Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3522 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3522 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Roma, in persona del legale rappresentante dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al ricorso da ll’ Avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
Ricorrente
contro
COGNOME rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al controricorso da ll’ Avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
Controricorrente avverso la sentenza n. 834/2023 della Corte di appello di Roma, depositata il 2.2.2023.
Udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME alla camera di consiglio del 9.1.2025.
Fatti di causa e ragioni della decisione
La RAGIONE_SOCIALE propose dinanzi al tribunale di Rieti opposizione al decreto ingiuntivo che le intimava di pagare in favore di NOME COGNOME la somma di euro 13.600,00, a titolo di saldo del corrispettivo dell’esecuzione di lavori edili . L’opponente contestò l’esecuzione di tutti i lavori indicati nelle tre fatture emesse dalla controparte ed eccepì l’integrale pagamento delle opere realizzate.
Costituito RAGIONE_SOCIALE, con sentenza del 2018 il tribunale accolse solo in parte l’opposizione, quantificò i lavori eseguiti nell’importo complessivo, comprensivo di iva, di euro 24.600,00, revocò il decreto ingiuntivo e condannò la società opponente al pagamento, detratti gli acconti versati, della somma di euro 7.600,00, oltre interessi.
Proposto gravame da parte della società opponente, con sentenza n. 834 del 2.2.2023 la Corte di appello di Roma confermò la decisione impugnata.
La Corte romana motivò tale conclusione affermando che non era contestata la esecuzione da parte di RAGIONE_SOCIALE dei lavori edili in favore della società appellante, che ne aveva eccepito il pagamento, sicché doveva ritenersi accertato che tra le parti fosse stato concluso un contratto di appalto; che l’esecuzione dei lavori elencati nel preventivo dell’1.6.2019, per l’importo di euro 15.600,00 (euro 13.000,00 più iva), doveva ritenersi provata, per essere stata confermata dal teste di parte opponente Marsicola NOME, socio della società RAGIONE_SOCIALE; che al Bakaj doveva altresì essere riconosciuto il corrispettivo per i lavori extracontratto, riportati nella fattura n.4 dell’1.9.2019, per l’importo di euro 9.000,00 (euro 7.500,00 più iva), prodotta dalla stessa opponente e da essa sottoscritta, costituendo tale documento prova sia della loro autorizzazione per iscritto, che del compenso per essi pattuito; che la società RAGIONE_SOCIALE che aveva corrisposto acconti per euro 17.000,00, risultava pertanto debitrice nei confronti della controparte della residua somma di euro 7.600,00.
Per la cassazione di questa sentenza, ha proposto ricorso la RAGIONE_SOCIALE affidandosi a due motivi.
NOME COGNOME ha notificato controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3,4 e 5, c.p.c., degli artt. 1321, 1325 e 1326, comma 5, c.c. e nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., censurando la decisione impugnata per avere ritenuto provata la stipulazione tra le parti, in data 1.6.2009, di un contratto scritto e dimostrata la esecuzione dei lavori e la pattuizione del corrispettivo.
Si assume al riguardo che tali accertamenti sono frutto di un totale travisamento delle risultanze istruttorie da parte dei giudici di merito, che hanno desunto la prova del contratto e della sua esecuzione dalle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società opponente, il quale però aveva precisato che soltanto alcuni lavori indicati nel preventivo dell’1.6.2019 e nella fattura n.4 dell’1.9.2019 erano stati eseguiti. La Corte territoriale non ha poi considerato che le sottoscrizioni del preventivo e della fattura erano state disconosciute dalla odierna ricorrente, che non vi era prova della pattuizione de ll’importo dei lavori asseritamente eseguiti e che il consulente tecnico d’ufficio, nominato in primo gra do, aveva stimato il prezzo di quelli effettivamente realizzati nell’importo di euro 3.968,00.
Si deduce, infine, l’erronea applicazione del principio di non contestazione, che non può operare in relazione ai fatti chiaramente e reiteratamente contestati.
Il motivo è in gran parte inammissibile e per il resto infondato.
La principale ragione di inammissibilità risiede nel rilievo che le censure sollevate non si confrontano con le ragioni e gli argomenti esposti dalla Corte di appello a fondamento della decisione.
La sentenza impugnata ha ritenuto dimostrata in giudizio l’avvenuta conclusione del contratto di appalto in applicazione del principio di non contestazione, per avere la parte opponente eccepito l’integrale pagamento del compenso dovuto alla controparte; ha quindi delimitato il tema controverso all’accertamento dei lavori effettivamente realizzati dall’impresa ed alla determinazione del loro ammontare.
Il ragionamento seguito dal giudice di merito v a senz’altro condiviso . L ‘eccezione della parte convenuta di avere corrisposto somme a titolo di pagamento di un determinato credito e quindi a fini solutori è infatti incompatibile con la
R.G. N. 6041/2023.
contestazione dell’esistenza del titolo su cui esso si fonda, comportando il riconoscimento o comunque la mancata contestazione della venuta ad esistenza del credito e della fonte dell’obbligazione. La censura di violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere il giudice di merito ritenuto provata la conclusione di un contratto tra le parti, appare pertanto infondata.
Identica conclusione meritano le altre censure sollevate dalla ricorrente in ordine alla effettiva esecuzione dei lavori da parte dell’impresa ed all’ammontare del compenso per essi pattuito. La Corte di appello ha ritenuto provati i lavori elencati nel preventivo dell’1.6.2009 prodotto in giudizio, per l’importo ivi indicato, richiamando la prova testimoniale resa dal socio della stessa società opponente, che aveva personalmente intrattenuto i rapporti con il Bakaj, che ne aveva confermato la esecuzione, segnalando che tale documento era stato prodotto alla prima udienza del 24.9.2014 dalla stessa parte opponente; ha inoltre ritenuto provat a l’esecuzione dei lavori aggiuntivi indicati nella fattura n. 4 dell’1. 9. 2009, per la parte non coincidente con quelli elencati in contratto, per l’importo ivi corrispondente di euro 7.500,00 oltre iva, in forza della considerazione che tale fattura risultava sottoscritta dalla stessa società committente e che la stessa parte aveva affermato, sin dall’atto di citazione, che i lavori descritti in tale fattura, sostanzialmente coincidente con il doc. n. 5 dalla stessa prodotto, erano stati completati nei mesi di settembre e ottobre 2009.
Parte ricorrente deduce che la Corte di merito non ha tenuto conto che anche tale fattura era stata oggetto di disconoscimento. La critica, che è formulata su basi ed in termini generici, non è comunque decisiva, considerato che il giudice a quo ha apprezzato come rilevante tale documento non in sé, ma attraverso il confronto con la fattura prodotta dalla società opponente, che ha valutato nel suo contenuto sostanzialmente identica, e le difese da essa svolte in giudizio.
In ogni caso va segnalato che, anche con riferimento alle suesposte ragioni della decisione, il motivo non oppone precise ragioni di confutazione, limitandosi a denunciare un generico vizio di travisamento delle prove, di per sé inammissibile in sede di giudizio di legittimità, rientrando la valutazione e l’apprezzamento delle risultanze probatorie nella esclusiva competenza del giudice di merito. La relativa censura è generica, puramente assertiva e non
sostenuta dal richiamo puntuale alle difese delle parti ed agli elementi di prova acquisiti in giudizio.
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3,4 e 5, c.p.c., degli artt. 1657 e/o 2225 e 2697 e dell’art. 115 c.p.c., assumendo l’erroneità della decisione impugnata per avere liquidato in favore della controparte il compenso per le opere realizzate sulla base delle fatture emesse ed in mancanza di prova sulla pattuizione sul prezzo, mancanza che avrebbe dovuto portare la Corte di appello a fare ricorso, per determinarlo, alle tariffe professionali o gli usi e, solo in mancanza di essi, a stabilirlo tenendo conto del consistenza dei lavori effettivamente eseguiti.
Il motivo va respinto per le ragioni esposte nell’esame del motivo precedente, tenuto conto che la sentenza impugnata ha ritenuto provata la pattuizione del compenso tanto per i lavori previsti nell’originario preventivo qu anto per le opere extracontratto.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 3.600,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 gennaio 2025.