Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22688 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22688 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1570/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME , rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore e domiciliata ope legis in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende
-controricorrente –
Oggetto: Contratto di as- suntoria – Mercato dei Cereali – AGEA – Inadem- pimento
R.G.N. 1570/2021
Ud. 23/04/2025 CC
AIMA IN LIQUIDAZIONE
-intimata –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 2848/2020 depositata il 15/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 23/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 2848/2020, pubblicata in data 15 giugno 2020, la Corte d’appello di Roma, nella dichiarata contumacia di A.IRAGIONE_SOCIALE, ha respinto sia l’appello principale, sia l’appello incidentale proposti, rispettivamente, da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 19559/2012, depositata il 23 ottobre 2012, la quale aveva respinto la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE e, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale di RAGIONE_SOCIALE, aveva condannato la medesima RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE a corrispondere ad AGEA l’importo di € 1.272.577,04.
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE aveva agito nei confronti di RAGIONE_SOCIALE sulla base del contratto di ‘assuntoria’ concluso con RAGIONE_SOCIALE., in virtù del quale RAGIONE_SOCIALE aveva assunto l’incarico di svolgere le operazioni esecutive di intervento nel mercato dei cereali, obbligandosi a curare, in nome e per conto dell’A.I.M.A., le operazioni di acquisto, di ricevimento, di pagamento, di conservazione e di vendita dei prodotti.
nonché contro
Sulla base di tale contratto, a fronte di ogni acquisto presso i singoli operatori, RAGIONE_SOCIALEquale ‘assuntore’ si obbligava a emettere le relative bollette di acquisto nonché – previo rilascio di corrispondenti fatture da parte dei venditori – a curarne i pagamenti utilizzando, a tal fine, le somme che I’A.I.M.A. era tenuta ad accreditare su un apposito conto corrente bancario, sul quale l’Assuntore era espressamente delegato ad effettuare i prelevamenti esclusivamente per le bollette di acquisto dei cerali conferiti mentre, nell’opposto caso di vendita di cereali, l’Assuntore si obbligava ad emettere, per ogni consegna all’acquirente, apposita bolletta di uscita e, sempre in nome e per conto di RAGIONE_SOCIALE, regolari fatture per il controvalore, calcolato in via provvisoria, che il compratore doveva versare prima dell’inizio dei ritiri del prodotto direttamente all’Assuntore, che ne curava l’incasso.
Così ricostruiti i rapporti con RAGIONE_SOCIALE -alla quale, per effetto di soppressione, era subentrata RAGIONE_SOCIALE -la RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto la condanna di RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di € 4.346.433,27 -di cui € 3.556.547,81 per sorte capitale ed € 789.885,46 per interessi -quale credito derivante dall’espletamento dell’incarico, nonché al risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento.
Si era costituita RAGIONE_SOCIALE eccependo una serie di inadempimenti alle predette convenzioni da parte della medesima RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE e formulando domanda riconvenzionale di condanna dell’attrice al pagamento dell’importo di £ 5.442.918.820, quale saldo creditorio a proprio favore, maggiorato degli interessi.
All’esito del giudizio nel corso del quale era stata espletata consulenza tecnica d’ufficio il Tribunale di Roma, come già ricordato, aveva respinto la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE mentre aveva accolto la domanda riconvenzionale, condan-
nando la stessa RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE a corrispondere in favore dell’AGEA l’importo di € 1.272.577,04, oltre interessi nella misura legale dal 14 ottobre 1997, compensando le spese di lite ad eccezione di quelle relative alla CTU, poste a carico della RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE.
Esaminando i contrapposti gravami -e per quanto ancora rileva nella presente sede -la Corte territoriale ha disatteso i motivi di appello di RAGIONE_SOCIALE, osservando, in sintesi, che:
-era da ritenersi provata -in relazione alla domanda riconvenzionale di RAGIONE_SOCIALE -la percezione da parte della stessa RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE della somma di € 3.311.511,00 da parte della società RAGIONE_SOCIALE emergendo tale circostanza sia da comunicazioni della medesima appellante sia dal contenuto di un atto di citazione notificato dall’appellante ad RAGIONE_SOCIALE per instaurare un precedente giudizio poi estinto sia da copie di bonifici bancari riprodotti nella consulenza tecnica d’ufficio svolta in primo grado;
-era da ritenersi inammissibile l’eccezione di prescrizione sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE in relazione alla domanda riconvenzionale di RAGIONE_SOCIALE, essendo stata tale eccezione sollevata unicamente nella memoria depositata entro il primo termine ex art. 183 c.p.c.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 183, quinto e sesto comma, c.p.c. e 2934 c.c.
Censurando la decisione della Corte d’appello di Roma nella parte in cui la stessa ha ritenuto inammissibile, in quanto tardivamente formulata, l’eccezione di prescrizione del credito azionato dall’odierna controricorrente, la ricorrente deduce che:
-l’eccezione doveva ritenersi tempestivamente formulata, avendo la ricorrente contestato sin dall’udienza di comparizione l’inammissibilità dell’avversa domanda , chiedendone ulteriormente il rigetto;
-in ogni caso doveva ritenersi che il termine ultimo per sollevare l’eccezione venisse a scadere solo con lo scadere del termine per il deposito della prima memoria ai sensi dell’art. 183, comma sesto, c.p.c., quale ‘appendice scritta’ dell’udienza di trattazione;
-la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare l’infondatezza dell’eccezione medesima, avendo il giudice di prime cure sia individuato erroneamente il momento in cui la prescrizione aveva incominciato a decorrere sia erroneamente attribuito valenza interruttiva della prescrizione ad atti che erano privi degli elementi a tali fine necessari.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 183, commi quinto e sesto, c.p.c., nonché 1241, 1242 e 1243 c.c.
Censurando la decisione della Corte d’appello nella parte in cui la stessa ‘ha avallato la sentenza di primo grado con cui il Tribunale ha condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento dell’importo di euro 1.272.577,04, ritenendo implicitamente ammissibile e fondata l’eccezione di compensazione formulata dalla Agea nella propria comparsa di costituzione e risposta’ , la ricorrente contesta che alla fattispecie fosse applicabile il meccanismo della c.d. ‘compensazione impropria’ e si duole del fatto che la Corte d’app ello abbia omesso di statuire sulle contestazioni in tal senso formulate sin dal giudizio di primo grado.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce ‘violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 comma 1 n. 3 in relazione agli artt. 116 c.p.c. e 2697 c.c. -omesso esame di un punto decisivo ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. per mancato esame di elementi probatori, contrastanti con que lli posti a fondamento della pronuncia’ .
Il ricorso censura la decisione impugnata in quanto ‘ha erroneamente ritenuto provato l’avvenuto pagamento, da parte della RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, delle somme relative all’aggiudicazione Aima di grano duro di cui al bando di gara n. 2778 del 2/10/1993 pari ad Euro 3.311.511,05 (lire 6.411.979,501=), nonché il mancato versamento delle medesime somme da parte dell’assuntore RAGIONE_SOCIALE all’Aima.’ , contestando la valutazione degli elementi documentali operata dalla Corte di merito.
Contesta ulteriormente che la Corte d’appello:
-avrebbe erroneamente riconosciuto valore di riconoscimento della circostanza alle deduzioni svolte nell’atto di citazione precedentemente notificato ad A.RAGIONE_SOCIALEARAGIONE_SOCIALE, omettendo di esaminare l’atto nel suo contenuto complessivo ed attribuendo valenza confessoria ad un atto non sottoscritto dalla parte;
-avrebbe ritenuto idoneo atto di costituzione in mora un decreto dell’A.I.M.A. del 15 gennaio 1998 che invece costituiva atto
meramente interno all’Ente medesimo e non era stato notificato alla ricorrente;
-avrebbe preso in considerazione ai fini probatori bonifici bancari acquisiti dal consulente tecnico d’ufficio, violando sia l’art. 2697 c.c. sia l’art. 2712 c.c., essendo stati detti bonifici prodotti in copia e disconosciuti ex art. 2712 c.c.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 343 e 166 c.p.c. Si censura la sentenza della Corte capitolina nella parte in cui quest’ultima avrebbe erroneamente omesso di valutare l’eccezione di inammissibilità in rito dell’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE, esaminandolo nel merito.
Si deduce che quest’ultimo doveva ritenersi tardivo, essendosi l’odierna controricorrente costituita in data 28 agosto 2013, a fronte di un’udienza di comparizione, fissata in citazione al 26 settembre 2013.
Il primo motivo di ricorso è in parte infondato ed in parte inammissibile.
È da dire che il motivo -anzi il ricorso, tenendo conto anche della ricostruzione in fatto posta in premessa – si caratterizza per uno scarso rispetto della regola di specificità di cui a ll’art. 366 c.p.c. , dal momento che lo stesso opera una riproduzione quanto mai sommaria di atti dei gradi di merito -esemplare il caso del verbale della prima udienza di comparizione del giudizio di primo grado (pagg. 5-6) -omettendo in molti casi anche la relativa localizzazione degli atti stessi.
Questa carenza, peraltro, vale a precludere l’esame diretto degli atti -riqualificando il motivo come art. 360, n. 4), c.p.c., essendo sostanzialmente dedotto un error in procededo -alla luce del principio per cui è necessariamente dall’ammissibilità del motivo di ricorso che discende l’esercizio del potere -dovere del giudice di legittimità di ac-
certare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (Cass. Sez. U – Sentenza n. 20181 del 25/07/2019; Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 27368 del 01/12/2020; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/ 2012; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15071 del 10/09/2012).
Operata tale premessa, si deve in primo luogo affermare l’infondatezza della prima delle tesi sostenute dalla ricorrente, e cioè quella per cui l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla stessa ricorrente in relazione alla comparsa di costituzione e risposta dell’odierna controricorrente , per tardivo deposito di quest’ultima, e la richiesta di rigetto (per ragioni non specificate) della domanda riconvenzionale stessa dovevano ritenersi implicitamente comprensive della formulazione della eccezione di prescrizione.
Fermo il principio per cui la formulazione dell’eccezione di prescrizione non esige l’impiego di formule sacramentali (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 13606 del 19/05/2021) o l’indicazione di specifiche norme (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23817 del 22/12/2004), è tuttavia inevitabile rilevare la fondamentale diversità che intercorre tra un’eccezione di inammissibilità di una domanda riconvenzionale per sua tardiva formulazione, in quanto eccezione in rito che peraltro, investendo il rispetto delle preclusioni proc essuali, risulta rilevabile d’ufficio, da un’eccezione in senso stretto inerente il merito di una pretesa ex adverso azionata, quale è l’eccezione di prescrizione, dovendosi quindi escludere nettamente che la seconda possa intendersi implicitamente contenuta nella prima.
Parimenti, si deve escludere -pena un evidente vulnus al principio del contraddittorio -che la generica richiesta di rigetto di una domanda contenga in sé anche la formulazione di un’eccezione di prescrizione,
atteso che quest’ultima esige pur sempre una manifestazione non equivoca della volontà di contrastare una deduzione di controparte (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23817 del 22/12/2004) e che, diversamente opinando, dovrebbe pervenirsi alla conclusione per cui la formulazione di conclusioni di rigetto di una domanda devono ritenersi contenere implicitamente una qualsiasi eccezione, comprese quelle in senso stretto.
Esclusa, quindi, anche la fondatezza della tesi -sostenuta sempre dalla ricorrente -per cui le deduzioni successivamente formulate nella prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c. venivano a costituire un mero ‘approfondimento’ (cfr. pag. 13 del ricorso) di un’eccezione già formulata, deve essere parimenti disattesa la tesi per cui in ogni caso l’eccezione di prescrizione avrebbe potuto essere formulata nella suddetta memoria quale ‘appendice scritta’ dell’udienza di trattazione.
Le deduzioni della ricorrente -in gran parte imperniate su argomentazioni e richiami di dottrina concernenti il ben diverso, e non pertinente, tema della ‘non contestazione’ cozzano con il disposto di cui all’art. 183, commi quinto e sesto, nella formulazione ratione temporis applicabile (citazione del 15 marzo 2007), il quale, testualmente, disponeva:
‘ Nella stessa udienza l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. Può altresì chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo ai sensi degli articoli 106 e 269, terzo comma, se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto. Le parti possono precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate.
Se richiesto, il giudice concede alle parti i seguenti termini perentori:
un termine di ulteriori trenta giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte;
un termine di ulteriori trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali;
un termine di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova contraria ‘ .
Orbene, la decisione impugnata richiama un precedente di questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3567 del 14/02/2011) che è riferito all’art. 183 c.p.c. nel testo di cui alla legge 26 novembre 1990, n. 353, vigente fino al 1° marzo 2006, ma che ha comunque affermato -in relazione a quello che era allora il quarto comma dell’art. 183 c.p.c. e ne è poi divenuto il quinto comma -il principio per cui, ove l’attore voglia eccepire la prescrizione del diritto azionato dal convenuto in riconvenzionale, è tenuto, a pena di decadenza, trattandosi di eccezione non rilevabile d’ufficio, a proporla al più tardi in sede di prima udienza di trattazione, non potendo avvalersi delle memorie da depositare nei termini fissati all’art. 183, quinto comma, cod. proc. civ., in quanto finalizzate esclusivamente a consentire alle parti di precisare e modificare le domande e le eccezioni già proposte e di replicare alle domande ed eccezioni formulate tempestivamente, ma non a proporne di ulteriori, non essendo ammissibile estendere il thema decidendum .
La decisione della Corte territoriale risulta ancora più conforme ai principi da questa Corte affermati in relazione alla versione dell’art. 183 c.p.c. applicabile al caso di specie, avendo questa Corte chiarito sia che l’art. 183 c.p.c. (sia nel testo anteriore alla riforma di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, sia nel testo successivo) consente all’attore di
proporre le domande consequenziali alle eccezioni o domande del convenuto soltanto nell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., e non anche, a pena di inammissibilità rilevabile anche d’ufficio, con le memorie previste dalla medesima norma (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17708 del 19/07/2013) sia che la memoria di cui all’art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c. consente all’attore di precisare e modificare le domande “già proposte”, ma non di proporre le domande e le eccezioni che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni formulate dal convenuto, le quali vanno, invece, presentate, a pena di decadenza, entro la prima udienza di trattazione (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 30745 del 26/11/2019, che, a propria volta, richiama, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9880 del 13/05/2016; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3806 del 26/02/2016; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25409 del 12/11/2013).
Quanto alle deduzioni di cui alle pagg. 16-17 del ricorso, le stesse investono il merito vero e proprio dell’eccezione di prescrizione e risultano quindi inammissibili, sia perché carenti sul piano del rispetto dell’art. 366 c.p.c. , sia perché investono profili che non sono alla base della ratio della decisione impugnata, fondata su profili in rito e non di merito.
Il secondo motivo di ricorso è, invece, inammissibile.
Vi è da osservare, in primo luogo, che la ricorrente ha errato nella scelta del mezzo di impugnazione, dal momento che il vizio che la stessa avrebbe dovuto dedurre sarebbe stato, in ipotesi, quello di cui all’ art. 112 c.p.c., e quindi la nullità della decisione per omessa statuizione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24553 del 31/10/2013; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018).
Ulteriormente, essendo la ricorrente rimasta soccombente in prime cure, sarebbe stato suo onere, nel giudizio di appello, non limitarsi a
‘riproporre’ (pag. 19 del ricorso) le proprie contestazioni, bensì formulare uno specifico motivo di gravame (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 25876 del 27/09/2024; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 9265 del 06/04/ 2021; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9889 del 13/05/2016) avverso la decisione di prime cure, che aveva applicato la compensazione impropria -in disparte in questa sede ogni considerazione sulla pertinenza delle deduzioni svolte in questa sede dalla ricorrente medesima con riferimento all’art. 1241 c.c. – laddove di un simile motivo di gravame non è menzione né nella decisione impugnata -che si limita a far cenno alle ‘eccezioni di merito opposte, nel corso del giudizio di primo grado’ – né nello stesso ricorso, il quale, anzi, anche sotto tale profilo, risulta carente sul piano della specificità di cui all’art. 366 c.p.c., in quanto si limita a richiamare le deduzioni svolte nel giudizio di primo grado, ma non quelle svolte in sede di gravame.
Il terzo motivo è, parimenti, inammissibile.
Quanto alla censura riferita all’ art. 360, n. 5, c.p.c., si deve osservare che, essendo stato instaurato il giudizio di appello nel 2013, trova applicazione il disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c., dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/ 2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
Quanto alla censura riferita all’art. 360, n. 3, c.p.c., invece, si deve constatare che il motivo si traduce in una mera critica della valutazione delle prove riservata al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, ponendosi il motivo in conflitto con il principio enunciato da
questa Corte, per cui, nel procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 13918 del 03/05/2022; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/ 08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004).
Va ribadito, infatti, il principio per cui il giudice non è tenuto a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14972 del 28/06/2006; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16034 del 14/11/2002).
La ricorrente, invero, non deduce una effettiva violazione dell’art. 116 c.p.c. – deduzione che è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato, in assenza di diversa indicazione normativa, secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo pru-
dente apprezzamento -ma viene a sostenere, con una serie di considerazioni che intendono sottoporre a questa Corte una componente massiccia di materiale probatorio acquisito nei gradi di merito, che il giudice di merito avrebbe male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova.
Orbene, tale censura la censura sarebbe in teoria ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U – Sentenza n. 20867 del 30/09/2020) ma nel caso in esame risulta, come visto in precedenza, preclusa dal disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c.
Non si può non rilevare ulteriormente che molte delle eterogenee doglianze concentrate nel motivo risultano poi ulteriormente viziate dal mancato rispetto del canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c.: così è per le censure mosse (paragrafo C, pag. 27) all’interpretazione dell’atto di citazione del diverso giudizio instaurato nel 1996 , solo localizzato ma non riprodotto nel benché minimo passaggio fondamentale (ed in ordine alla cui interpretazione, del resto, si invocano non meglio specifiche ‘complessità’ e ‘ratio’ dell’atto nel suo complesso) ; così è per il disconoscimento ex art. 2712 c.c. delle copie fotostatiche prodotte come documenti dall’odierna controricorrente (pag. 31), che la ricorrente asserisce essere stato oggetto di un motivo di gravame ma del quale non è traccia nella decisione impugnata e di cui non viene riprodotto il contenuto anche nel suo minimo contenuto indispensabile.
Quanto alle deduzioni concernenti l’acquisizione di documenti da parte del CTU (paragrafo E, pag. 29 segg.), vale -a tacer d’ogni altra considerazione -il principio enunciato da questa Corte (Cass. Sez. U Sentenza n. 3086 del 01/02/2022) a mente del quale l’accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della
domanda o delle eccezioni – e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio – o l’acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso.
Ebbene, parte ricorrente, anche in questo caso omettendo di prestare adeguato ossequio all’art. 366 c.p.c., trascura persino di specificare se tale profilo sia stato tempestivamente eccepito in sede di giudizio di prime cure -nel corso del quale aveva avuto luogo la consulenza -così come tralascia di specificare se lo stesso fosse stato oggetto di un puntuale motivo di gravame in appello.
Inammissibile, infine, è il quarto motivo di gravame.
L’inammissibilità, in questo caso, discende dal radicale difetto di interesse a proporre impugnativa in relazione alla mancata declaratoria di inammissibilità di un gravame quello dell’odierna controricorrente – che è stato comunque respinto nel merito dalla decisione impugnata senza che la controricorrente medesima abbia proposto in questa sede ricorso incidentale.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in con-
creto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di c assazione, che liquida in € 15.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima