Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22977 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22977 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13734/2020 R.G. proposto da
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
Oggetto: Competenza civile -Competenza per territorio -Obbligazioni degli enti pubblici – Igiene e sanità pubblica – Struttura sanitaria accreditata -Cessione crediti – Domanda di pagamento delle prestazioni – Tetto di spesa
R.G.N. 13734/2020
Ud. 24/04/2025 CC
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO MILANO n. 120/2020 depositata il 14/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 24/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 120/2020, pubblicata in data 14 gennaio 2020, la Corte d’appello di Milano, nella contumacia dell’appellata RAGIONE_SOCIALE e con l’intervento di RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 11412/2017 pubblicata il 14 novembre 2017.
ASL CASERTA aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 22898/2016, col quale le era stato ingiunto il pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE -cessionaria del credito originariamente vantato dalla RAGIONE_SOCIALE -del la somma di € 781.075,40 quale residuo corrispettivo per prestazioni di assistenza ospedaliera effettuate nell’anno 2012, nell’ambito di un rapporto di convenzionamento tra la detta casa di cura e la stessa ASL CASERTA.
L’opponente aveva dedotto molteplici motivi di opposizione: incompetenza per territorio in favore del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere; inammissibilità del decreto per illegittimo frazionamento del credito; carenza di legittimazione attiva della ricorrente in relazione alla fattura n. 19469/2012, in quanto non oggetto di cessione; avvenuto pagamento delle fatture; insussistenza del debito in quanto eccedente
nonché contro
-controricorrente –
i limiti di spesa previsti per l’azienda sanitaria; erronea applicazione degli interessi al tasso previsto dal d.lgs. 231/2002.
Costituitasi regolarmente RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale di Milano aveva respinto l’opposizione.
Proposto appello da parte della ASL CASERTA, RAGIONE_SOCIALE era rimasta contumace, mentre era intervenuta in giudizio RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria del credito della stessa RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’appello ha disatteso i tre motivi di gravame articolati dall’odierna ricorrente, osservando, in sintesi:
-quanto al primo motivo – col quale si censurava la decisione di prime cure nella parte in cui la stessa non aveva accolto l’eccezione di incompetenza territoriale, ritenendo che la stessa fosse stata formulata in modo incompleto non avendo la ricorrente contestato il forum contractus , e si deduceva, da parte dell’appellante, che, da un lato, il contratto di convenzionamento non risultava sottoscritto, non operando quindi il foro convenzionale, e, dall’altro lato, anche ritenendo la clausola del contratto vincolante, la stessa stabiliva la competenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere -che, pacifico il fatto che le prestazioni oggetto della domanda di pagamento trovavano fonte in un titolo contrattuale, l’eccezione di incompetenza avrebbe dovuto essere sollevata con riguardo a tutti i fori concorrenti, laddove l’odierna ricorrente non aveva specificamente contestato il forum contractus , con la conseguenza che l’eccezione doveva ritenersi come non proposta, anche in considerazione del fatto che le ulteriori argomentazioni prospettate a sostegno del motivo di appello, relative all’esistenza di un foro convenzionale stabilito nel contratto, erano palesemente tardive;
-quanto al secondo motivo – col quale si censurava la decisione di prime cure nella parte in cui quest’ultima aveva ritenuto sottratte ai limiti di spesa le prestazioni di ricovero di emergenzaurgenza rese dalle case di cura sulla base della delibera della Regione Campania n. 284 del 2005, argomentando invece l’odierna ricorrente che non potevano considerarsi urgenti le prestazioni rese in regime di pronto soccorso – che, per contro, proprio la delibera n. 284 della Giunta regionale della Campania – richiamando la delibera DGR 41/04, che definiva come non sottoposte ai limiti di spesa le prestazioni effettuate in regime di emergenza -aveva autorizzato la casa di cura all’esercizio delle funzioni di pronto soccorso; che la ratio della suddetta delibera si individuava nella impossibilità di programmare un tetto di spesa con riguardo a prestazioni non preventivabili in anticipo, in ragione del loro carattere urgente e come tale non prevedibile, ma al tempo stesso indifferibili; che, infine, nell’ambito dell’assistenza di tipo ospedaliero pubblico ed equiparato, tra le prestazioni irrinunciabili non potevano non essere comprese quelle rese in una situazione di urgenza, quali quelle prestate nell’ambito del servizio di pronto soccorso;
-quanto al terzo motivo – col quale si censurava la decisione di prime cure per non aver sottratto dalla somma di cui al monitorio l’importo della fattura n. 19469/2012, deducendo l’odierna ricorrente che tale fattura non era stata oggetto di cessione in favore della RAGIONE_SOCIALE – che l’eccezione era infondata, in quanto il Giudice di prime cure aveva rilevato che la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva agito in via monitoria per ottenere il pagamento di una fattura diversa da quella n. 19469/2012, senza che tale ragionamento fosse stato sottoposto a critica da
parte dell’appellante, ‘che si è limitato a dolersi del mancato accoglimento della detta eccezione, senza indicare le ragioni per le quali la decisione del T ribunale sarebbe censurabile’ .
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano ricorre ASL CASERTA.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
È rimasta intimata RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a sei motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 2, cod. proc. civ. nonché nullità della sentenza impugnata per violazione degli articoli 115, 116, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo n. 4, cod. proc. civ. avendo la Corte di Appello di Milano, con motivazione insufficiente, illogica, contraddittoria e, comunque, erronea, ritenuto “come non proposta” l’eccezione d’incompetenza territoriale del Tribunale di Milano sollevata dall’ASL Caserta in prime cure e dichiarata erroneamente inammissibile dal Giudice di primo grado’ .
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 28 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 2, cod. proc. civ. nonché nullità della sentenza impugnata per violazione degli 115, 116, 132 secondo comma, n. 4, proc. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.. avendo la Corte di Appello di Milano, con motivazione
insufficiente, illogica, contraddittoria e, comunque, erronea, ritenuto sussistente nel presente giudizio un “titolo negoziale”, nonostante il contratto relativo all’annualità 2012 non risulti firmato dalle parti, omettendo, tuttavia, di esaminarlo nella parte in cui (art. 8, secondo comma) prevede il foro esclusivo del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere’ .
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, comma 8, della legge 27 dicembre 1997 n. 449 e dell’art. 15, comma 14, D.L. 6 luglio 2012 n. 95, convertito in legge con modificazioni con L. 7 agosto 2012 n. 135, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché nullità della sentenza impugnata per violazione degli articoli 115, 116, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., avendo la Corte di Appello di Milano, con motivazione insufficiente, illogica, contraddittoria e, comunque, erronea ritenuto che le prestazioni sanitarie rese dalla casa di cura cedente il credito dedotto in giudizio in regime di emergenzaurgenza (pronto soccorso) non siano sottoposte ai limiti di imposti dalla normativa nazionale vigente e dai provvedimenti attuativi regionali’ .
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce ‘Nullità della sentenza impugnata per violazione degli articoli 115, 116, 132, secondo comma, n. 4, 342 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma n. 4, cod. proc. civ., avendo la Corte di Appello di Milano, con motivazione insufficiente, illogica, contraddittoria e, comunque, erronea, ritenuto inammissibile il motivo di appello articolato dall’ente ricorrente con riferimento all’irrilevanza statuita dal Giudice di primo grado dell’eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata dall’ASL Caserta, ritenendo la pretesa creditoria erroneamente su una fattura diversa da quella indicata dalle stesse cessionarie
che, tuttavia, non risulta nell’atto di cessione, peraltro, omettendo di esaminare i mandati di pagamento depositati dall’ASL Caserta contenenti l’indicazione di tutte le fatture azionate con il ricorso monitorio e, quindi, la corretta imputazione effettuata dall’ ente ricorrente’ .
1.5. Con il quinto motivo il ricorso deduce ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 9 all. E e 339 all. F, L. n. 2248 del 1865, 69 e 70, R.D. n. 2240 del 1923, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché nullità della sentenza impugnata per violazione degli articoli 112, 115, 116, 132, secondo comma, n. 4, 342 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., avendo la Corte di Appello di Milano, con motivazione insufficiente, illogica, contraddittoria e, comunque, erronea, dichiarato inammissibile il motivo di appello articolato dall’ente ricorrente con riferimento all’irrilevanza statuita dal Giudice di primo grado dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva sollevata dalla ASL Caserta, omettendo di rilevare che le cessioni del credito tra la casa di cura RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e, quindi, tra quest’ultima e RAGIONE_SOCIALE sono state rifiutate espressamente dall’ente ricorrente’ .
1.6. Con il sesto motivo il ricorso deduce ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 16 e 17 del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché nullità della sentenza impugnata per violazione degli articoli 112, 115, 116, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., avendo la Corte di Appello di Milano (e il Giudice di primo grado) omesso di dichiarare la nullità del contratto tra l’ASL Caserta e la casa di cura INDIRIZZO e, quindi, l’inammissibilità della domanda monitoria, in quanto detto documento non è stato sottoscritto dalle parti,
nonostante tale eccezione sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio’ .
I motivi di ricorso sono, nel loro complesso, inammissibili.
2.1. In via preliminare -per evitare inutili ripetizioni nell’esame dei singoli motivi e riscontrando la premessa generale contenuta nello stesso ricorso alle pagg. 5 segg. -deve essere evidenziata l’inammissibilità della censura -formulata in tutti i motivi -di ‘motivazione insufficiente, illogica, contraddittoria e, comunque, erronea’ .
È noto che questa Corte a Sezioni Unite ha chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con Legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, risultando invece escluse sia qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022) sia la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.
Nel caso in esame -fermo restando che in ogni caso nessuna di dette carenze estreme risulta ravvisabile nella motivazione della deci-
sione impugnata, la quale espone il proprio percorso argomentativo in modo sintetico ma comunque completo, univoco, comprensibile ed immune da affermazioni reciprocamente inconciliabili -la reiterata doglianza della ricorrente in null’altro si sostanzia se non in una mera critica del merito della decisione, presentando come profili di contraddittorietà o ‘erroneità’ categoria, quest’ultima, evidentemente estranea al disposto di cui agli artt. 360, n. 4), e 132, n. 4), c.p.c. -quelle che sono invece mere censure che investono le valutazioni operate dal giudice del merito e non l’esistenza di una motivazione immune da irrimediabili profili di illogicità.
2.2. Passando all’esame del primo motivo, l’inammissibilità dello stesso discende direttamente dal mancato rispetto della regola di specificità di cui all’art. 366 c.p.c.: la ricorrente deduce di avere contestato nel proprio atto di opposizione tutti i possibili fori concorrenti, ma tale deduzione appare del tutto generica e priva della minima riproduzione degli atti processuali con i quali tale deduzione sarebbe avvenuta.
Tale carenza viene a precludere anche l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, in quanto è necessariamente all’ammissibilità del motivo di ricorso che viene ad essere subordinato l’esercizio del potere-dovere del Giudice di legittimità di accertare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l’esame diretto degli atti (Cass. Sez. U – Sentenza n. 20181 del 25/07/2019; Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 27368 del 01/12/2020; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15071 del 10/09/2012).
Detto esercizio presuppone, infatti, sempre l’ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all’art. 366, primo comma, n. 4 e n, 6, c.p.c., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021
(causa COGNOME altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022; ma cfr. anche Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24048 del 06/09/2021).
2.3. Quanto al secondo motivo, la sua inammissibilità deriva dal fatto che lo stesso non coglie l’effettiva ratio decidendi esposta dalla sentenza impugnata in sede di esame del profilo della competenza per territorio.
Al di là dei riferimenti alla conclusione del contratto ed al richiamo al forum contractus , infatti, la decisione della Corte ambrosiana si impernia sull’affermazione per cui l’odierna ricorrente non aveva provveduto a contestare tempestivamente tutti i possibili fori alternativi ex artt. 18, 19 e 20 c.p.c., e quindi non solo il c.d. forum contractus -e cioè, per mutuare l’espressione più generale impiegata dalla norma del codice di rito, il luogo ove l’obbligazione era sorta -ma anche tutti gli altri criteri alternativi di competenza, compreso il c.d. forum destinatae solutionis , in relazione al quale – solo per completezza – si rammenta l’orientamento di questa Corte in base al quale ai fini della competenza territoriale, nella controversia avente ad oggetto il pagamento di somme di danaro da parte degli enti pubblici, le norme di contabilità degli enti pubblici, che fissano il luogo di adempimento delle obbligazioni in quello della sede di tesoreria dell’ente, valgono ad individuare il forum destinatae solutionis eventualmente in deroga all’art. 1182 c.c., ma non rendono detto foro né esclusivo, né inderogabile, con la
conseguenza che la P.A. convenuta che intenda eccepire la incompetenza del giudice adito, diverso da quello della sede della tesoreria, ha l’onere di contestare specificamente tutti i possibili fori, indicando le ragioni giustificative dell’esclusione di ogni momento di collegamento idoneo a radicare la competenza (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 11781 del 18/06/2020; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 270 del 12/01/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2758 del 08/02/2007).
2.4. Questa Corte ha già chiarito che l’interpretazione degli atti amministrativi soggiace alle stesse regole dettate dagli artt. 1362 e ss. c.c. per l’interpretazione dei contratti, in quanto compatibili con il provvedimento amministrativo (Cass. Sez. U – Sentenza n. 20181 del 25/07/2019), con la conseguenza che, ai fini della formulazione in sede di legittimità di una censura riferita all’attività interpretativa svolta dal giudice di merito, non è sufficiente un astratto richiamo agli artt. 1362 e ss. c.c., ma è necessaria la specificazione dei canoni ermeneutici che in concreto si assumono violati e la precisa indicazione dei punti della motivazione che se ne discostano, nei limiti di quanto previsto dall’art. 360, n. 3 c.p.c., per il caso di violazione di legge, o per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ai sensi del novellato art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 15367 del 03/06/2024).
Da tali principi, allora, discende direttamente l’inammissibilità del terzo motivo di ricorso in quanto lo stesso, nel censurare l’interpretazione che la Corte d’appello ha dato della Delibera di Giunta Regionale n. 284/2005 e nell’argomentare che quest’ultima non avrebbe natura regolamentare per carenza di generalità ed astrattezza, omette tuttavia di procedere alla censura per violazione degli artt. 1362 e segg. c.c. dell’esito interpretativo raggiunto dalla Corte di merito ed invoca invece le non pertinenti previsioni di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c., del tutto
estranee al profilo ampiamente argomentato nel mezzo, atteso che tali profili in ogni caso non concernevano le regole di valutazione della prova.
2.5. L’inammissibilità del quarto motivo discende dalla considerazione per cui, avendo la Corte d’appello dichiarato formalmente inammissibile ex art. 342 c.p.c. il terzo motivo di appello, tale statuizione avrebbe dovuto essere censurata nella presente sede contestando specificamente la genericità del motivo e provvedendo poi, in ossequio al disposto di cui all’art. 366 c.p.c., alla riproduzione dei suoi passaggi essenziali.
Il mezzo articolato dall’odierna ricorrente, invece, si diffonde su una serie di deduzioni -in parte anche in fatto, come i riferimenti alla imputazione dei pagamenti -che esulano radicalmente dalla tematica della specificità o meno del motivo di appello ed anzi mirano ad illustrarne la fondatezza.
Al di là, allora, dell’ulteriore profilo di inammissibilità costituito dal fatto che il motivo viene successivamente a dedurre in modo non pertinente profili concernenti le regole di valutazione delle prove, la considerazione risolutiva è che, a fronte della decisione di inammissibilità assunta della Corte territoriale, a dover essere argomentata e dimostrata nella presente sede era l’ammissibilità in sé del motivo di appello e non la fondatezza del medesimo.
2.6. Il quinto motivo viene a sollevare un tema -la mancata accettazione, da parte dell’odierna ricorrente, della cessione del credito, che non risulta neppure affrontato dalla sentenza d’appello e che parte ricorrente non ha dedotto di aver sollevato nei precedenti gradi di giudizio, individuando, in ossequio all’art. 366 c.p.c., l’atto o gli atti nei quali sarebbe avvenuta tale deduzione.
Deve, conseguentemente, trovare applicazione il principio, reiteratamente enunciato da questa Corte, per cui qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 18018 del 01/07/2024; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; ed anche Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 2193 del 30/01/2020; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14477 del 06/06/2018; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/ 2013).
Questo non esime, tuttavia, questa Corte dal rilevare che il motivo di ricorso omette radicalmente di confrontarsi con l’orientamento espresso da questa Corte per cui il divieto di cessione dei crediti verso la P.A. senza l’adesione di quest’ultima, sancito dall’art. 70, r.d. n. 2240/1923, si applica solamente ai rapporti di durata come l’appalto e la somministrazione (o fornitura), rispetto ai quali il legislatore ha ravvisato, in deroga al principio generale della cedibilità anche senza il consenso del debitore (art. 1260 c.c.), l’esigenza di garantire la regolare esecuzione della prestazione contrattuale, mentre la cessione di un credito derivante da altri contratti soggiace in tutto e per tutto all’ordinaria disciplina codicistica (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24758 del 15/09/2021, proprio in tema di cessione di credito derivante da prestazioni sanitarie erogate in regime di convenzione).
Da ciò deriva che il divieto di cui al citato art. 70 non si applica ai crediti vantati nei confronti delle aziende sanitarie locali, da ritenersi enti estranei al novero delle amministrazioni statali, potendo -semmai -essere le parti, nell’ambito della loro autonomia negoziale, a richiamare la normativa sulla contabilità di Stato, con specifico riferimento alle modalità di accettazione della cessione di credito (Cass. Sez. 1 Ordinanza n. 29420 del 24/10/2023).
2.7. Con riguardo al sesto ed ultimo motivo, invece, deve trovare applicazione il principio per cui la nullità del contratto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, e quindi può essere dichiarata anche in sede di legittimità, purché tale accertamento non imponga nuove indagini in fatto (Sez. 3 – Ordinanza n. 4175 del 19/02/2020; Sez. 2 – Sentenza n. 21243 del 09/08/2019), indagini che invece si renderebbero necessarie nel caso ora in esame (cfr. Cass. Sez. L – Ordinanza n. 40896 del 20/12/2021).
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 10.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima