Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4536 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4536 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
Oggetto: Actio negatoria servitutis – Eccezione usucapione – Termine proposizione.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23963/2023 R.G. proposto da
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Scandicci (Fi) alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME NOME
E
COGNOME NOME
-intimati – avverso la sentenza n. 781/2023 della Corte d’Appello di Firenze, pubblicata il 17/04/2023 e non notificata.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5/2/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. COGNOME NOME e COGNOME NOME, premesso di essere proprietari di alcuni immobili ad uso abitativo e ad uso magazzino, siti in Montevarchi, INDIRIZZO per averli acquistati da COGNOME NOME in forza di atto rogato il 4/11/2011, convennero in giudizio quest’ultimo e NOME COGNOME rilevando che, una volta immessi nel possesso dei beni acquistati, si erano avveduti che il proprietario confinante, NOME Giuseppe, transitava, sia a piedi che con autoveicoli, attraverso il resede esclusivo di pertinenza del predetto immobile, nonostante all’epoca del rogito il venditore li avesse rassicurati circa l’assenza di pesi, oneri e altri diritti reali sul bene idonei a limitarne la commerciabilità e il valore, e chiedendo che venisse accertata l’inesistenza di qualsivoglia servitù di passo o carrabile, con condanna del venditore alla corresponsione, in loro favore, della somma di euro 50.000,00 per il decremento del valore dell’immobile.
Costituitisi in giudizio con separati atti, NOME COGNOME chiese il rigetto della domanda e la condanna degli attori ai sensi del secondo comma dell’art. 96 cod. proc. civ. o, in subordine, ai sensi del terzo comma della medesima disposizione, sostenendo di avere sempre goduto del diritto di servitù di passaggio attraverso il resede di proprietà degli attori e di sosta degli autoveicoli, mentre COGNOME NOME chiese il rigetto delle domande.
Con sentenza n. 1446/2017, il Tribunale di Arezzo accolse le domande attoree, accertò l’inesistenza del diritto di servitù pedonale e carrabile -preteso dal Romano, e dichiarò quest’ultimo decaduto dall’eccezione di usucapione della servitù, essendosi costituito tardivamente.
Il giudizio di gravame, interposto da NOME COGNOME, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME e COGNOME NOME, che eccepirono l’intervenuta cessazione della materia del contendere in seguito all’esito positivo del procedimento di mediazione intentato
per il regolamento di confini tra le due proprietà e l’inammissibilità dell’appello per mancata estensione nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME e di quest’ultimo, che si costituì in seguito ad integrazione del contraddittorio, con la sentenza n. 781/2023, pubblicata il 17/4/2023, con la quale la Corte d’Appello di Firenze rigettò l’appello, escludendo che fosse intervenuta la cessazione della materia del contendere e confermando l’inammissibilità dell’eccezione riconvenzionale di usucapione, e anche la domanda ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. proposta dagli appellati COGNOME
Contro la predetta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione COGNOME Giuseppe sulla base di un unico motivo. COGNOME NOME e COGNOME NOME e COGNOME NOME sono rimasti intimati.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che :
Con l’unico motivo di ricorso si si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 166 e 167 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello ritenuto l’appellante decaduto dall’eccezione di usucapione, come anche affermato dal Tribunale, senza tener conto che l’eccezione da lui proposta costituiva una mera difesa volta unicamente al rigetto della domanda e che, essendo la servitù diritto autodeterminato e identificandosi la relativa causa petendi
col diritto stesso e non con il titolo del suo acquisto, i fatti da cui ne dipendeva l’acquisto dovevano considerarsi secondari, sicché le contestazioni al diritto vantato dall’attore, in quanto mere difese, potevano essere proposte in ogni stato e grado del giudizio, oltre ad essere indifferenti all’eventuale contumacia o tardiva costituzione del convenuto e ininfluenti sul riparto dell’onere della prova. Il ricorrente ha richiamato sul punto la sentenza n. 11377/2015 delle Sezioni Unite di questa Corte, deducendo che se l’eccezione di usucapione di un diritto reale era proponibile in grado di appello, a maggior ragione lo era anche nel corso del giudizio di primo grado, quindi anche oltre i termini di costituzione con comparsa, e ha dunque insistito perché le proprie deduzioni sul proprio diritto di passaggio venissero considerate mere difese volte al solo rigetto della domanda svolta dagli attori COGNOME.
Il motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che, qualora il convenuto in un giudizio di negatoria servitutis deduca l’esistenza della servitù contestatagli, per averla acquistata per titolo o per usucapione o in qualsiasi altro modo, al solo fine di impedire l’accoglimento della domanda negatoria, si resta nei limiti dell’eccezione riconvenzionale, laddove, se lo stesso convenuto invochi il riconoscimento dell’esistenza della servitù al fine di ottenere un provvedimento a suo favore, finendo con ciò con l’esercitare un ‘actio confessoria servitutis , vengono travalicati i limiti della difesa e ci si trova nell’ambito della domanda riconvenzionale (Cass., Sez. 2, 16/12/1987, n. 9343) .
Ricorre, in particolare, l’ipotesi dell’eccezione riconvenzionale allorquando il fatto dedotto dal convenuto sia diretto provocare il mero rigetto della domanda avversaria, mentre integra vera e propria domanda riconvenzionale, preclusa in sede di gravame,
l’istanza con la quale venga chiesto, oltre al rigetto dell’altrui pretesa, l’ulteriore declaratoria di tutte le conseguenze giuridiche connesse all’invocato mutamento della situazione precedente (Cass., Sez. 3, 13/6/2013, n. 14852).
Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto di qualificare le deduzioni del convenuto in termini di eccezione riconvenzionale di usucapione, arguendolo dalle argomentazioni proposte dal predetto, allorché aveva evidenziato di avere recintato i terreni di sua proprietà a partire dal 1987 e di avere realizzato dei cancelli d’accesso anche davanti al resede di proprietà degli attori, con la conseguenza che la servitù di passo oggetto della controversia era qualificabile come apparente e, pertanto, suscettibile di usucapione.
Posto che la qualificazione della domanda è operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, è censurabile in sede di legittimità solo quando ne risulti alterato il senso letterale o il contenuto sostanziale dell’atto, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire (Cass., Sez. 1, 7/2/2024, n. 3454; Cass., Sez. 3, 22/09/2023, n. 27181; Cass. Sez. 3, 20/10/2005, n. 20322; Cass., Sez. 3, 12/05/2003, n. 7198), circostanza questa non rilevabile nella specie, avendo i giudici riportato con precisione, virgolettate e in corsivo, le deduzioni dell’appellante, è evidente come non potesse che applicarsi in questo caso il principio secondo cui l’eccezione riconvenzionale di usucapione del convenuto, in quanto paralizzatrice della domanda principale, debba essere proposta con la comparsa di risposta tempestivamente depositata, pena l’inammissibilità ove formulata per la prima volta nella memoria contenente le deduzioni istruttorie depositate ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ. (Cass., Sez. 2, 27/6/2023, n. 18322; vedi anche Cass., Sez. 2, 4/3/2020, n. 6009).
Da ciò consegue la correttezza della decisione, nella parte in cui è stata dichiarata l’inammissibilità dell’eccezione in ragione della tardiva costituzione del convenuto.
Va peraltro evidenziato come il ricorrente non abbia attinto la decisione nella parte in cui ha escluso che fosse rimasta provata la natura vicinale della strada e, soprattutto, l’esercizio, da parte sua, del passaggio sulla stessa con modalità tali da usucapire il relative diritto.
E poiché tale argomentazione, quand’anche si ritenesse tempestiva l’eccezione, sarebbe idonea in sé a reggere la decisione, la censura deve considerarsi, sotto questo aspetto, anche inammissibile, in applicazione del principio secondo cui qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni determina l’inammissibilità, per difetto di interesse, anche del gravame proposto avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe, pur sempre, fondata su di essa (Cass., Sez. I, 18 aprile 1998, n. 3951; Cass., Sez. 2, 30/3/2022, n. 10257).
In conclusione, dichiarata l’infondatezza del motivo, il ricorso deve essere rigettato.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., da interpretarsi alla stregua del principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con l’ordinanza n. 27195 del 22/09/2023, secondo cui la condanna del ricorrente al pagamento della somma di cui all’art. 96, quarto
comma, cod. proc. civ. in favore della cassa delle ammende deve essere pronunciata anche qualora nessuno dei soggetti intimati abbia svolto attività difensiva, avendo essa una funzione deterrente e, allo stesso tempo, sanzionatoria rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso.
Condanna il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5/2/2025.