Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5661 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5661 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8346/2022 R.G. proposto da : NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, in ROMA INDIRIZZO, pec:
-ricorrente-
contro
CONCETTA COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, pec:
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di LECCE n. 714/2021 depositata il 14/09/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME COGNOME intimò sfratto per morosità e contestuale citazione per la convalida con riguardo ad un contratto di locazione non abitativa stipulato in data 13/7/2009 con NOME COGNOME avente ad oggetto un immobile sito in Brindisi INDIRIZZO destinato ad attività commerciale. Dedusse che, a seguito di cessione di azienda dalla originaria conduttrice ad NOME COGNOME avvenuta in data 30/5/2013, quest’ultima, subentrata nel contratto di locazione quale conduttrice, non aveva provveduto al pagamento del canone di locazione, dal mese di febbraio 2014 al giugno 2014, sicché il contratto andava risolto.
Si costituì in giudizio la NOME eccependo, per quanto ancora rileva, ai sensi dell’art. 1460 c.c., che il mancato pagamento del canone era dovuto al mancato adempimento, da parte della locatrice, agli obblighi di cui agli artt. 1571 e 1575 c.c., inadempimento da cui era derivata l’impossibilità di svolgere l’attività cui l’immobile era destinato.
La NOME chiese, pertanto, la restituzione dei canoni già pagati per otto mensilità e della caparra nonché la risoluzione del contratto per fatto e colpa della locatrice, con condanna della medesima al risarcimento dei danni.
Mutato il rito previa disposizione del rilascio e rimesse le parti in sede di cognizione per il prosieguo del giudizio nel merito, la Favia, con la memoria integrativa ex art. 667 cpc, chiese altresì -sempre in via riconvenzionale – anche il pagamento della somma di € 5.579,80 -a
titolo di danno emergentee della somma di € 10.000 a titolo di danno biologico.
Il Tribunale di Lecce, con sentenza n. 90 del 17/1/2020, ritenne inammissibile la domanda riconvenzionale formulata con la memoria integrativa e, verificata l’avvenuta cessazione della materia del contendere sul rilascio dell’immobile nelle more avvenuto, accolse la domanda di risoluzione del contratto per fatto e colpa della conduttrice, condannandola al pagamento dei canoni rimasti impagati, rigettando la sua domanda riconvenzionale di danni.
Avverso la sentenza la NOME propose appello lamentando, per quanto ancora di interesse, sia l’errata interpretazione ed applicazione dell’art. 667 c.p.c. in relazione all’art. 447 bis c.p.c. e dell’art. 426 c.p.c. , per aver dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale spiegata dalla opponente con la memoria integrativa sia la violazione dell’art. 1460 c.c. in relazione agli artt. 1571, 1575 e 1671 c.c.
La Corte d’Appello di Lecce ha accolto il primo motivo di appello, ritenendo ammissibile la domanda riconvenzionale dell’opponente , ma l’ha rigettata nel merito , affermando che non vi fossero le condizioni per procedere alla risoluzione del contratto per inadempimento della locatrice e ritenendo ingiustificata e comunque contraria a buona fede, la sospensione di pagamento dei canoni da parte della conduttrice.
Ha rigettato pertanto anche il secondo motivo d’appello statuendo sulle spese.
Avverso la sentenza la COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi
La RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
Il ricorso è stato assegnato alla trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis. 1 c.p.c.
Considerato che:
con il primo motivo -nullità della sentenza per contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo ai sensi dell’art. 156 c.p.c. -la ricorrente lamenta che la corte del merito ha, d’un lato , accolto il primo motivo di appello ritenendo ammissibile la domanda riconvenzionale e, dall’altro, contraddittoriamente, l’ha rigettata, così dando luogo a contrasto tra motivazione e dispositivo.
Il motivo è manifestamente infondato in quanto la corte ha, da un lato, accolto il primo motivo di appello ritenendo ammissibile la domanda riconvenzionale della Favia, formulata con la memoria integrativa, ma ha poi rigettato tale domanda nel merito all’esito della valutazione della contrarietà a buona fede dell’eccezione di inadempimento e della sussistenza di ragioni per confermare la sentenza di primo grado sulla risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice alla principale obbligazione del pagamento dei canoni.
Così procedendo la corte di merito ha esercitato correttamente il suo ministero di giudice dell’appello, provvedendo, una volta rilevata la fondatezza dell’appello in rito, a decidere nel merito sulla domanda dal primo giudice reputata inammissibile. Del tutto fantasiosa è l’evocazione di una violazione dell’art. 156 c.p.c.
Con il secondo motivo di ricorso -art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.: error in iudicando in iure per avere la corte d’appello male interpretato e applicato l’art. 1460 c.c. in relazione agli artt. 1571, 1575 e 1671 c.c. e alla fattispecie in esame -la ricorrente chiede un riesame dei fatti e delle prove per giungere alla differente conclusione dell’e sistenza di valide ragioni per la conduttrice per sospendere il pagamento dei canoni.
Il motivo è inammissibile perché, pur prospettando formalmente censure in iure, è volto ad una inammissibile rivalutazione del merito, cioè della quaestio facti : la pretesa violazione delle norme evocate è
prospettata solo all’esito di essa, che, però, è preclusa dai limiti segnati al controllo della ricostruzione di quella quaestio dal n. 5 dell’art. 360 c.p.c. siccome ricostruito dalle note sentenze delle Sezioni Unite nn. 8053 e 8054 del 2014.
Conclusivamente il ricorso va rigettato. La ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di una somma a titolo di contributo unificato pari a quella versata per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione che liquida in € 2.500 (oltre € 200 per esborsi), più accessori e spese generali al 15 %. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile