Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20432 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20432 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19967-2024 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 480/2024 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 15/07/2024 R.G.N. 83/2024;
Oggetto
R.G.N. 19967/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 15/04/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
NOME COGNOME adiva ai sensi dell’art. 1 commi 47 e sgg. l. n. 92/2012 il Giudice del lavoro impugnando il licenziamento per giusta causa intimatogli dalla datrice di lavoro Banca Adria Colli Euganei Credito Cooperativo Società Cooperativa sulla base di contestazione che ascriveva al dipendente l’accesso ingiustificato al profilo di una cliente cooptata pochi giorni prima nel Consiglio di amministrazione dell’istituto.
All’esito della fase sommaria veniva emessa ordinanza con la quale, pur ritenendosi sussistente e provato l’accesso illecito, era escluso il ricorrere dei presupposti della giusta causa e del giustificato motivo soggettivo di licenziamento e quindi applicata ex art. 18 comma 5 l. .300/1970 la sola tutela indennitaria nella misura di dodici mensilità.
Il Tribunale, adito dal COGNOME con ricorso in opposizione, confermava la tutela applicata e condannava la società al pagamento in favore del lavoratore di un’ulteriore somma a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, compensando integralmente le spese di lite.
La Corte di appello di Venezia, in riforma della decisione di primo grado, accertata la estinzione del giudizio di opposizione in conseguenza della violazione
da parte dell’opponente del termine di cui all’art. 1, comma 52 l. n. 92/2012 ha ordinato ai sensi dell’art. 291, comma 3 c.p.c. la cancellazione dal ruolo della causa del giudizio di opposizione; ha dichiarato improcedibile il reclamo principale del COGNOME ed assorbito il reclamo incidentale della società; ha disposto la restituzione in favore della parte reclamata dell’importo di € 42.838, 45, oltre accessori , nelle more corrisposto dalla datrice di lavoro.
La statuizione di estinzione del giudizio di opposizione è stata fondata sul mancato rispetto del termine di trenta giorni previsto dall’art. 1 comma 52 l. n. 92/2012 – tra la notifica del ricorso in opposizione e l’udienza di comparizione, non avendo la parte ricorrente, una volta autorizzata al rinnovo della notifica, osservato l’ulteriore termine a tal fine concesso dal giudice dell’opposizione. Secondo la Corte distrettuale era poi irrilevante la circostanza che il termine per il rinnovo fosse stato conc esso all’udienza del 17 febbraio 2023 a fronte di una udienza di rinvio fissata per la data del 31 marzo, con conseguente necessità, ai fini del rispetto del nuovo termine assegnato, che la notifica avvenisse nella medesima data del 17 febbraio; neppure sussistevano i presupposti per la rimessione in termine alla luce delle circostanze a tal fine invocate dal procuratore della parte, non configuranti impossibilità assoluta di procedere nel giorno stesso alla notifica del ricorso a mezzo p.e.c. .
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione dell’art. 2909 c.c., dell’ art. 279, comma 2, nn.3 e 4, c.p.c. e dell’art. 324 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per non avere riconosciuto natura di sentenza al provvedimento con il quale il giudice dell’ opposizione aveva respinto la eccezione di improcedibilità del ricorso per violazione del termine stabilito nella ordinanza di autorizzazione al rinnovo della notifica sul rilievo che si era in presenza di un onere eccedente la normale diligenza. Sostiene che avendo la pronunzia di rigetto della eccezione di improcedibilità contenuto decisorio, in difetto di espressa riserva di gravame, non formulata da controparte, la stessa era divenuta definitiva e pertanto vincolante per il giudice del reclamo.
Con il secondo motivo deduce violazione degli artt. 334 340 c.p.c. e dell’art. 1, comma 58 l. n. 92/2012, censurando la sentenza impugnata per avere accolto il reclamo incidentale della Banca nonostante la sentenza non definitiva con la quale il giudice della fase di opposizione aveva rimesso in termini la parte ricorrente per la notifica del ricorso in opposizione così rigettando l’eccezione di estinzione di controparte; sostiene che in
assenza di riserva di gravame risultava preclusa la proposizione del reclamo incidentale.
Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 153 comma 2 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per avere escluso il ricorrere dei presupposti della rimessione in termini per difetto di deduzione in ordine alla impossibilità assoluta di procedere alla notifica mediante p.e.c.. Argomenta sulla impossibilità tecnica per i procuratori del COGNOME di effettuare la notifica del ricorso nel termine prescritto ed evidenzia che l’onere imposto eccedeva la normale diligenza invocando a riguardo precedente di legittimità (Cass. n. 41747/2021)
Il primo ed il secondo motivo di ricorso, trattati congiuntamente per connessione devono essere respinti.
4.1. Come noto, al fine di stabilire se un determinato provvedimento abbia carattere di sentenza ovvero di ordinanza, e sia, quindi, soggetto o meno ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, è necessario avere riguardo non già alla forma esteriore e alla denominazione adottata dal giudice che lo ha pronunciato, bensì al contenuto sostanziale del provvedimento stesso e, conseguentemente, all’effetto giuridico che esso è destinato a produrre (Cass. n. 3945/2018, Cass. n. 27127/2014). E’ stato quindi chiarito che costituiscono sentenze -soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato – i provvedimenti che, ai sensi dell’art. 279 c.p.c., contengono una statuizione
di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito), anche quando non definiscono il giudizio (Cass.,n. 28233/2005 ; Cass. n. 17780/2003, Cass. n. 8190/2003).
4.2. Con specifico riferimento alle ordinanze di estinzione è stato precisato che ‘l’ordinanza reiettiva dell’eccezione di estinzione del processo è revocabile, anche d’ufficio, dal giudice che l’ha pronunciata, trattandosi di ordinanza non espressamente dichiarata impugnabile dalla legge e contro la quale, a differenza di quanto previsto dall’art. 308 c.p.c. per l’ordinanza che dichiari l’estinzione del processo, non è predisposto dalla legge uno speciale mezzo di reclamo (Cass. n. 8670/ 2005); il rigetto o l’omesso esame dell’eccezione di estinzione del processo non ne preclude quindi la riproposizione in sede decisoria, senza che sia necessaria alcuna riserva di gravame (Cass. n. 2435/ 1964; Cass. n. 15548/2003). Se l’ordinanza di rigetto dell’eccezione di estinzione del processo può essere revocata dal giudice che l’ha emessa ovvero travolta in sede decisoria ne deriva che a detta ordinanza, perché revocabile ed inidonea a definire il giudizio, non può essere riconosciuta la natura sostanziale di sentenza, atteso che giammai il provvedimento negativo potrebbe ascriversi al genus dell’atto definitivo impediente la prosecuzione del processo. Diverso il caso in cui il giudice monocratico si pronunci con sentenza non definitiva respingendo l’eccezione di estinzione del processo (cfr. Cass. n. 23625/ 2006, Cass. n. 14592/ 2007), in quanto la scelta
di elevare la questione dell’estinzione al rango di pregiudiziale di rito da delibare con sentenza conferisce d’imperio al provvedimento, anche se negativo, il carattere della non revocabilità. Il codice di procedura civile disciplina esclusivamente l’impugnazione della ordinanza di estinzione. Secondo la giurisprudenza di questa Corte qui condivisa la su esposta disciplina dell’impugnazione dell’ordinanza di estinzione non può trovare applicazione analogica nella diversa ipotesi di rigetto della eccezione di estinzione del processo, per la ovvia ragione che il provvedimento di rigetto non incide sul corso del processo, mentre la pronuncia di estinzione ne paralizza il corso, impedendo che si possa pervenire ad una decisione nel merito (Cass. n. 24176 del 2011).
4.3. In applicazione di tali precedenti deve escludersi natura decisoria all’ordinanza di rigetto della eccezione di improcedibilità e tanto comporta, assorbita ogni questione concernente il difetto di formale costituzione della parte convenuta nel giudizio di opposizione, la ritualità e ammissibilità del motivo di gravame articolato dalla Banca con il reclamo incidentale inteso a denunziare il mancato rispetto del termine assegnato per la notifica del ricorso.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. La rimessione in termini, regolata dall’art. 153, comma 2, c.p.c., presuppone che l’evento addotto per integrare una causa non imputabile abbia carattere di impedimento assoluto, il cui accertamento compete al giudice del merito ed è incensurabile per cassazione, se non nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
(Cass. Sez. Un. n. 6431/2025), vizio non prospettato neppure formalmente dall’odierno ricorrente. Le censure articolate si sostanziano infatti in mero dissenso valutativo rispetto a circostanze di fatto, non evocate peraltro nel rispetto degli oneri prescr itti dall’art. 366 comma 1 n. 6 c.p.c., che comunque sono state prese in considerazione dalla Corte distrettuale la quale con valutazione ad essa riservata ha escluso che configurassero impedimento assoluto.
Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la condanna del ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 15 aprile 2025
La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME