Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18534 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18534 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 32051/2020 r.g. proposto da:
Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME in unione all’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME .
-ricorrente –
CONTRO
Ditta Individuale NOME COGNOME Ditta Individuale NOME COGNOME
-intimati-
avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 975/2020, depositata il 11/3/2020
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/5 /2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Il Comune di Venezia emetteva in data 20/3/2014 ordinanza ingiunzione ex Regio Decreto n. 639 del 1910 per il pagamento del corrispettivo «uso pontili 2014» di euro 1500,00 (somma forfettaria), nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Proponevano opposizione il COGNOME e il COGNOME, eccependo l’inadempimento ex art. 1460 c.c., del Comune di Venezia in ordine agli obblighi di manutenzione dei pontili per taxi acquei e natanti per servizio di noleggio con conducente, oltre che con riferimento alla realizzazione dei pontili ulteriori previsti nella delibera di giunta comunale n. 533 del 2008.
Gli opponenti chiedevano, dunque, l’annullamento delle ordinanze, l’accertamento della non debenza delle relative somme, con la disapplicazione degli atti amministrativi.
Il tribunale di Venezia, con sentenza n. 1740 del 2017, rigettava la domanda di annullamento delle ordinanze ingiunzione.
In particolare, rilevava l’eccezionalità del rimedio di autotutela di cui all’art. 1460, rispetto ad uno schema di rapporto «che non è contrattuale ma di diritto pubblico».
Il concessionario non poneva le sue prestazioni in rapporto sinallagmatico rispetto a quanto l’ente gli assicurava e gli imponeva.
Peraltro, il corrispettivo copriva solo in parte i costi dell’amministrazione, ed era determinato tenendo conto non solo dell’interesse economico dei licenziatari, ma anche dell’esigenza di assicurare comunque il trasporto individuale a richiesta.
Erano dunque tre i soggetti interessati: l’ente pubblico, il licenziatario-operatore economico-e la collettività amministrata che riceveva il servizio pubblico.
Poteva, allora, sussistere inadempimento della parte pubblica, «solo quando vi sia da parte dell’ente pubblico un inadempimento estremamente grave, sia esso l’inadempimento radicale – mancata messa a disposizione di approdo alcuno – o sia esso tale da non dare luogo ad un effettivo servizio al territorio, oppure tale da minare l’equilibrio in forza del quale per il privato la licenza è un affare accettabile in termini di economicità e sicurezza».
L’eccezione di inadempimento poteva essere fatta valere solo quando se l’inadempimento non manchi del tutto, «scenda ad un tale livello da interferire in maniera drastica con la prestazione di un effettivo servizio sul territorio, e con una aspettativa di redditività per l’operatore attendibile, ex ante, in ragione delle promesse».
Tutto ciò non era stato allegato da parte degli opponenti, mentre era pacifico che gli approdi erano stati utilizzati e che l’attività svolta era stata remunerativa, come pure che il pubblico avesse ricevuto il servizio.
Avverso tale sentenza proponevano appello gli opponenti deducendo: 1) errore nel giudicare, per illogicità delle motivazioni; travisamento; 2) travisamento dei fatti; 3) illogicità della motivazione e mancata valutazione di elementi di fatto; carenza di istruttoria violazione del principio del contraddittorio; violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia; 4) violazione dell’art. 102 c.p.c. per omessa pronuncia.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 975/2020, depositata l’11/3/2020, accoglieva l’appello.
Per la Corte territoriale la funzione del canone/corrispettivo era quella di far sì che titolari delle licenze e delle autorizzazioni
contribuissero economicamente alla realizzazione e alla manutenzione dei pontili, che essi avevano il diritto-dovere di usare in modo esclusivo e che l’amministrazione comunale aveva assunto l’onere di allestire e di mantenere in uno stato idoneo a garantire il servizio.
Sussisteva, allora, un nesso di interdipendenza, «inteso non in senso rigidamente economico, ma giuridico, tra l’obbligo di pagamento del corrispettivo/canone di concessione d’uso esclusivo e l’onere a carico del Comune di Venezia di mettere a disposizione pontili adeguati al loro utilizzo».
La delibera comunale n. 228 del 19/5/2011 aveva delineato la corrispettività del canone rispetto all’utilizzo degli approdi; tale corrispettività era stata poi ribadita dall’art. 31, comma 1bis , del Regolamento comunale, che menzionava proprio il «pagamento di uno specifico corrispettivo annuale per l’uso delle rive e dei pontili pubblici riservati, anche parzialmente, ai servizi».
Il rapporto di corrispettività prescindeva dalla entità della somma dovuta dal titolare della licenza/autorizzazione.
Era dunque corretta la scelta del giudice di ritenere applicabile l’art. 1460 c.c., anche alla luce «della pronuncia della Corte di Cass. SSUU 19600/2012».
Chiosava, poi, la Corte d’appello nel senso che «in ogni caso, il giudice ha applicato l’art. 1460 c.c.», sicché «le doglianze dell’appellante in ordine alla natura del rapporto appaiono ininfluenti rispetto alla decisione della causa e, di conseguenza, non vengono qui esaminate».
La Corte territoriale, in contrasto con quanto affermato dal tribunale, rilevava che la circostanza che l’amministrazione comunale avesse effettuato degli interventi di manutenzione nel quadriennio
2011-2015, non era di per sé sufficiente a far ritenere adempiuti gli obblighi derivanti dalla delibera di giunta comunale n. 228 del 2011.
Dalla CTU espletata emergeva che «le stazioni taxi presentavano comunque delle carenze significative».
In particolare, gli approdi non erano adeguati alla loro utilizzo per l’imbarco o lo sbarco dell’utenza e degli operatori «in sicurezza».
Era emerso che all’epoca il CTU aveva indicato «che i pontili non erano a norma di legge sotto il profilo della sicurezza, essendo in molti casi privi di illuminazione e/o antisdrucciolo e/o parapetti e/o maneggioni pali e/o salvagente e boetta e/o scaletta».
Il Comune non aveva provato di avere poi rimediato alle carenze di sicurezza indicate dal CTU per ogni singolo pontile.
La gravità dell’inadempimento emergeva «dal fatto che fu proprio lo RAGIONE_SOCIALE (ente preposto a vigilare sulla sicurezza dei luoghi di lavoro) a dare le prescrizioni per la messa in sicurezza».
Appariva dunque legittimo il rifiuto di pagare il canone pontili per l’anno 2014, posto che gli interventi effettuati dal Comune non avevano comunque sanato le mancanze riscontrate dal CTU e riportate nelle schede tecniche; nella relazione tecnica d’ufficio, infatti, erano state «constatate pontile per pontile carenze anche significative, anche dal punto di vista sicurezza dei luoghi di lavoro».
Tuttavia, gli approdi dovevano essere adeguati rispetto all’utilizzo e, di conseguenza, essere messi e mantenuti in sicurezza per l’uso degli operatori e dei clienti.
Era irrilevante la circostanza che i titolari di licenza taxi e autorizzazione di noleggio con conducente avessero continuato ad utilizzare i pontili e le stazioni taxi.
Infatti, i titolari di licenze e autorizzazioni erano obbligati ad usare i pontili messi a disposizione dal Comune e non potevano usarne altri, e ciò a prescindere dalle condizioni dei pontili stessi;
inoltre, alcuni potenziali clienti potevano aver scelto di non utilizzare i servizi in questione perché dissuasi dalle condizioni dei pontili di accesso.
In sostanza, le carenze riscontrate dal CTU non erano tali da impedire in modo assoluto l’uso dei pontili, «ma non ne consentivano un uso ‘in sicurezza’ per gli operatori e i clienti».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Venezia.
Sono rimasti intimati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
In data 24/4/2025 è pervenuta dichiarazione di rinuncia al ricorso da parte del Comune di Venezia.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia. Sulla natura del rapporto. Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria e/o errata motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. Errata e/o falsa applicazione e/o violazione dell’art. 1460 c.c. Errata e/o falsa applicazione e/o violazione dell’art. 31-bis del Regolamento comunale e della L.R.V. 63/1993, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Con il secondo motivo di impugnazione si deduce la «errata e/o falsa applicazione e/o violazione dell’art. 1460 c.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria e/o errata motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
Con il terzo motivo di impugnazione si deduce la «errata e/o falsa applicazione e/o violazione dell’art. 1460, comma 2, c.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Omessa e/o
insufficiente e/o contraddittoria e/o errata motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. Violazione/falsa applicazione del principio di cautela/prevenzione».
Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente si duole della «violazione dell’art. 112 c.p.c. Errata e/o falsa applicazione e/o violazione dell’art. 1460, comma 2 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Errata e/o falsa applicazione e/o violazione dell’art. 31bis del Regolamento comunale e della L.R.V. 63/1993, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria e/o errata motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
Deve essere dichiarata l’estinzione del giudizio.
Infatti, in data 24/4/2025 il Comune di Venezia ha dichiarato di voler rinunciare al ricorso.
Per questa Corte, a sezioni unite, la rinuncia al ricorso per cassazione risulta perfezionata nel caso in cui la controparte ne abbia avuto conoscenza prima dell’inizio dell’udienza, anche se non mediante notificazione, e, trattandosi di atto unilaterale recettizio, produce l’estinzione del processo a prescindere dall’accettazione che rileva solo ai fini delle spese (Cass., sez. un., 24 dicembre 2019, n. 34429; Cass., sez. 5, 28 maggio 2020, n. 10140; Cass., sez. 1, 22 maggio 2020, n. 9474).
Non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità, in assenza di attività difensiva da parte degli intimati.
In materia di impugnazioni, la declaratoria di estinzione del giudizio esclude l’applicabilità dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, relativo all’obbligo della parte impugnante non vittoriosa di versare una somma pari al contributo unificato già
versato all’atto della proposizione dell’impugnazione (Cass., sez. 5, 12 ottobre 2018, n. 25485; Cass., sez. 5, 7 dicembre 2018, n. 31732).
P.Q.M.
Dichiara estinto il giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione