Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10075 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10075 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ingiuntivo;
Dott. NOME COGNOME
Presidente
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
CC 11/4/2025 CC
Cron. n. 591/2019
Dott.
NOME COGNOME
Consigliere Rel.-
ha pronunciato la seguente
R.G.N. 11368/2017
ORDINANZA
sul ricorso n. 591/2019 r.g. proposto da:
Banca Carige, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa giusta procura speciale in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso il suo studio.
-ricorrente-
CONTRO
Comune di Messina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso , dall’Avv.
NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche relative al presente procedimento a ll’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Messina n. 902/2018, depositata il 8/10/2018
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’ 11 /4/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Il Comune di Messina aggiudicava all’ATI, rappresentata dalla mandataria RAGIONE_SOCIALE, i lavori.
Insorta una controversia tra le parti veniva stipulata la transazione del 18/8/2000 con il Comune, che la deliberava il 12/7/2000.
In particolare, si prevedeva in tale transazione che «il residuo 33%, pari all’importo ingiunto in controversia, a saldo entro il 31/10/2002 purché l’impresa abbia realizzato il 65% dei lavori oggetto di appalto».
La RAGIONE_SOCIALE stipulava contratto di factoring con la Banca Carige il 2/3/1995 e, successivamente, il 4/4/2001 cedeva il residuo credito della GEPCO in ordine alla transazione delle 13/7/2000.
La Carige chiedeva emettersi decreto ingiuntivo in suo favore e nei confronti del Comune per la somma di euro 639.331,98.
Proponeva opposizione il Comune deducendo, da un lato, la parziale incedibilità del credito, in quanto il credito era nella titolarità dell’ATI e non della mandataria RAGIONE_SOCIALE, in proprio, e, dall’altro, che, essendo subentrato il fallimento della RAGIONE_SOCIALE, il curatore fallimentare
avrebbe potuto proporre azione revocatoria, costringendo così il debitore ceduto (comune) a pagare due volte, sia la Banca Carige che al curatore del fallimento GEPCO.
Si costituiva in giudizio la Banca Carige con la comparsa del 14/1/2015.
Il giudice, all’udienza ex art. 180 c.p.c., in data 31/5/2006, concedeva la provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo e rinviava all’udienza ex art. 183 c.p.c. del 13/4/2007, assegnando alle parti il termine sino a 20 giorni prima per sollevare le eccezioni non rilevabili d’ufficio.
Con istanza del 4/7/2006 il Comune chiedeva la revoca della concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo nonché l’anticipazione dell’udienza ex art. 183 c.p.c., già fissata al 13/4/2007.
In tale istanza il Comune deduceva che non c’era prova della verificazione della condizione cui era subordinato il credito inserito nella transazione.
Il giudice anticipava l’udienza ex art. 183 c.p.c. al 20/9/2006 e, in tale sede, assegnava le parti termine per note autorizzate che venivano depositate il 19/10/2006 dal Comune.
All’udienza ex art. 183 c.p.c. del 13/4/2007 il Comune non precisava né modificava le domande o le eccezioni e non depositava memoria.
Il tribunale di Messina accoglieva l’opposizione proposta dal Comune, revocando il decreto ingiuntivo emesso.
Il tribunale evidenziava che «non vi era la prova» che si fosse «verificata la condizione di efficacia pattuita tra il Comune opponente e l’associazione temporanea di imprese, cui aderiva la società cedente, a tenore della quale ‘il residuo 33% – pari all’importo ingiunto in contesa – a saldo entro il 31/1/2002 purché l’impresa
abbia realizzato il 65% dei lavori oggetto dell’appalto o, in data anteriore, se l’impresa dovesse raggiungere detta percentuale di lavoro in anticipo’.
Avverso tale sentenza proponeva un unico motivo d’appello la Banca Carige esclusivamente in ordine alla mancanza di tempestività della difesa del Comune, che solo tardivamente si sarebbe doluto della inesigibilità del credito, in quanto sottoposto a condizione sospensiva.
Per la banca appellante, dunque, il tribunale non aveva tenuto conto che «nella opposizione a decreto ingiuntivo il Comune opponente non aveva sollevato alcuna eccezione in ordine alla sussistenza e/o esigibilità del credito, essendosi limitato, da un lato, ad eccepire la parziale incedibilità del credito originariamente vantato dalla RAGIONE_SOCIALE nei suoi confronti e dall’altro a paventare l’eventualità di dovere pagare due volte eccezioni entrambe risultate infondate».
Per la banca appellante, quindi, il Comune, quale convenuto sostanziale, «non avrebbe potuto invocare il generico richiamo alla sussistenza del credito ceduto nell’istanza depositata il 4/6/2006, con cui il Comune si era limitato a chiedere la revoca dell’ordinanza di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto».
La banca aveva dichiarato di non accettare il contraddittorio su eccezioni e questioni nuove.
Pure irrilevanti erano le ‘note autorizzate’ del 19/10/2006, «nelle quali era stato autorizzato il deposito al solo fine di decidere sull’istanza di revoca».
L’appellante aveva contestato immediatamente «la nota dell’Ing. COGNOME allegata all’istanza di revoca da controparte, che non aveva neppure depositato la memoria prevista dall’art. 180 c.p.c. (vecchia
formulazione), all’udienza ex art. 183 c.p.c. non aveva inteso precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate non aveva depositato la memoria ex art. 180 c.p.c. (vecchia formulazione)».
La Corte d’appello di Messina, con sentenza n. 902/2018, depositata l’8/10/2018, rigettava l’appello.
In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto tempestiva la contestazione da parte del Comune, come delineata con l’istanza depositata il 4/7/2006, nella quale era stata «tempestivamente prospettata ed eccepita dal Comune convenuto la questione della condizione di efficacia dell’accordo transattivo».
Per la Corte d’appello, dunque, «l’eccezione di non verificazione della condizione di efficacia dell’accordo transattivo risulta formulata dal Comune ben prima del termine concesso dal G.I. con l’ordinanza sopra richiamata depositata il 31/5/2016 (con la quale veniva fissata l’udienza ex art. 183 c.p.c.) per proporre le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, con la conseguente irrilevanza della dichiarazione della banca di non accettare il contraddittorio».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Banca Carige s.p.a.
Ha resistito con controricorso il Comune di Messina.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione o falsa applicazione degli articoli 1362, 1363, 1367, 1353 e 1184 c.c. (mezzo di cassazione ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.): la natura di termine iniziale della clausola determinativa le modalità di pagamento».
Per la ricorrente, dunque, con la transazione del 13/7/2000 erano state definite le ragioni di lite tra RAGIONE_SOCIALE e il Comune di Messina, relative all’esecuzione dei lavori di appalto.
Il pagamento previsto dalla transazione doveva avvenire, quale saldo, il 31/1/2002 «purché l’impresa abbia realizzato il 65% dei lavori oggetto dell’appalto».
La Corte d’appello avrebbe fornito una interpretazione erronea dell’accordo transattivo, reputando che il raggiungimento di determinati stati di avanzamento dei lavori «sarebbe una vera e propria condizione sospensiva per l’erogazione del secondo rateo e del saldo».
In base a tale interpretazione la COGNOME, in caso di mancato avveramento della condizione, nulla avrebbe potuto pretendere a titolo di risarcimento del danno.
Per la ricorrente, invece, non si trattava di una condizione di efficacia del contratto, ma semplicemente di un termine di adempimento, nel senso che le parti «durante le trattative che hanno preceduto l’accordo bonario hanno sempre e solo discusso delle modalità di rateizzazione delle somme».
L’evento era stato indicato allora «in funzione esclusivamente cronologica.
In sostanza le parti avrebbero previsto «il verificarsi dell’evento come un fatto certo».
L’interpretazione del negozio offerta dal giudice di secondo grado risulterebbe, quindi, in aperto contrasto con il tenore letterale e la comune intenzione delle parti prevista dall’art. 1362 c.c., quale criterio ermeneutico primario.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione o falsa applicazione dell’art. 31bis , legge 109/94 e dell’art. 1965 c.c. (mezzo di cassazione ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.): l’incompatibilità della transazione con la posizione della condizione sospensiva».
La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistere una condizione sospensiva, integrata dall’avanzamento dei lavori.
Tuttavia la sentenza impugnata avrebbe omesso «di considerare la natura transattiva dell’accordo, il quale non ha novato l’obbligazione risarcitoria gravante sul Comune di Messina».
Pertanto, la tesi della condizione sospensiva- sostenuta dalla Corte d’appello – sarebbe stata incompatibile con la causa del contratto «il quale è volto a porre fine ad una lite avente ad oggetto l’obbligazione risarcitoria».
Nell’interpretazione della Corte territoriale vi sarebbero due profili di contrasto con la disciplina della transazione; in primo luogo, tale accordo implicherebbe una surrettizia e inammissibile modifica dell’appalto; in secondo luogo, l’accordo transattivo era privo di carattere novativo, sicché non avrebbe senso l’assunzione di un’obbligazione risarcitoria subordinata ad un evento futuro e incerto.
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione o falsa applicazione degli articoli 167 e 645 c.p.c. e del principio di non contestazione (mezzo di cassazione ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.): l’inammissibilità per tardività dell’eccezione di inefficacia e/o inesigibilità del credito».
Erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto tempestiva la contestazione da parte del Comune contenuta nell’istanza depositata il 4/7/2006.
Per la ricorrente, invece, l’eccezione di inesigibilità sarebbe stata intempestiva e «contenuta in un atto irrituale».
Poiché l’opponente Comune era convenuto in senso sostanziale, avrebbe dovuto dedurre tutte le difese nel termine di cui all’art. 167 c.p.c. mediante l’opposizione ex art. 645 c.p.c.
Nell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo il Comune avrebbe dovuto proporre tutte le difese.
Al contrario, nell’atto di citazione il Comune non ha eccepito l’insussistenza e/o l’inesigibilità del credito ceduto, neppure all’udienza ex art. 183 c.p.c. il Comune aveva precisato e modificato le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate e neppure aveva depositato la memoria di cui all’art. 183 c.p.c.
In sintesi, in nessuno degli atti processuali destinati a fissare il thema decidendum il Comune aveva eccepito l’insussistenza e/o l’inesigibilità del credito.
Solo con l’istanza del 4/7/2007 il Comune aveva sollevato tale eccezione.
Si trattava dunque di eccezione tardiva, da qualificarsi come eccezione in senso stretto.
Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (mezzo di cassazione ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.): l’omessa pronuncia sull’eccezione sollevata da Banca Carige».
La sentenza impugnata sarebbe erronea nella parte in cui non ha pronunciato sull’eccezione sollevata dalla Banca Carige con cui è stata dedotta «l’esistenza di un mero termine di adempimento».
Afferma la ricorrente che non sarebbe vero che l’unica questione rilevante riguarderebbe la tempestività dell’eccezione sollevata dal Comune.
La Corte territoriale avrebbe «totalmente omesso di considerare la diversa e decisiva eccezione fatta valere da Banca Carige, la quale nel giudizio di secondo grado ha segnalato la corretta interpretazione della clausola recata dall’accordo transattivo».
La ricorrente riporta una parte della comparsa conclusionale in appello, in cui si evidenziava che era «dunque agevole rilevare che
le parti non avevano in alcun modo inteso apporre una condizione al ristoro del danno subito da NOME COGNOME ma avevano semplicemente indicato un tempo di adempimento ex art. 1183 ss. cod.civ.».
I primi due motivi di impugnazione, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono inammissibili.
5.1. Invero, la ricorrente non indica l’atto processuale, nella fase di gravame, nel quale sarebbe stata inserita per la prima volta la questione in ordine alla natura dell’evento contenuto dell’atto di transazione del 13/7/2000, che dovrebbe essere considerato come semplice termine apposto per il pagamento non quale condizione sospensiva.
I due motivi di ricorso, dunque, sono inammissibili ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c.
5.1.1. I motivi sono inammissibili anche perché la ricorrente non ha interesse ad impugnare per la mancata interpretazione come termine perché, anche assumendo questa prospettiva, resta non provata l’esigibilità della prestazione sotto il profilo del termine di scadenza dell’obbligazione
5.2. I motivi sono inammissibili pure perché proposti per la prima volta nel giudizio di legittimità, con il ricorso per cassazione.
Risulta dalla sentenza della Corte d’appello che l’unico motivo di gravame proposto dalla Banca Carige ha riguardato la mancanza di tempestività con cui il Comune ha contestato l’inesigibilità del credito derivante dall’atto di transazione del 13/7/2000.
Si legge, infatti, nella motivazione della sentenza della Corte territoriale che «on un unico motivo di appello la banca Carige s.p.a. censura la sentenza impugnata per avere il primo giudice ritenuto gravante sulla banca cessionaria l’onere della prova della
certezza, liquidità ed esigibilità del credito ceduto e della riferibilità di esso alla sfera patrimoniale del cedente, per poi concludere che non vi era prova della condizione di efficacia pattuita tra il Comune opponente e l’Associazione temporanea di imprese, cui aderiva la società cedente il credito» senza però «tenere conto che nell’opposizione a decreto ingiuntivo il Comune opponente non aveva sollevato alcuna eccezione in ordine alla sussistenza e/o esigibilità del credito, essendosi limitato, da un lato, ad eccepire la parziale incedibilità del credito originariamente vantato dalla RAGIONE_SOCIALE nei suoi confronti e dall’altra paventare l’eventualità di dovere pagare due volte».
Nel motivo d’appello la banca sottolineava che il Comune «non avrebbe potuto invocare il generico richiamo alla ‘sussistenza del credito ceduto’ nell’istanza depositata il 4/7/2006, con cui il Comune si era limitato a chiedere la revoca dell’ordinanza di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto», mentre la banca aveva replicato «dichiarando di non accettare il contraddittorio eccezioni e questioni nuove».
Per l’appellante, poi, erano del pari irrilevanti «le note autorizzate del 19/10/2006, delle quali era stato autorizzato il deposito al solo fine di decidere sull’istanza di revoca».
Sempre in ordine alla mancanza di tempestività della difesa del Comune, la banca appellante nell’atto d’appello, per come riportato dalla Corte territoriale, avrebbe «immediatamente contestato la nota dell’ing. COGNOME allegata all’istanza di revoca da controparte, che non aveva neppure depositato la memoria prevista dall’art. 180 c.p.c. (vecchia formulazione), all’udienza ex art. 180 c.p.c., non aveva inteso precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate e non aveva depositato la memoria ex art. 180 c.p.c. (vecchia formulazione)».
Come si vede, dunque, l’unico motivo d’appello formulato dalla Banca Carige riguardava la asserita non tempestività della eccezione formulata dal Comune in ordine alla sussistenza e/o esigibilità del credito.
Del resto, anche nei motivi di ricorso per cassazione la banca si limita a richiamare le proprie difese nella comparsa conclusionale in appello, laddove a pagina 8 del ricorso per cassazione afferma che il tribunale «aveva reputato il credito ingiunto sospensivamente condizionato, quando era di tutta evidenza che le parti avevano inserito nell’accordo transattivo un semplice termine iniziale per l’esigibilità. Sotto questa luce, Banca Carige ha segnalato che la lettura dal tribunale si poneva in ‘aperto contrasto con il chiaro tenore testuale dell’accordo e del tutto incompatibile con la causa negoziale propria dell’accordo bonario’ non essendo possibile ‘immaginare un’attribuzione patrimoniale volta al risarcimento dei danni, subordinato ad un evento futuro ed incerto’ (pag. 14 comparsa conclusionale in Appello di Banca Carige, doc. 13 allegato al presente ricorso)».
E’ la stessa banca, nel motivo di ricorso per cassazione ad ammettere che le difese in ordine alla sussistenza nell’atto di transazione di un mero termine dilatorio e non di una condizione sospensiva sono state articolate solo in sede di comparsa conclusionale nella fase di appello.
6.1. I motivi sarebbero del pari inammissibili, anche ove fossero state tempestivamente formulate le difese della Banca Carige nella sede d’appello, in quanto la Corte territoriale ha fornito una interpretazione delle clausole contrattuali (laddove peraltro il contratto di transazione del 13/7/2000 non è stato neppure riportato nei suoi contenuti essenziali) del tutto plausibile, non scardinata dall’invocazione dei parametri maieutici invocati dalla ricorrente.
Il terzo motivo è infondato.
7.1. Del tutto correttamente, sia giudice di primo grado della Corte d’appello, hanno ritenuto che le difese del Comune di Messina sono state articolate tempestivamente.
Ed infatti, nell’opposizione a decreto ingiuntivo, notificata il 25/6/2005 – il Comune si è limitato a prospettare due diverse ipotesi difesa: da un lato la parziale incedibilità del credito, in quanto relativo all’ATI, e quindi non della disponibilità in proprio da parte della mandataria RAGIONE_SOCIALE; dall’altro, il rischio di pagare due volte alla Banca Carige ed alla curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE, ove il curatore fallimentare avesse esercitato l’azione di revocatoria fallimentare.
La Banca Carige si è costituita con comparsa del 14/11/2015.
Il giudice in data 31/5/2006 ha concesso la provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo in favore della banca, in sede di udienza ex art. 180 c.p.c., assegnando alle parti il termine sino a 20 giorni prima dell’udienza per sollevare le eccezioni non rilevabili d’ufficio, fissando l’udienza del 13/4/2007.
Essendo stata concessa la provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo il Comune, con istanza del 4/7/2006, ha chiesto sia la revoca della concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo, sia l’anticipazione dell’udienza ex art. 180 c.p.c. già fissata al 13/4/2007.
Il giudice ha provveduto ad anticipare l’udienza al 20/9/2006, concedendo termine per note illustrative.
La Banca Carige ha dichiarato di non accettare il contraddittorio su eccezioni e questioni nuove.
Nelle note autorizzate del 19/10/2006 il Comune ha insistito nel contestare l’esigibilità del credito.
All’udienza ex art. 183 c.p.c. del 13/4/2007 il Comune non ha precisato o modificato ulteriormente le domande e le eccezioni e non ha depositato memoria scritta.
Risulta evidente, allora, che la difesa del Comune, con cui si è eccepita la mancanza di esigibilità del credito, non essendosi verificata la condizione sospensiva di cui all’atto di transazione del 13/7/2000, e non avendo dunque la società RAGIONE_SOCIALE provveduto a realizzare il 65% dei lavori, anche per intervenuto fallimento, è stata del tutto tempestiva.
Da un lato, infatti, si evidenzia che il Comune – nella disciplina processuale all’epoca vigente – aveva termine per sollevare le eccezioni in senso stretto sino a 20 giorni prima dell’udienza ex art. 183 c.p.c. fissata al 13/4/2007, mentre l’istanza del Comune per la revoca della concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo è stata formulata il 4/7/2006.
Va infatti chiarito che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, solo da un punto di vista formale l’opponente assume la posizione di attore e l’opposto quella di convenuto, perché è il creditore ad avere veste sostanziale di attore ed a soggiacere ai conseguenti oneri probatori, mentre l’opponente è il convenuto cui compete di addurre e dimostrare eventuali fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito, di tal che le difese con le quali l’opponente miri ad evidenziare l’inesistenza, l’invalidità o comunque la non azionabilità del credito vantato ” ex adverso ” non si collocano sul versante della domanda – che resta quella prospettata dal creditore nel ricorso per ingiunzione – ma configurano altrettante eccezioni (Cass., sez. 3, 24/11/2015, n. 24815; più recentemente Cass., sez. 3, 27/11/2023, n. 32933).
Dall’altro, è evidente che non si è in presenza di un’eccezione in senso stretto, ma esclusivamente di una eccezione in senso lato o in senso improprio.
Nel nostro ordinamento vige infatti il principio della rilevabilità d’ufficio delle eccezioni, derivando invece la necessità dell’istanza di parte solo dall’esistenza di una eventuale specifica previsione normativa, oppure nelle ipotesi in cui il fatto costitutivo dell’eccezione integri il fatto posto a base di un’azione costitutiva (Cass., Sez.U., 25/5/2001, n. 226).
Trova applicazione, infatti, il principio consolidato di questa Corte per cui, in relazione all’opzione difensiva del convenuto consistente nel contrapporre alla pretesa attorea fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda, occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione, posto che il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (pertanto sempre soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), mentre il secondo compete alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) solo nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte.
In ogni altro caso si deve ritenere sussistente la rilevabilità d’ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito, senza che, peraltro, ciò comporti un superamento del divieto di scienza privata del giudice o delle preclusioni e decadenze previste, atteso che il
generale potere – dovere di rilievo d’ufficio delle eccezioni facente capo al giudice si traduce solo nell’attribuzione di rilevanza, ai fini della decisione di merito, a determinati fatti, sempre che la richiesta della parte in tal senso non sia strutturalmente necessaria o espressamente prevista, essendo però in entrambi i casi necessario che i predetti fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati alla stregua della specifica disciplina processuale in concreto applicabile (Cass., Sez.U., 3/2/1998, n. 1099; Cass., 26/7/2019, n. 20317; Cass. 18/8/2020, n. 17216).
Ed infatti, le eccezioni vietate in appello, ai sensi dell’art. 345, comma 2, c.p.c., sono soltanto quelle in senso proprio, ovvero «non rilevabili d’ufficio», e non, indiscriminatamente, tutte le difese, comunque svolte dalle parti per resistere alle pretese o alle eccezioni di controparte, potendo i fatti su cui esse si basano e risultanti dalle acquisizioni processuali essere rilevati d’ufficio dal giudice alla stregua delle eccezioni “in senso lato” o “improprie” (Cass., sez. 1, 20/3/2017, n. 7107; Cass., sez. 2, 31/10/2018, n. 27998).
Ed infatti, l’eccezione in senso lato consistono nell’allegazione o rilevazione di fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto dedotto in giudizio ai sensi dell’art. 2697 c.c., con cui sono opposti nuovi fatti o temi di indagine non compresi fra quelli indicati dall’attore e non risultanti dagli atti di causa. Esse si differenziano dalle mere difese, che si limitano a negare la sussistenza o la fondatezza della pretesa avversaria (Cass., sez. 3, 6/5/2020, n. 8525).
Quanto al resto, l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, per cui non è sindacabile
in cassazione per violazione o falsa applicazione della legge (cfr. Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490; Cass. 7 febbraio 2019, n. 3680).
Il quarto motivo è assorbito, stante la dichiarazione di inammissibilità dei primi due motivi, anche per la novità degli stessi.
Infatti, poiché il quarto motivo è relativo alla asserita omessa pronuncia sull’eccezione sollevata dalla Banca Carige in relazione all’esistenza «di un mero termine di adempimento», poiché tale motivo non è stato sollevato in sede di appello ed è dunque nuovo, non vi era alcuna ragione per la quale la Corte d’appello avrebbe dovuto provvedere sullo stesso, in quanto la questione nuova era stata adombrata solo in sede di comparsa conclusionale in sede d’appello.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 10.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
S’Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11 aprile