Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3284 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3284 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 4623/2023 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), con sede in Palermo, alla INDIRIZZO in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore dott. NOME COGNOME nonché quest’ultimo in proprio e C RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME , tutti rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avvocato NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domiciliano in Palermo, alla INDIRIZZO
-ricorrenti contro
RAGIONE_SOCIALE (quale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, a sua volta mandataria di RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima cessionaria dei crediti di Banca Nazionale del Lavoro s.p.a.), con sede in Milano, alla INDIRIZZO, in persona della procuratrice speciale Avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale
allegata al controricorso, dall’Avvocato NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Salerno, alla INDIRIZZO
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE
–
intimata – avverso la sentenza, n. cron. 235/2023, della CORTE DI APPELLO DI PALERMO, pubblicata in data 06/02/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
07/01/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME la prima quale debitrice principale, gli altri in qualità di suoi fideiussori -proposero tempestiva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 2900/2012, emesso dal Tribunale di Palermo, con il quale era stato loro intima to il pagamento, in favore di Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. (d’ora in avanti anche, breviter , BNL), della complessiva somma di € 822.766,66 (limitando ad € 800.000,00 la richiesta nei confronti dei fideiussori), di cui € 142.261,96, per scoperto, al 31 marzo 2012, del conto corrente n. 42235; € 380.000,00, per scoperto, alla medesima data, del conto speciale n. 282750; € 300.504,70, sempre alla stessa data, per scoperto del conto anticipi fatture n. 283121 (poi conto insoluti n. 1328). In particolare, eccepirono: i ) la mancanza di forma scritta del contratto di conto corrente ordinario e, quindi, l’illegittima applicazione di interessi ultra legali, della commissione di massimo scoperto (c.m.s.), delle spese e dell’anatocismo; ii ) l’illegittimo giroconto sul conto corrente di interessi e spese risalenti ad altri contratti di conti anticipi, anch’essi privi di forma scritta; iii ) l’erronea applicazione sul conto ordinario di interessi, commissioni e spese maturate sul conto anticipi 283121; iv ) l’applicazione, al conto da ultimo citato, di un tasso debitorio
diverso da quello pattuito, della commissione di massimo scoperto e della illegittima capitalizzazione trimestrale. Chiesero, pertanto, revocarsi il decreto opposto e rigettarsi la pretesa di controparte nei loro confronti o, in via subordinata, condannarli al pagamento della minor somma che sarebbe risultata dovuta all ‘esito dell’istruttoria.
1.1. Costituitasi BNL, che contestò le argomentazioni degli opponenti eccependo, tra l’altro, la prescrizione dell’azione da essi proposta, l’adito Tribunale di Palermo, disposta ed espletata una consulenza tecnica di ufficio, con sentenza pubblicata il 30 agosto 2016, n. 4246, revocò il decreto opposto e condannò RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME al pagamento, in favore di Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., di € 583.545,06, oltre gli interessi legali dalla data della domanda al saldo, ponendo le spese del giudizio per il 50% a carico degli opponenti, compensandone l’ulteriore 50%, e quelle di c.t.u. a carico di entrambe le parti nella misura del 50% per ciascuna.
Pronunciando sui gravami, principale ed incidentale, promossi contro quella decisione, rispettivamente, dai menzionati opponenti e da BNL, l’adita Corte di appello di Palermo, con sentenza del 26 gennaio/6 febbraio 2023, n. 235, pronunciata nel contraddittorio anche con RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE ivi intervenuta, ex art. 111 cod. proc. civ., quale cessionaria del credito vantato da BNL, così dispose: « in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palermo del 28.7.2016 , condanna la RAGIONE_SOCIALE, COGNOME RAGIONE_SOCIALECOGNOME NOME e COGNOME Fabrizio, in solido, al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 150.817,23, oltre interessi legali dalla domanda fino al soddisfo e della somma d i € 453.999,03, oltre interessi convenzionali dall’1.4.2012 fino al soddisfo. Condanna la RAGIONE_SOCIALE, Coppola RAGIONE_SOCIALE NOME e COGNOME Fabrizio, in solido, al pagamento della metà delle spese del presente grado del giudizio, liquidate per l’intero in complessivi € 8.066,00, oltre spese generali, CPA e IVA come per legge, dichiarando compensata la rimanente parte ».
2.1. Per quanto qui di interesse, quella corte: i ) richiamati i principi sanciti da Cass., SU, n. 15895/2019 circa il riparto ed il contenuto degli oneri probatori concernenti la natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse affluite su di un conto corrente, rimarcò che « gli odierni appellanti, a fronte dell’eccezione di prescrizione della banca, nulla hanno allegato (e tantomeno dimostrato) nel corso del giudizio di primo grado in merito all’esistenza di un’apertura di credito in via di mero fatto, fatt o costitutivo del diritto alla ripetizione vantato e la cui deduzione in questo grado (in disparte dalla considerazione all’insufficienza della mera presenza costante di saldi passivi, da sola, a provare l’esistenza di un affidamento il cui ammontare, pera ltro, non è stato nemmeno indicato) deve considerarsi nuova e, quindi, inammissibile »; ii ) ritenne infondata la doglianza degli appellanti principali secondo cui il giudice di primo grado avrebbe dovuto accertare l’illegittima applicazione al c/c n. 42235 della capitalizzazione trimestrale degli interessi per effetto dell’omessa indicazione, nel corrispondente contratto, del tasso effettivo debitorio e creditorio, in violazione, così, delle condizioni previste dall’art. 120 TUB e dalla delibera CICR del 9.2 .2000. Opinò, sul punto, che « il tasso effettivo applicato al contratto di conto corrente rappresenta una voce di costo dell’operazione contrattuale che, ancorché non espressamente indicata, è comunque agevolmente determinabile con un’operazione matematica i cui termini sono indicati nel contratto stesso. La denunciata omissione, quindi, potrà tutt’al più configurare una violazione dei doveri informativi gravanti sulla banca, ma dalla stessa non possono farsi discendere effetti invalidanti del contratto »; iii ) osservò che « L’esclusione della c.m.s. dal calcolo degli interessi debitori applicati ai contratti di conto corrente stipulati, come nel caso di specie, prima del 2010 è stata oggetto di un recente chiarimento da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno statuito che ‘con riferimento ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all’entrata in vigore delle disposizioni di cui al d.l. n. 185 del 2008, art. 2 -bis , inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta come
determinato in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale d’interesse praticato in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata -intesa quale commissione calcolata in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento -rispettivamente con il tasso soglia e con la ‘CMS soglia’, calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi della predetta L. n. 108, art. 2, comma 1, compensandosi, poi, l’importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il ‘margine’ degli interessi eventualmente resi duo, pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati’. Ed invero, ove venga accertata la nullità della c.m.s. – perché indeterminata o perché pattuita in misura superiore alla ‘CMS soglia’ – ed il saldo venga conseguentemente epurato dalle somme addebitate a tale titolo, includere la medesima commissione nel calcolo degli interessi applicati al contratto di conto corrente al fine di verificare l’usurarietà dei tassi debitori sig nificherebbe scomputare due volte una medesima voce di costo del contratto. In conclusione, devono condividersi i risultati della consulenza di primo grado in merito al mancato superamento del tasso soglia »; iv ) disattese la doglianza con cui BNL aveva lamentato che il ricalcolo del saldo del conto corrente n. 42235 era stato effettuato escludendo la somma di € 50.854,03 quali competenze addebitate per altri conti. Richiamò, in proposito, la relazione del c.t.u. nella parte in cui quest’ultimo, rispondendo alle note critiche presentate dalle parti, aveva evidenziato che, « per quanto riguarda il mancato mantenimento delle competenze maturate sui conti anticipi ed addebitate sul conto n. 42235, si ribadisce la circostanza che i contratti presenti tra gli atti di causa non prevedevano alcun riaddebito sul conto n. 42235 delle competenze maturate e, per quanto riguarda le competenze relative a conti non presenti agli atti, si è ritenuto di doverle espungerla atteso proprio la mancanza dei contratti tra i documenti prodotti in corso di causa ». Precisò, inoltre, che « la sentenza
del Tribunale di Palermo va confermata nella parte in cui ha accertato che il saldo al 31.3.2012 del conto corrente n. 42235 è pari ad euro 277.818,25 in favore del correntista »; v ) quanto al conto anticipi n. 283121 (poi conto insoluti n. 1328), osservò che il relativo contratto, « sottoscritto il 14.2.2006, prevedeva l’applicazione di un tasso di interessi debitori pari al 6,50% mentre il tasso soglia per il periodo in questione era pari al 18,870 (tasso medio 12,580) per le aperture di credito in conto co rrente fino ad € 5.000,00, 14,070 (tasso medio 9,380) per quelle oltre € 5.000,00, 10,050 (tasso medio 6,700) per anticipi sconti commerciali e altri finanziamenti alle imprese effettuati dalle banche fino a € 5.000,00 e 8,445 (tasso medio 5,630) oltre € 5 .000,00. Ne consegue che in nessun caso si è verificato il dedotto sconfinamento nel tasso usurario »; vi ) stabilì, anche per il predetto conto anticipi, la piena legittimità dell’avvenuta capitalizzazione trimestrale degli interessi, validamente concordata nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 120 TUB, sicché rideterminò il saldo di quel conto, al 31 marzo 2012 in € 453.999,03 a debito del correntista, in luogo della minor somma di € 432.727,83 accertata dal giudice di primo grado. Puntualizzò, inoltre, che « gli interessi maturati sul conto anticipi in esame sono stati espressamente richiesti nel ricorso monitorio e, peraltro, sono stati espunti dal conto corrente ordinario per essere ricondotti sul conto speciale di provenienza »; vii ) osservò che, pure in relazione al conto speciale n. 282750, gli interessi erano stati espressamente richiesti nel ricorso monitorio ed erano stati correttamente espunti dal conto corrente ordinario per essere ricondotti sul conto anticipi applicando il tasso legale, vista la mancata produzione del contratto; viii ) evidenziò, ancora con riferimento al conto n. 283121, che « lo scoperto di conto di cui la Banca ha chiesto il pagamento costituisce una obbligazione pecuniaria in relazione alla quale trova quindi applicazione l’art. 1224, co mma 1 c.c. ». Pertanto, « tenuto conto che il tasso debitorio previsto nel contratto di conto anticipi su fatture n. 283121 (poi conto insoluti n. 1328) era al pari al 6,50% e che la relativa richiesta era stata proposta (ed accolta) nel procedimento monitorio, sul saldo di detto conto, come sopra calcolato, sono dovuti gli interessi
dall’1.4.2012 sino al soddisfo »; ix ) respinse, infine, l’eccezione con cui i fideiussori, solo con le note di udienza del 12 aprile 2019, avevano lamentato la nullità di alcune clausole contenute nel contratto di fideiussione da loro sottoscritto, alla stregua di quanto previsto dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2.5.2005, ed avevano conseguentemente chiesto applicarsi il termine decadenziale di cui all’art. 1957 cod. civ. Affermò, in proposito, che « Posto, , che i contratti di fideiussione non sarebbero interamente caducati, rimanendo in essere per quanto monchi delle clausole attuative dell’intesa anticoncorrenziale, nel caso in esame non può ravvisarsi un interesse ad agire dei fideiussori qualificato ai sensi dell’art. 100 c.p.c., atteso che la nullità prospettata dalla parte permarrebbe su un piano puramente teorico. Ed infatti, la novità della questione (di nullità) non influisce sul termine per fare valere l’eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c. che avrebbe dovuto essere sollevata c on l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo e, non avendolo fatto, la parte è decaduta dal proporla. Non può invero configurarsi alcuna rimessione in termini per la proposizione dell’eccezione per il fatto che solo con questa sentenza dovrebbe essere dichiarata la nullità della clausola derogativa della disciplina di cui all’art. 1957 c.c.; la sentenza che accerta la nullità è, infatti, una sentenza dichiarativa e non costitutiva e si limita ad accertare una nullità sussistente fin dall’origine, con la c onseguenza che la facoltà della parte di sollevare l’eccezione di decadenza di cui all’art. 1957 c.c. sussisteva già nel momento in cui ha proposto l’opposizione ».
3. Per la cassazione di questa sentenza, hanno promosso ricorso RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE), NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, prospettando nove motivi. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE (cessionaria dei crediti di BNL), e, per essa, la RAGIONE_SOCIALE, qui rappresentata da RAGIONE_SOCIALE La Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. non ha svolto difese in questa sede. Entrambe le parti costituite, infine, hanno depositato memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso, rubricato « Violazione e/o mancata e/o falsa applicazione degli articoli 1283, 1842, 2033 e 2935 c.c., nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2, con conseguente violazione e/o falsa applicazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3, del c.p.c., e/o omesso esame di fatto decisivo in relazione al n. 5 stesso articolo », contesta alla Corte di appello di non avere ritenuto, quanto al conto corrente n. 42235, che la prescrizione eccepita da BNL decorresse dalla chiusura dello stesso. Si assume che nella stessa sentenza impugnata « è precisato che gli odierni ricorrenti hanno dedotto in appello l’esistenza di una apertura di credito in via di mero fatto, ma erroneamente ritenendo, in violazione dell’art. 345 c.p.c., che si tratta di deduzione alias eccezione nuova e quindi inammissibile. La deduzione degli appellanti, (esistenza di una apertura di credito in via di mero fatto), è, in effetti, una mera argomentazione difensiva con relativa prospettazione giuridica e non un’eccezione in senso tecnico, con conseguente esclusione dell’applicabilità dell’art. 345 c.p.c. La Corte ha evidentemente confuso l’eccezione in senso stretto nella contrapposizione di un fatto idoneo ad impedire gli effetti tipici del fatto costitutivo (secondo una configurazione simile all’ exceptio di formazione pretoria) con l’eccezione in senso lato, o mera difesa, nella negazione del diritto azionato (da far valere nei modi più svariati: negando il fatto costitutivo della domanda ovvero l’esistenza della norma o la sua applicabilità al caso concreto, e in genere negando l’esistenza delle condizioni del provvedimento richiesto) ».
1.1. Questa doglianza si rivela in parte inammissibile ed in parte infondata.
1.2. È inammissibile quanto all’invocato vizio motivazionale ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., stante la doppia conforme sul punto, né avendo i ricorrenti assolto, adeguatamente, all’onere di spiegare l’eventuale diversità di motivazione, sul corrispondente capo, delle sentenze di primo e secondo grado.
1.2.1. Infatti, rimarca il Collegio che l’attuale art. 360, comma 4, cod. proc. civ. (introdotto dal d.lgs. n. 149 del 2022 ed applicabile, giusta l’art. 35, comma 5, ai ricorsi, come quello in esame, notificati a decorrere dall’1 gennaio 2023) esclude la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360, comma 1, dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (cd. ‘ doppia conforme ‘). In proposito , va ricordato che questa Corte ha da tempo chiarito, sebbene con riferimento all’oggi abrogato art. 348ter , commi 4 e 5, cod. proc. civ., di tenore assolutamente analogo al vigente art. 360, comma 4, cod. proc. civ., per cui il relativo indirizzo ermeneutico è agevolmente applicabile anche in relazione a quest’ultimo, che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella cd. ‘ doppia conforme ‘ in facto (Cass. n. 7724 del 2002 ha precisato, inoltre, che « Ricorre l’ipotesi di ‘doppia conforme’, ai se nsi dell’art. 348 -ter , commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice »), sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( cfr . Cass. nn. 26255, 19371, 17021 e 5436 del 2024; Cass. nn. 35782, 26934 e 5947 del 2023; Cass. n. 20994 del 2019; Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 26860 del 2014): onere rimasto, invece, inadempiuto stando alle argomentazioni concretamente rinvenibili nella doglianza de qua (risultando, anzi, che le sentenze di primo e secondo grado hanno entrambe accertato la mancanza di prova circa l’esistenza di un affidamento sul conto corrente n. 42235 fatto invocato dagli opponenti/appellanti principali). Né
all’inosservanza dell’onere suddetto può porre rimedio il contenuto di una memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ., esclusivamente destinata ad illustrare le censure già proposte, senza poterne introdurre di nuove ( cfr., ex multis , Cass. n. 17893 del 2020; Cass. n. 24007 del 2017; Cass. n. 26332 del 2016; Cass., SU, n. 11097 del 2006), ed alla quale, pertanto, certamente non potrebbe attribuirsi pure la funzione di eliminare cause di inammissibilità dei formulati motivi di impugnazione ( cfr . Cass. n. 5426 del 2024).
1.3. La censura è infondata, invece, laddove lamenta la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ.
1.3.1. Invero, costituisce giurisprudenza consolidata, a partire da Cass., SU, n. 24418 del 2010, che l’esistenza, o non, di una apertura di credito spiega incidenza sul decorso della prescrizione delle singole rimesse, comportando che esse, a seconda dei casi, possano qualificarsi meramente ripristinatorie della provvista o solutorie.
1.3.2. Ora, la banca che eccepisca la prescrizione del diritto alla ripetizione delle rimesse non è tenuta a dare prova dell’insussistenza dell’atto giuridico che ne precluda la decorrenza. Come ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte proprio nella materia che qui interessa, l’elemento qualificante dell’eccezione di prescrizione è l’allegazione dell’inerzia del titolare del diritto, che costituisce il « fatto principale » della fattispecie cui la legge ricollega l’effetto estintivo ( cfr . Cass., SU, n. 15895 del 2019). In conseguenza, la banca potrà limitarsi ad allegare quella inerzia, deducendo che il correntista abbia mancato di pretendere in restituzione alcunché per l’intero arco del termine prescrizionale. È colui che agisce in ripetizione (come concretamente accaduto nella vicenda oggi all’attenzione del Collegio) a dover provare l’apertura di credito che gli è stata concessa, poiché questa evenienza integra un fatto idoneo ad incidere sulla decorrenza dell’eccepita prescrizione: un fatto che costituisce materia di una controeccezione da opporsi alla banca convenuta in ripetizione ( cfr . Cass. n. 31927 del 2019 e Cass. n. 3310 del 2024. In senso sostanzialmente conforme, vedasi anche Cass. n. 26897 del 2024). Come è evidente, difatti, la rimessa del correntista, che avrebbe
natura solutoria in assenza di una apertura di credito, potrà assumere, in presenza di quest’ultima, natura ripristinatoria: ciò accadrà, precisamente, nei casi in cui tale rimessa ripiani l’esposizione maturata nel limite dell’affidamento, operando, quindi, su di un conto « passivo », e non « scoperto ». Il contratto di apertura di credito, pertanto, si mostra idoneo ad escludere che la prescrizione del diritto alla ripetizione della somma oggetto della rimessa decorra dal momento dell’attuato versamento: in base alla regola generale posta dall’art. 2697 cod. civ., dunque, sarà il correntista che intenda contrastare l’eccezione di prescrizione (avendo proprio riguardo al contestato suo decorso) ad essere onerato di provare l’esistenza del detto contratto ( cfr . Cass. n. 31927 del 2019 e Cass. n. 3310 del 2024).
1.3.3. La prova dell’apertura di credito che sia stata tempestivamente acquisita al processo, tuttavia, è utilizzabile dal giudice, ai fini dell’accertamento della prescrizione, ove pure sia mancata una precisa allegazione, da parte del correntista, circa l’intervenuta conclusione del contratto in questione ( cfr . Cass. n. 31927 del 2019 e Cass. n. 3310 del 2024). È da considerare, peraltro, che: i ) la deduzione vertente sull’impedimento al decorso della prescrizione determinato dal perfezionamento del contratto di apertura di credito va qualificata come eccezione in senso lato; ii ) il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis ( cfr . Cass., SU, n. 10531 del 2013; Cass. n. 27998 del 2018); iii ) le eccezioni in senso lato condividono con le eccezioni in senso stretto la necessità che i fatti modificativi, impeditivi o estintivi su cui si fondano risultino legittimamente acquisiti a processo e provati ( cfr . Cass. n. 20317 del 2019; Cass. n. 27405 del 2018). Il che vale ad escludere che il giudice possa conferire rilievo all’eccezione dell’intervenuta conclusione del contratto di apertura di credito (incidente, come si è visto, sulla decorrenza della prescrizione) basandosi su elementi fattuali e documentali che non siano stati acquisiti nei termini di cui all’art. 183 cod. proc. civ.
1.3.4. Tanto premesso, nella controversia in esame, la Corte di appello ha respinto il primo motivo di gravame affermando « gli odierni appellanti, a fronte dell’eccezione di prescrizione della banca, nulla hanno allegato (e tantomeno dimostrato) nel corso del giudizio di primo grado in merito all’esistenza di un’apertura di credito in via di mero fatto, fatto costitutivo del diritto alla ripetizione vantato e la cui deduzione in questo grado (in disparte dalla considerazione all’insufficienza della mera pre senza costante di saldi passivi, da sola, a provare l’esistenza di un affidamento il cui ammontare, peraltro, non è stato nemmeno indicato) deve considerarsi nuova e, quindi, inammissibile ». I ricorrenti, invece, insistono nel proprio assunto secondo cui il conto corrente n. 42235 era affidato e che « nella stessa sentenza impugnata è precisato che gli odierni ricorrenti hanno dedotto in appello l’esistenza di un’apertura di credito in via di mero fatto, ma erroneamente ritenendo, in violazione dell’art. 345 c.p.c., che si tratta di deduzione alias eccezione nuova e, quindi, inammissibile ».
1.3.4. Orbene, pur non disconoscendosi che si era al cospetto, nella specie, di una eccezione in senso lato, -quella cioè di interruzione della prescrizione, rilevabile, quindi, anche di ufficio -è innegabile, stando a quanto riferito dalla corte distrettuale circa la mancata allegazione, in primo grado, di qualsivoglia elemento fondante la pretesa configurabilità di un fido di fatto, che l’avvenuta introduzione/prospettazione, solo in appello, dei fatti su cui fondare il rilievo di ufficio di quella eccezione sia da considerarsi tardivo. In altri termini, i fatti modificativi, impeditivi o estintivi su cui si fonda quella eccezione non risultano tempestivamente acquisiti (nei termini, cioè, di cui all’art. 183 cod. proc. civ.) – ancor prima che dimostrati – al processo, sicché il giudice non avrebbe potuto tenerne conto al fine del rilievo ufficioso dell’eccezione in questione.
1.4. La corte territoriale, peraltro, ha negato, con una valutazione fattuale, qui non ulteriormente sindacabile, che la mera presenza costante di saldi passivi, da sola, fosse sufficiente a provare l’esistenza di un affidamento il cui ammontare, peraltro, nemmeno era stato indicato. Pertanto, l’insistere,
oggi, da parte dei ricorrenti, sul rilievo che la documentazione da loro prodotta fosse idonea a far ritenere dimostrato l’affidamento in questione, sostanzialmente equivale ad una inammissibile richiesta di rivisitazione del merito, dimenticando che il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 19423, 25495, 26871, 27328 e 35012 del 2024).
Il secondo motivo di ricorso, recante « Violazione o falsa applicazione dell’articolo 120 t.u.b., dell’articolo 1283 c.c. e della Delibera CICR 9 febbraio 2000, articolo 6 », contesta alla corte distrettuale di non avere ritenuto nulla l’applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi al conto n. 42235 del 30 gennaio 2001 ed al conto n. 283121 del 14 febbraio 2006. Nullità, su cui si insiste anche in questa s ede, conseguente all’omessa indicazione nei corrispondenti contratti del tasso effettivo debitorio e creditorio, in asserita violazione delle condizioni previste dall’art. 120 T.U.B. e dalla Delibera CICR del 9 febbraio 2000 a pena di invalidità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi.
2.1. Questa censura si rivela inammissibile.
2.2. Essa, invero, per come concretamente argomentata, mostra di non tenere nel minimo conto l ‘ affermazione della corte distrettuale secondo cui « il tasso effettivo applicato al contratto di conto corrente rappresenta una voce di costo dell’operazione contrattuale che, ancorché non espressamente indicata, è comunque agevolmente determinabile con un’operazione matematica i cui termini sono indicati nel contratto stesso » ( cfr . pag. 8 della sentenza impugnata). Assunto, questo, rimasto privo di qualsivoglia adeguata censura in questa sede, rivelandosi, pertanto, la doglianza suddetta
carente del requisito di specificità, atteso che, come del tutto condivisibilmente chiarito da Cass. n. 21563 del 2022 ( cfr . pag. 8 e ss. della motivazione), da Cass. n. 35782 del 2023 ( cfr . pag. 41 e ss. della motivazione), da Cass. n. 25495 del 2024 ( cfr . pag. 7-8 della motivazione), da Cass. n. 26871 del 2024 ( cfr . pag. 11-12 della motivazione) e da Cass. n. 35012 del 2024 (cfr. pag. 9-10 della motivazione), « l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, non solo “di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione” , ma anche “di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01), confrontandosi sempre con l’effettivo “decisum” che sorregge la sentenza impugnata. Difatti, il motivo di impugnazione “è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo”, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione, “tale nullità, ri solvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.” (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359,
Rv. 579564- 01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01) ».
2.3. Alla stregua di tale principio, quindi, che il Collegio condivide ed intende ribadire, ne consegue che, a fronte dello specifico fatto, affermato in sentenza, che il tasso effettivo applicato al contratto di conto corrente in questione era « comunque agevolmente determinabile con un’operazione matematica i cui termini sono indicati nel contratto stesso », sarebbe stato necessario -ma ciò non è avvenuto, con conseguente, e perciò solo, sua inammissibilità -che la censura avesse contestato questo profilo.
Complessivamente inammissibile si rivela pure il terzo motivo di ricorso, rubricato « Violazione e falsa applicazione degli articoli 1418, 1936 c.c. e segg., degli articoli 2043 c.c. e 100 c.p.c., della L. n. 287 del 1990, articoli 2, 13 e 15, nonché omesso esame di un fatto decisivo per la controversia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 », volto a criticare le argomentazioni con cui la corte territoriale ha disatteso l’eccezione, sollevata da NOME COGNOME d’RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME nelle note di udienza del 12 aprile 2019, in cui essi avevano lamenta la nullità di alcune clausole contenute nel contratto di fideiussione da loro sottoscritto, alla stregua di quanto previsto dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2.5.2005, ed avevano conseguentemente chiesto applicarsi il termine decadenziale di cui all’art. 1957 cod. civ.
3.1. Invero, posto che la contestazione della controricorrente secondo cui, nella specie, si sarebbe al cospetto di un contratto autonomo di garanzia, e non di una fideiussione, si rivela del tutto inammissibile, perché formulata per la prima volta in questa sede ( cfr ., tra le più recenti, Cass. nn. 2607, 5038 e 6127 del 2024 , nelle cui motivazioni si legge, tra l’altro, che « I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni
nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio »), la doglianza in esame è inammissibile, innanzitutto, per carenza di autosufficienza, non specificando se quella prestata dai menzionati ricorrenti (peraltro risalente al 2006, e quindi successiva al periodo temporale di cui all’indagine cui si riferisce il provv edimento della B anca d’ Italia n. 55 del 2005) fosse una fideiussione omnibus o specifica. In proposito, è doveroso ricordare che, come recentemente chiarito da Cass. n. 21841 del 2024, « La natura anticoncorrenziale pronunciata dalla Banca d’Italia, di clausole del modello ABI del contratto di fideiussione “omnibus” , per contrasto con gli artt. 2, comma 2, lett. a), della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, determina l’invalidità e la possibile espunzione delle corrispondenti clausole inerenti a quel solo modello di contratto, in quanto la natura anticoncorrenziale di quelle sanzionate è stata valutata rispetto ai possibili effetti derivanti dalla loro estensione ad una serie indefinita e futura di rapporti, tale da addossare sul fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca; tale giudizio sfavorevole e la conseguente invalidità non si estendono perciò anche alle fideiussioni ordinarie, oggetto di specifica pattuizione tra banca e cliente ».
3.1.1. Solo nella loro memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. i ricorrenti hanno specificato che quella da loro prestata era una fideiussione omnibus : tanto, però, non consente di superare il predetto rilievo di inammissibilità, atteso che, come si è già riferito, alla memoria suddetta può attribuirsi la funzione di eliminare cause di inammissibilità dei formulati motivi di impugnazione ( cfr . la giurisprudenza di legittimità richiamata alla fine del precedente § 1.2.1.).
3.2. A tanto deve aggiungersi che l’assunto della Corte di appello circa la carenza di interesse degli odierni ricorrenti ad avvalersi della invocata nullità per le ragioni da essa spiegate ( cfr . pag. 15-16 della sentenza impugnata) è pienamente condivisibile. Invero, come sancito da Cass. n. 8023 del 2024, « L’eccezione di estinzione della garanzia fideiussoria ha natura di eccezione propria e non di mera difesa; ne consegue che la pretesa estinzione, per
decorso del termine semestrale di decadenza previsto dall’art. 1957 c.c., deve essere tempestivamente sollevata nel giudizio di primo grado, incidendo sul merito della titolarità dell’obbligazione dal lato passivo e non sulla legittimazione passiva ». Di tanto, tuttavia, non vi è la minima evidenza in atti, né lo riferiscono il ricorso e la memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
4. Il quarto motivo di ricorso, recante « Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1224 comma 1 c.c., violazione dell’art. 47 del T.U.B., con conseguente mancata applicazione commi 6 e 7 dell’art. 125 -bis t.u.b., illogicità e contraddittorietà della motivazione, carenza nell’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, vizio della motivazione della sentenza con conseguente errata ricostruzione del fatto, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 », censura la sentenza impugnata nella parte in cui, nell’accogliere l’appello incidentale di BNL, ha rideterminato gli interessi dovuti sul conto anticipi n. 283121 in misura superiore a quella legale.
4.1. Questa doglianza risulta complessivamente inammissibile perché prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali, errores in procedendo ed errores in iudicando ), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per Cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure ( cfr., e plurimis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 33778, 26383 e 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878, 27505 e 4528 del 2023; Cass. nn. 35832 e 6866 del 2022). In altri termini, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere
in discussione ( cfr. Cass. nn. 26383 e 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878 e 27505 del 2023; Cass. nn. 11222 e 2954 del 2018). È sicuramente vero, peraltro, che, « In tema di ricorso per cassazione, l’inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati » ( cfr ., in termini, Cass. n. 39169 del 2021. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche Cass., SU, n. 9100 del 2015; Cass. n. 7009 del 2017; Cass. n. 26790 del 2018). Tanto, però, non si rinviene nel motivo di ricorso in esame, il quale, per come concretamente argomentato, non consentono di individuare, con chiarezza, le doglianze riconducibili agli invocati vizi, rispettivamente, motivazionali e di violazione di legge, in modo tale da consentirne un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare quella teoricamente proponibili, al fine di ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse.
5. Il quinto motivo di ricorso, rubricato « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., illogicità e contraddittorietà della motivazione, carenza nell’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, vizio della motivazione della sentenza con conseguente errata ricostruzione del fatto, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 », ascrive alla corte territoriale di non avere in alcun modo motivato in ordine alle precise contestazioni alla c.t.u. lamentate dagli odierni ricorrenti, che avevano prospettato gravi lacune di accertamento ed errori di valutazione, ripetutamente invocan do il richiamo del c.t.u. o l’ammissione di una nuova consulenza.
5.1. Questa doglianza si rivela complessivamente inammissibile per una duplice ragione.
5.2. Innanzitutto, ed in via affatto dirimente, perché anch’essa (così come il precedente motivo) prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali, errores in procedendo ed errores in iudicando ), sicché vanno qui richiamate le medesime argomentazioni (e la giurisprudenza di legittimità ivi indicata) già fondanti l’analoga declaratoria di inammissibilità del quarto motivo.
5.3. La stessa, inoltre, in evidente violazione del principio di autosufficienza del ricorso, nemmeno chiarisce se i rilievi alla c.t.u. erano stati formulati prima del deposito della relazione definitiva da parte del consulente, in tal caso dovendosi ritenere già confutati dal c.t.u. ( cfr . Cass. n. 33742 del 2022 e Cass. n. 9483 del 2021, a tenore delle quali il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione).
Il sesto motivo di ricorso, recante « Violazione dell’art. 115 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5 c.p.c. », contesta alla Corte di appello di non ha avere tenuto minimamente conto, nella motivazione come nel dispositivo della sentenza oggi impugnata, dell’acconto di €. 300.000,00 corrisposto dai fideiussori NOME COGNOME d’aste NOME e NOME COGNOME.
6.1. Questa censura è fondata.
6.2. Invero, il già avvenuto versamento, da parte degli odierni ricorrenti, alla società RAGIONE_SOCIALE (e, per essa, alla mandataria RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito vantato originariamente, nei confronti dei primi, dalla BNL, del l’importo di € 301.117,80 , è assolutamente incontroverso, essendo stato specificamente confermato anche dalla costituitasi controricorrente ( cfr . pag. 15 del controricorso, ove si legge, tra l’altro, che
« La Corte d’Appello di Palermo, con ordinanza resa in data 14 luglio 2017, in parziale accoglimento dell’istanza di sospensione spiegata dagli appellanti, ha sospeso, l’efficacia esecutiva della sentenza n. 4246/2016 resa dal Tribunale di Palermo, in compos izione monocratica, limitatamente all’importo eccedente €.300.000,00. La scrivente difesa nelle more azionava il credito non contestato mediante notifica di atto di precetto per euro 301.117,80. Il detto precetto, a seguito di rituale notifica, veniva adempiuto mediante pagamento spontaneo per evitare il pignoramento immobiliare sulle unità immobiliari di cui alla garanzia ipotecaria »). Di tanto, però, la corte distrettuale -nel pronunciare la condanna della RAGIONE_SOCIALE, di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME in solido, al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, di € 150.817,23, oltre interessi legali dalla domanda fino al soddisfo, e di € 453.999,03, oltre interessi convenzionali dall’1.4.2012 fino al soddisfo -non ha minimamente tenuto conto , né avendo spiegato se tali importi costituissero il residuo dovuto proprio per effetto del precedente, descritto pagamento.
Il settimo e l’ottavo motivo di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
VII) « Violazione dell’art. 1193, comma secondo, c.c., in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, c.p.c. », per avere la corte distrettuale imputato le somme a credito del correntista sul conto anticipi 282750, meno oneroso per il debitore, e non sul conto anticipi 283121, più oneroso per il debitore (in questi sensi dovendosi intendere corretto il mero errore materiale rinvenibile nella originaria formulazione del motivo. Cfr . pag. 19 della memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. dei ricorrenti);
VIII) « Violazione dell’art. 1282 c.c. in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, c.p.c. », contesta alla corte territoriale di aver determinato la decorrenza degli interessi legali sulla somma di € 150.817,23, riconosciut i alla RAGIONE_SOCIALE dalla domanda fino al soddisfo. Secondo i ricorrenti, invece, tali interessi sarebbero stati dovuti solo dal momento in cui la somma predetta, oggetto dell’obbligazione pecuniaria, era divenuta liquida, cioè
determinata nel suo ammontare, ed esigibile, cioè senza termini o condizioni, vale a dire, nella specie, dalla data di deposito della sentenza oggi impugnata (6.2.2023).
7.1. Ad avviso del Collegio, queste doglianze possono considerarsi entrambe assorbite dall’avvenuto accoglimento del sesto motivo, che, come è intuitivo, imporrà al giudice di rinvio di procedere comunque ad un ricalcolo delle residue somme dovute alla banca dagli odierni ricorrenti. In quella sede, dunque, potrà stabilirsi, se del caso, come imputare tali somme, altresì ricordandosi che, vertendosi, nella specie, in fattispecie di inadempimento di una obbligazione contrattuale, gli interessi dovuti decorrono dalla costituzione in mora e, quindi, in assenza di diversa dimostrazione di data anteriore, dalla domanda giudiziale.
Deve considerarsi assorbito, infine, anche il nono motivo di ricorso, volto ad ottenere una nuova regolamentazione delle spese processuali di tutti i gradi, atteso che l’avvenuto accoglimento , nei limiti di cui si è detto, dell’odierna impugnazione imporrà al giudice di rinvio una nuova statuizione sulle spese di lite.
In conclusione, dunque, l’odierno ricorso di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE), NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME deve essere accolto limitatamente al suo sesto motivo, dichiarandosene assorbiti il settimo , l’ottavo ed il nono , rigettandosene il primo e dichiarandosene inammissibili gli altri. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE), NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME limitatamente al suo sesto motivo, dichiarandone assorbiti il
settimo, l’ottavo ed il nono, rigettandone il primo e dichiarandone inammissibili gli altri.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile