Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1355 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1355 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA
Oggetto
Eccezione di prescrizione Oneri di allegazione e prova a carico della parte eccipiente
R.G.N. 19674/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 11/10/2023
CC
sul ricorso 19674-2019 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE E CONSULENZE LEGALI, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO TORRE INDIRIZZO, presso lo studio
dell’avvocato NOME COGNOME rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 135/2019 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 18/04/2019 R.G.N. 441/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/10/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Messina, respingendo l’appello proposto da NOME COGNOME contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 721/2016, confermava detta sentenza, che aveva rigettato la domanda dell’Alf onso, volta ad ottenere, nei confronti delle convenute, NOME e NOME NOME, il riconoscimento delle differenze retributive nel corso del quarantennale rapporto lavorativo di natura dipendente svolto, quale fattore di campagna, in favore di COGNOME NOME e, alla morte di quest’ultima, in favore delle figlie NOME e NOME NOME, differenze che quantificava in € 80.000,00, oltre accessori.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale respingeva il primo motivo d’appello, con il quale l’Alfonso si doleva del modo in cui il giudice di primo grado aveva regolamentato l’onere probatorio in relazione all’eccezione di
prescrizione, ritenendo che fosse onere delle COGNOME, che l’avevano sollevata, di indicare la data di inizio del periodo prescrizionale. La Corte, infatti, anzitutto segnalava che le convenute in primo grado, negando l’esistenza di un rapporto lavorativo continuativo di natura subordinata, stante anche le esigue esigenze del fondo, avevano, tuttavia, ammesso che l’Alfonso avesse lavorato, quale OTD, negli anni dal 1955 al 1995, svolgendo periodi stagionali di attività legate alle esigenze del fondo, mentre, per gli anni successivi, egli aveva prestato la sua attività solo occasionalmente, su chiamata, rendendo modesti servizi e ricevendo il relativo compenso. In punto di fatto, pertanto, le convenute avevano ancorato alla data del 1995 l’epoca di decorrenza del periodo prescrizionale, coincidendo tale data con quella di cessazione del rapporto lavorativo a tempo determinato quale operaio agricolo stagionale. Osserv ava la Corte d’appello che, in ogni caso, il giudice di primo grado, con motivazione congrua rispetto alle risultanze della prova testimoniale, aveva ritenuto che nessun teste avesse temporalmente riferito la prestazione di attività lavorativa in epoca compresa nel quinquennio anteriore alla data in cui, per la prima volta, l’Alfonso aveva avanzato domanda di corresponsione delle differenze retributive; il che, secondo la Corte, corrispondeva al vero in base alla sua riconsiderazione di quelle deposizioni testimoniali. Concludeva che, non essendo emersa prova sufficiente del fatto che il rapporto era cessato in epoca successiva al 28 dicembre 2002, ne conseguiva che al momento in cui per la prima volta l’Alfonso aveva avanzato domanda di pagamento di differenze retributive, in data 29
dicembre 2007, il relativo diritto era ormai irrimediabilmente prescritto per intervenuta prescrizione quinquennale.
Avverso tale decisione, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resistono le germane COGNOME con unico controricorso.
Le parti contrapposte hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. (art. 360 n. 4 cpc) nonché 2934 e 2935 cod. civ. (art. 360 n. 3 cpc)’. Secondo lo stesso, nel rispetto dell’art. 2697, comma 2, c.p.c. le COGNOME -avendo eccepito che il diritto dell’attore si era estinto per prescrizione -erano tenute a ‘provare i fatti su cui l’eccezione si fonda’, e avrebbero, dunque, dovuto dimostrare che il rapporto di lavoro era cessato prima del quinquennio computato a ritroso da quando (con la raccomandata 29 dicembre 2007) l’Alfonso aveva rivendicato il suo diritto alle differenze retributive con la conseguenza che, essendo mancata questa prova, l’eccezione non poteva che essere rigettata. Per il ricorrente, era evidente l’equivoco in cui è incorsa la Corte di Messina, la quale, sovvertendo il principio enunciato dall’art. 2697, comma secondo, c.c., aveva ritenuto che la mancanza di prova valesse a penalizzare l’attore mandando, invece, le COGNOME assolte dall’onere di dim ostrare il fatto su cui l’eccezione si fonda.
Con un secondo motivo deduce ‘omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti (art. 360
5. Cpc)’, e, cioè, la circostanza, dedotta dalle convenute, della cessazione del rapporto originario -per immutazione -a partire dal 1995; circostanza che, secondo il ricorrente, era controversa fra le parti, e decisiva, essendo -da sola -idonea ad incidere sull’esito del processo, ma non esaminata dalla Corte d’appello.
Con un terzo motivo denuncia la ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 4 cpc)’. Premette che, con il ricorso introduttivo del giudizio, il ricorrente, fra l’altro, dedusse che: ‘Al ricorrente non sono stati versati, nemmeno , i contributi previdenziali e assistenziali. L’attore, dunque, chiede che le contendenti vengano condannate al risarcimento del danno da liquidar e in separata sede’, che della proposizione di questa domanda dava atto il Tribunale e che la stessa era stata ribadita nell’atto di appello. Deduce, allora, che, affrontando questo tema, la Corte territoriale scrive: ‘Infine va segnalato che con l’odierno atto di appello NOME Giuseppe chiede anche la condanna delle appellate al risarcimento del danno da liquidarsi in sede separata, a causa del mancato versamento dei contributi previdenziali ma si tratta, con ogni evidenza, di domanda nuova, e come tale inammissibile, poiché proposta soltanto con l’atto di impugnazione’. E, secondo il ricorrente, era chiaro che si versava in un errore di percezione, essendo la Corte d’appello incorsa in un’evidente svista.
4. Il primo motivo è infondato.
4.1. Nota in primo luogo il Collegio che erroneamente il ricorrente, nello sviluppo di tale censura, assume che: ‘Essendo denunciato un error in procedendo , questa On.le
Corte -secondo il suo costante insegnamento -può accedere all’esame diretto degli atti al fine di verificare la rispondenza di quanto fin qui riferito’ (il ricorrente qui allude al proprio precedente resoconto di quanto argomentato dalle parti e dai giudici di merito del doppio grado di giudizio: cfr. pagg. 6-10 del ricorso per cassazione).
Invero, al di là del cenno in rubrica all’art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c. (peraltro, senza denunciare la nullità della sentenza o del procedimento), riferito specificamente alla violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., il ricorrente neanche deduce anomalie motivazionali, e denuncia esclusivamente la violazione e/o la falsa applicazione di norme di diritto sostanziale, il che vale anche per il disposto di cui all’art. 2697 c.c. (cfr., per tutte, Cass., sez. un., 14.1.2009, n. 564, la quale s pecifica che la violazione dell’art. 2697 c.c. sull’onere della prova, che pone una regola di diritto sostanziale, dà luogo ad un error in iudicando )
4.2. Tanto rilevato, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di oneri di allegazione a carico della parte eccipiente la prescrizione, l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, ossia l’inerzia del titolare manifestando la volontà di volerne pr ofittare, senza che rilevi l’erronea individuazione del termine applicabile, ovvero del momento iniziale. Neppure è necessaria la tipizzazione secondo una delle varie ipotesi previste dalla legge non richiedendosi all’eccipiente anche di specificare a qual e tra le prescrizioni, diverse per durata, intenda riferirsi, spettando al giudice stabilire se, in relazione alla domanda che può conoscere nel merito e al diritto applicabile nel caso concreto, la prescrizione
sia maturata. Resta fermo, tuttavia che l’eccezione di prescrizione deve sempre fondarsi su fatti allegati dalla parte ed il debitore che la solleva ha l’onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del termine, ai sensi dell’art. 2935 c.c., restando escluso che il giudice possa accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso (così Cass., sez. lav., 10.3.2020, n. 6760; e in termini analoghi id., sez. III, 5.3.2020, n. 6180).
4.3. Ebbene, stando a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, le convenute, nell’eccepire la prescrizione, senz’altro avevano assolto l’onere di allegare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determinava l’inizio della decorrenza del termine, ai sensi del l’art. 2935 c.c., perché nella specie, giusta l’art. 2948 n. 4), c.c., trattandosi di plurimi rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato nel primo lungo periodo dal 1955 al 1995, secondo la prospettazione delle eccipienti, e non assistiti da tutela reale, si doveva far capo alla cessazione del rapporto lavorativo, ed esse convenute avevano coerentemente indicato nell’anno 1995 l’epoca di decorrenza del periodo prescrizionale, perché tale data ( rectius , anno) coincideva ‘ con quella di cessazione del rapporto lavorativo a tempo determinato quale operaio agricolo stagionale ‘ (cfr. pag. 3 della sua sentenza).
Le stesse convenute, sempre secondo la Corte, ‘per gli anni successivi’ al 1995, deducevano che l’attore aveva prestato la sua attività solo occasionalmente, su chiamata, rendendo servizi e ricevendo il relativo compenso’.
4.4. La Corte, inoltre, non ha ritenuto l’allegazione delle convenute in punto di prescrizione a far tempo dal 1995 non provata.
Ha, piuttosto, scritto: ‘In ogni caso , il giudice di primo grado, con motivazione congrua rispetto alle risultanze della prova testimoniale, ha ritenuto che nessun teste avesse temporalmente riferito la prestazione di attività lavorativa in epoca compresa nel quinquennio anteriore alla data in cui, per la prima volta, l’Alfonso aveva avanzato domanda di corresponsione delle differenze retributive’. E, dopo aver riconsiderato le deposizioni testimoniali, ha concluso che, ‘non essendo emersa prova sufficiente del fatto che il rapporto sia cessato in epoca successiva al 28 dicembre 2002, ne consegue che al momento in cui per la prima volta l’Alfonso ha avanzato domanda di pagamento di differenze retributive, in data 29 dicembre 2007, il relativo diritto era ormai irrimediabilmente prescritto per intervenuta prescrizione quinquennale’, vale a dire, la prescrizione applicabile ai rapporti di lavoro subordinato.
In questa parte di motivazione, quindi, la stessa Corte non ha fatto leva su un fatto in astratto diverso da quello allegato dalle eccipienti, ossia, la cessazione del rapporto di lavoro, bensì ha reputato quel fatto non sufficientemente provato in relazio ne ad ‘epoca successiva al 28 dicembre 2002’.
4.5. Infine, la Corte ha ritenuto ‘che correttamente, il giudice di primo grado ha ritenuto superfluo l’accertamento in ordine alla qualificazione del rapporto lavorativo poiché l’eventuale accertamento in ordine all’esistenza di un
rapporto di natura subordinata e per le mansioni indicate non avrebbe potuto condurre all’accoglimento del ricorso, stante l’avvenuta prescrizione del diritto alle retribuzioni’.
Tale ulteriore ragionamento dei giudici di secondo grado -non considerato dal ricorrente – si basa all’evidenza su una prova di resistenza: inutile sarebbe stato accertare la natura subordinata del rapporto, perché, anche se la subordinazione fosse stata provata per il periodo seguente all’anno 1995 , avrebbe operato la prescrizione (quinquennale). A riguardo, invero, la Corte d’appello ha fatto esplicito riferimento al principio della ragione più liquida (cfr. pag. 4 dell’impugnata sentenza).
Il secondo motivo di ricorso, fondato sul mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., è inammissibile.
5.1. Occorre, infatti, ricordare che, per questa Corte, ricorre l’ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (in tal senso, ex multis , Cass. civ., sez. VI, 9.3.2022, n. 7724).
E’ stato, inoltre, specificato che, nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dal quinto comma dell’articolo 348 -ter del c.p.c., il ricorrente per cassazione, per evitare
l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’articolo 360 del c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (così, tra le altre, Cass. civ., sez. II, 14.12.2021, n. 39910; id., sez. III; 3.11.2021, n. 31312; id., sez. III, 9.11.2020, n. 24974).
5.2. Nel caso in esame, però, a fronte di decisioni di primo e di secondo grado tra loro senz’altro conformi, il ricorrente per cassazione neanche allega che le rispettive rationes decidendi di tali pronunce sarebbero almeno in parte differenti.
Per contro, come s’è già visto nell’esaminare il primo motivo di ricorso, la Corte territoriale, proprio prendendo in considerazione il periodo seguente all’anno 1995, secondo le convenute contraddistinto da prestazioni occasionali, ha esplicitamente approvato la motivazione del primo giudice.
6. Parimenti inammissibile è il terzo motivo.
6.1. Erroneamente, infatti, il ricorrente, denunciando la violazione e/o la falsa applicazione solo dell’art. 112 c.p.c., conclude la trattazione di tale censura, sostenendo che da quanto dedotto ‘consegue che non essendosi pronunziata sulla domanda’ in questione, ‘(benché ritualmente proposta )’, la Corte d’appello ‘avrebbe violato l’art. 112 cpc’.
Per vero, la stessa Corte si è esplicitamente pronunciata su tale domanda, come peraltro riconosce il ricorrente (cfr. pag. 16 del ricorso), perché l’ha considerata, ma l’ha
giudicata nuova e quindi inammissibile. Non ricorre, pertanto, la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c.
Il ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% e I.V.A e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del l’ 11.10.2023.
La Presidente
NOME COGNOME