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Eccezione di decadenza: come impugnarla in appello

Una lavoratrice, licenziata dopo una cessione di ramo d’azienda, impugnava sia il licenziamento sia la cessione stessa. La società cedente sollevava un’eccezione di decadenza per tardiva impugnazione della cessione. La Corte di Cassazione ha chiarito che, se il giudice di primo grado rigetta implicitamente tale eccezione decidendo nel merito, la parte soccombente su quel punto deve proporre appello incidentale, non potendosi limitare a riproporre la questione in appello. La sentenza di secondo grado è stata quindi cassata.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Eccezione di decadenza: come impugnarla in appello

Nel processo civile, le regole procedurali non sono meri formalismi, ma garanzie essenziali per la corretta amministrazione della giustizia. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda l’importanza di utilizzare gli strumenti processuali corretti, in particolare quando si tratta di un’eccezione di decadenza respinta in primo grado. Vediamo come la Suprema Corte ha risolto un caso complesso che intreccia diritto del lavoro e procedura civile, offrendo un principio guida fondamentale per avvocati e parti processuali.

I Fatti di Causa

Una lavoratrice, dopo essere passata alle dipendenze di una nuova società a seguito di una cessione di ramo d’azienda, veniva licenziata per giustificato motivo oggettivo. Ritenendo illegittima sia la cessione (perché fraudolenta) sia il successivo licenziamento, la dipendente si rivolgeva al Tribunale. Chiedeva di dichiarare la nullità del licenziamento, l’inefficacia della cessione e di essere reintegrata presso la società originaria (cedente).

Nel corso del giudizio di primo grado, la società cedente si difendeva sollevando, tra le altre cose, un’eccezione di decadenza: sosteneva che la lavoratrice avesse impugnato la cessione del contratto di lavoro oltre il termine di 60 giorni previsto dalla legge. Il Tribunale, sia nella fase sommaria che in quella di opposizione, pur non pronunciandosi espressamente sull’eccezione, entrava nel merito della presunta frode, rigettando alla fine le domande della lavoratrice.

La Decisione della Corte d’Appello

La lavoratrice proponeva appello. La società cedente, nel costituirsi in appello, si limitava a riproporre l’eccezione di decadenza. La Corte d’Appello, diversamente dal Tribunale, accoglieva tale eccezione, dichiarando che la lavoratrice aveva effettivamente perso il diritto di contestare la cessione d’azienda. Di conseguenza, la Corte territoriale procedeva a esaminare il solo licenziamento, dichiarandolo illegittimo per violazione dell’obbligo di repêchage, ma concedendo alla lavoratrice solo una tutela economica e non reintegratoria, poiché la società cessionaria non raggiungeva i requisiti dimensionali.

L’eccezione di decadenza e l’onere dell’appello incidentale

La lavoratrice ricorreva in Cassazione, lamentando un errore procedurale fondamentale. Sosteneva che la Corte d’Appello non avrebbe dovuto esaminare l’eccezione di decadenza perché la società cedente, per contestare il rigetto implicito del Tribunale, avrebbe dovuto proporre un appello incidentale, e non semplicemente riproporre l’eccezione nella propria memoria difensiva. La Corte di Cassazione ha dato ragione alla lavoratrice, cogliendo l’occasione per ribadire un principio processuale cruciale.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha spiegato che quando un giudice di primo grado respinge un’eccezione di merito (come l’eccezione di decadenza), anche in modo implicito, la parte che è risultata vincitrice nel merito ma soccombente su quella specifica eccezione ha l’onere di proporre appello incidentale per devolvere la questione al giudice di secondo grado.

Nel caso specifico, il Tribunale, entrando nel merito della presunta frode nella cessione d’azienda, aveva implicitamente ma inequivocabilmente rigettato la questione preliminare della decadenza. Questo rigetto implicito costituiva una decisione su cui si sarebbe formato il cosiddetto “giudicato interno” se non fosse stato specificamente impugnato. La semplice riproposizione dell’eccezione, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., è ammessa solo per le questioni non esaminate o assorbite, ma non per quelle, come in questo caso, decise (seppur implicitamente) in senso sfavorevole alla parte.

La società cedente, pertanto, avrebbe dovuto proporre un appello incidentale, anche condizionato, per rimettere in discussione la questione della decadenza. Non avendolo fatto, la Corte d’Appello ha errato nel riesaminare e accogliere un’eccezione sulla quale si era già formata una decisione non impugnata.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbiti gli altri. Ha cassato la sentenza d’appello e rinviato la causa a una diversa sezione della stessa Corte d’Appello di Messina. Il nuovo giudice dovrà riesaminare il caso attenendosi al principio di diritto secondo cui l’eccezione di decadenza non poteva essere valutata, in quanto non era stato proposto appello incidentale contro il suo rigetto implicito in primo grado. Questa pronuncia sottolinea l’importanza della strategia processuale e la necessità di impugnare specificamente tutte le statuizioni sfavorevoli, anche se contenute in una sentenza complessivamente vittoriosa, per evitare la formazione di un giudicato interno che precluda la discussione in appello.

Cosa succede se un giudice di primo grado decide nel merito senza pronunciarsi esplicitamente su un’eccezione preliminare come quella di decadenza?
Secondo la Cassazione, se il giudice esamina il merito della causa (ad esempio, la sussistenza di una frode), la sua decisione implica un rigetto dell’eccezione preliminare che avrebbe impedito tale esame. Questo rigetto, anche se implicito, è una decisione a tutti gli effetti.

È sufficiente riproporre in appello un’eccezione che il giudice di primo grado ha implicitamente respinto?
No, non è sufficiente. La parte che ha visto la propria eccezione respinta, anche implicitamente, deve proporre un appello incidentale per sottoporre nuovamente la questione al giudice di secondo grado. La semplice riproposizione non è lo strumento corretto in questo caso.

Qual è la conseguenza pratica della decisione della Cassazione in questo caso?
La sentenza della Corte d’Appello è stata annullata. La causa dovrà essere nuovamente decisa da un altro giudice d’appello, il quale non potrà prendere in considerazione l’eccezione di decadenza. Di conseguenza, dovrà esaminare nel merito la validità della cessione di ramo d’azienda, come richiesto originariamente dalla lavoratrice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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