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Eccezione di prescrizione: quando è valida in banca?

Una recente sentenza della Corte di Appello di Bari analizza in dettaglio l’eccezione di prescrizione sollevata da un istituto di credito in una causa di ripetizione di indebito promossa da un correntista. La Corte rigetta l’appello principale della banca, confermando la continuità di un rapporto di conto corrente nonostante un cambio di numerazione, e accoglie parzialmente l’appello incidentale del cliente, modificando la data di decorrenza degli interessi legali sulla somma da restituire. La decisione si sofferma sui requisiti di validità dell’atto interruttivo della prescrizione e sull’onere della prova relativo alle rimesse solutorie.

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Pubblicato il 19 agosto 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Eccezione di prescrizione: quando è valida in banca?

L’eccezione di prescrizione è una delle difese più comuni sollevate dagli istituti di credito nelle cause di ripetizione di indebito. Ma quali sono i requisiti perché sia considerata valida? Una recente sentenza della Corte d’Appello di Bari offre chiarimenti cruciali sulla continuità del rapporto di conto corrente, sulla validità degli atti interruttivi e sull’onere della prova, delineando un quadro chiaro per correntisti e professionisti del settore. Analizziamo insieme i punti salienti di questa importante decisione.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un rapporto di conto corrente intrattenuto da un cliente con un istituto bancario a partire dal dicembre 1992. Nel 2014, ritenendo di aver subito l’applicazione di interessi anatocistici illegittimi, commissioni non pattuite e altre somme non dovute, il correntista avviava un’azione legale per ottenere la restituzione di quanto indebitamente pagato.

La banca si difendeva sollevando, in via preliminare, un’eccezione di prescrizione decennale. Secondo l’istituto, il rapporto di conto corrente originario si era estinto nel marzo 1999, e quindi l’azione legale, avviata oltre quindici anni dopo, era da considerarsi tardiva. Il cliente, al contrario, sosteneva che il rapporto non si fosse mai interrotto, ma fosse proseguito senza soluzione di continuità su un nuovo numero di conto, e che in ogni caso una lettera di diffida inviata nel 2005 avesse validamente interrotto il decorso della prescrizione.

Il Tribunale di primo grado accoglieva parzialmente le ragioni del correntista, condannando la banca alla restituzione di una somma ridotta. Insoddisfatte, entrambe le parti proponevano appello: la banca con un gravame principale, insistendo sulla prescrizione, e l’erede del correntista (nel frattempo deceduto) con un appello incidentale, lamentando, tra le altre cose, l’errata decorrenza degli interessi legali.

La Decisione e l’Eccezione di Prescrizione in Appello

La Corte d’Appello ha rigettato integralmente l’appello principale della banca e ha accolto parzialmente quello incidentale del cliente. I giudici hanno confermato la decisione di primo grado sulla continuità del rapporto bancario e sulla validità dell’atto interruttivo del 2005. Hanno però riformato la sentenza sulla decorrenza degli interessi, stabilendo che questi fossero dovuti non dalla data del deposito della consulenza tecnica, ma dalla data della messa in mora del 2005.

La Continuità del Rapporto di Conto Corrente

La Corte ha ritenuto infondata la tesi della banca secondo cui il conto si era estinto nel 1999. I giudici hanno evidenziato come le prove documentali, in particolare gli estratti conto, dimostrassero un mero trasferimento del saldo dal vecchio al nuovo conto. Si trattava, quindi, di una semplice modifica unilaterale della numerazione, non di una chiusura seguita da una nuova apertura. Questo ha reso irrilevante la data del 1999 ai fini del calcolo della prescrizione, confermando l’unicità e la continuità del rapporto fino alla sua effettiva chiusura.

Validità dell’Atto Interruttivo e Specificità dell’Eccezione di Prescrizione

La Corte ha respinto anche il secondo motivo d’appello della banca, che contestava l’efficacia interruttiva della diffida inviata dal correntista nel 2005. Secondo i giudici, per interrompere la prescrizione è sufficiente un qualsiasi atto stragiudiziale che manifesti chiaramente la volontà del creditore di far valere il proprio diritto nei confronti del debitore. Non è necessaria l’indicazione precisa dell’importo richiesto né un’intimazione formale ad adempiere.

Per quanto riguarda l’appello incidentale del correntista, la Corte ha affrontato la questione della genericità dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca. Richiamando un consolidato orientamento della Cassazione (sent. n. 5610/2020), i giudici hanno ribadito che la banca non ha l’onere di indicare specificamente ogni singola rimessa solutoria per la quale intende far valere la prescrizione. L’onere di allegazione è soddisfatto con la semplice affermazione dell’inerzia del titolare del diritto. Spetta poi al correntista, che agisce in ripetizione, provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito (fido), che qualificherebbe i versamenti come ‘ripristinatori’ della provvista (non soggetti a prescrizione se non dalla chiusura del conto) e non come ‘solutori’ (soggetti a prescrizione decennale dal singolo versamento). In assenza di tale prova, la ricostruzione del consulente tecnico, che aveva individuato le rimesse solutorie prescritte, è stata ritenuta corretta.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su principi giuridici consolidati e sulla corretta ripartizione dell’onere della prova. La decisione di considerare unitario il rapporto di conto corrente, nonostante il cambio di numerazione, si basa su una valutazione fattuale dei movimenti contabili, che dimostravano una continuità operativa e non una cesura.

Sul piano della prescrizione, la Corte applica rigorosamente l’orientamento della giurisprudenza di legittimità. La validità della messa in mora del 2005 viene confermata perché l’atto, pur generico nell’importo, conteneva l’inequivocabile volontà del creditore di ottenere quanto dovuto. Allo stesso tempo, la Corte conferma che l’onere di provare la natura ripristinatoria (e non solutoria) dei versamenti spetta al correntista. In mancanza della prova di un fido di cassa, i versamenti su un conto scoperto sono legalmente considerati pagamenti (rimesse solutorie) e, come tali, il diritto alla loro ripetizione si prescrive in dieci anni da ogni singolo versamento.

Infine, la Corte ha corretto la decorrenza degli interessi legali. Se la lettera del 2005 era un valido atto di costituzione in mora, capace di interrompere la prescrizione, allora da quella stessa data dovevano decorrere anche gli interessi sulla somma poi riconosciuta come dovuta, in applicazione dell’art. 2033 c.c. come interpretato dalle Sezioni Unite della Cassazione.

Le Conclusioni

La sentenza offre importanti spunti pratici. In primo luogo, conferma che i correntisti devono agire tempestivamente per contestare addebiti illegittimi, inviando una comunicazione scritta (raccomandata A/R o PEC) che manifesti chiaramente la volontà di recuperare le somme, al fine di interrompere la prescrizione. In secondo luogo, chiarisce che, in un giudizio di ripetizione, è fondamentale per il correntista poter provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito per evitare che l’eccezione di prescrizione della banca possa neutralizzare gran parte della pretesa. Infine, la decisione ribadisce l’attuale orientamento giurisprudenziale sulla non necessità di una dettagliata elencazione delle rimesse nell’eccezione della banca, spostando l’onere della prova sul cliente.

Quando una banca solleva un’eccezione di prescrizione, deve elencare ogni singolo versamento?
No. Secondo la giurisprudenza consolidata richiamata nella sentenza, per sollevare validamente l’eccezione di prescrizione è sufficiente che la banca affermi l’inerzia del correntista, senza la necessità di indicare specificamente ogni singola rimessa solutoria. L’onere di provare che i versamenti non erano solutori (ma ripristinatori di un fido) spetta al cliente.

Una semplice lettera di reclamo alla banca è sufficiente a interrompere la prescrizione?
Sì. La sentenza conferma che qualsiasi atto stragiudiziale, come una lettera di diffida, che individui il debitore e contenga la chiara richiesta scritta di adempiere o la volontà di far valere il proprio diritto, è sufficiente a interrompere la prescrizione. Non è necessario specificare l’importo esatto richiesto.

Da quando decorrono gli interessi sulla somma che la banca deve restituire al cliente?
La Corte ha stabilito che gli interessi legali sulla somma da restituire decorrono non dalla data del deposito della perizia tecnica (CTU) o della domanda giudiziale, ma dal momento della ricezione da parte della banca del valido atto di costituzione in mora (in questo caso, la lettera del 2005), in quanto esso è il primo atto che rende il debito esigibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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