l’opposizione, qualificando il contratto come una garanzia autonoma e non come una fideiussione. Questa qualificazione impediva ai garanti di sollevare eccezioni relative al rapporto principale tra la banca e la società debitrice.

La Decisione della Corte d’Appello e le mancate eccezioni in appello

Insoddisfatti, i garanti hanno proposto appello. Qui, però, commettono un errore strategico decisivo. Il loro gravame si concentra unicamente sulla qualificazione del contratto, sostenendo che si trattasse di una fideiussione e non di una garanzia autonoma. Non hanno, tuttavia, riproposto esplicitamente tutte le altre eccezioni di merito (usura, anatocismo, ecc.) sollevate in primo grado.

La Corte d’Appello ha rigettato l’impugnazione proprio su questo punto. Richiamando l’articolo 346 del Codice di Procedura Civile, i giudici hanno ritenuto che le eccezioni in appello non riproposte dovessero considerarsi rinunciate. Di conseguenza, la questione sulla natura del contratto diventava irrilevante: anche se fosse stato qualificato come fideiussione, in assenza di eccezioni valide da esaminare, la decisione di primo grado andava confermata.

La questione della nullità Antitrust e i limiti del rilievo d’ufficio

Arrivati in Cassazione, i garanti hanno tentato una nuova strada, lamentando la mancata pronuncia d’ufficio sulla nullità del contratto di fideiussione perché conforme a uno schema ABI dichiarato in violazione della normativa antitrust. Anche questo motivo è stato respinto. La Suprema Corte ha chiarito che, sebbene la nullità possa essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del processo, è necessario che i fatti costitutivi di tale nullità siano stati ritualmente e tempestivamente allegati e provati dalle parti. Nel caso di specie, la questione era stata sollevata tardivamente e senza il supporto documentale necessario, precludendo alla Corte ogni possibile valutazione.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo con fermezza i principi procedurali. Il primo motivo di ricorso è stato giudicato inammissibile perché non si confrontava con la ratio decidendi della sentenza d’appello, ovvero la rinuncia alle eccezioni non riproposte. Le contestazioni sollevate in primo grado, per poter essere esaminate dal giudice d’appello, devono essere riproposte in modo specifico e non equivoco. La semplice richiesta di una CTU non è sufficiente a far rivivere tutte le contestazioni precedenti. Il secondo motivo, relativo alla nullità antitrust, è stato ritenuto infondato perché i presupposti di fatto per un rilievo d’ufficio non erano stati introdotti correttamente nel processo.

Conclusioni

Questa ordinanza è un monito fondamentale per chiunque affronti un contenzioso a più gradi. La fase di appello non è una semplice continuazione del primo grado, ma richiede un’attenta e puntuale ridefinizione del thema decidendum. Le eccezioni, le domande e le contestazioni devono essere riproposte esplicitamente, pena la loro definitiva decadenza. Trascurare questo aspetto, come nel caso di specie, significa vanificare le proprie difese e vedere confermata una decisione sfavorevole, indipendentemente dalla fondatezza nel merito delle proprie ragioni originarie.

Cosa succede se le obiezioni sollevate in primo grado non vengono ripetute nell’atto di appello?
Secondo la Corte, in base all’art. 346 c.p.c., le eccezioni e le domande non espressamente riproposte nell’atto di appello si considerano rinunciate. La parte appellante deve quindi avere cura di reiterare tutte le contestazioni che intende sottoporre al giudice del secondo grado.

È sufficiente chiedere una perizia tecnica (CTU) in appello per considerare riproposte tutte le eccezioni precedenti?
No. La Corte ha chiarito che la semplice richiesta di una CTU non equivale a una riproposizione specifica delle eccezioni di merito sollevate in primo grado. Le eccezioni devono essere reiterate in modo chiaro ed esplicito nelle conclusioni o nel corpo dell’atto di appello.

Può un giudice dichiarare d’ufficio la nullità di un contratto per violazione delle norme antitrust in qualsiasi momento?
Sì, il giudice può rilevare d’ufficio una nullità contrattuale, ma solo a condizione che i fatti su cui si fonda tale nullità siano stati ritualmente acquisiti al processo. Se una parte introduce la questione tardivamente e senza fornire le prove necessarie, il giudice non può procedere a tale valutazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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