Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16196 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16196 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6078/2022 R.G., proposto da
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del curatore fallimentare rag. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliato ex lege come da indirizzo pec indicato,
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
-controricorrente – per la cassazione della sentenza n. 965/2021 della CORTE d’APPELLO di Ancona pubblicata il 17.8.2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18.2.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Locazione uso diverso
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE) adì il Tribunale di Pesaro intimando sfratto per morosità nei confronti di RAGIONE_SOCIALE , subentrata nel contratto di locazione di un capannone sito in Pesaro, INDIRIZZO per il mancato pagamento dei canoni da agosto 2011 a marzo 2012 (euro 6.766,32 complessivi). La conduttrice contestò la morosità asserendo di aver corrisposto ingenti somme «in nero» di ammontare ben superiore al canone pattuito.
Il Tribunale di Pesaro non convalidò lo sfratto e dispose per la prosecuzione del procedimento, nel quale la conduttrice spiegò domanda riconvenzionale per il pagamento di euro 525 .226,56, quale eccedenza all’esito della compensazione tra il credito per canoni scaduti e il maggior importo versato «in nero», nonché dell’importo di euro 14.187,60 a titolo di indennità per la perdita dell’avviamento commerciale. Il procedimento in seguito fu sospeso per la pendenza di un procedimento penale a carico di NOME COGNOME legale rappresentante della conduttrice.
Con sentenza n. 849/2015 il Tribunale di Pesaro accertò la responsabilità del COGNOME per l’alterazione di alcune quietanze di pagamento dei canoni , ma la Corte d’appello di Ancona con sentenza 1327/2017 lo assolse perché il fatto non era più previsto dalla legge come reato con revoca delle statuizioni civili e senza alcuna declaratoria di falsità degli indicati documenti ex art. 537 c.p.p.
Con sentenza pubblicata il 9.6.2020 il Tribunale di Pesaro dichiarò cessata la materia del contendere in ordine alla domanda di risoluzione del contratto, per essere stato l’immobile nel frattempo rilasciato spontaneamente, e rigettò le domande riconvenzionali svolte dal Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
La Corte d’Appello di Ancona con sentenza pubblicata il 17.8.2021 rigettò l’appello svolto da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione con l’aggravio delle spese del grado.
Affermò la Corte d’appello che non si era formato alcun giudicato in ordine all’indebito, poiché il Tribunale si era limitato ad accertare la sussistenza di maggiori versamenti, al solo fine di attestare la compensazione con i canoni rimasti inevasi, e aveva rigettato la domanda di risoluzione del contratto. La Corte
d’appello aggiunse che in quella sede non era stata resa alcuna decisione sull’accertamento dell’indebito o sulla restituzione, peraltro non richiesta, rilevando come in sede penale fosse emerso che solo alcune ricevute (7 su 40) erano state alterate.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre il Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, sulla base di cinque motivi. Risponde con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte. La controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata, a i sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ. in relazione all’art. 79 l. l. 392/1978/1978.
Lamenta il ricorrente la violazione da parte della Corte d’appello del giudicato esterno costituito dalla sentenza n. 374/2012 del Tribunale di Pesaro in ordine all’accertamento dei maggiori importi versati dalla conduttrice «in nero» e al conseguente diritto alla loro restituzione. Erroneamente la Corte d’appello ha sostenuto che tale pronuncia non conterrebbe nessuna decisione ‘sull’accertamento dell’indebito e sulla restituzione dello stesso (che afferma, per altro, come non richiesto)’
Tale sentenza è stata resa all’esito di analogo e precedente procedimento di sfratto per morosità avviato dalla locatrice, ma per mensilità differenti da quelle alla base del procedimento definito dal Tribunale con la sentenza n. 348/2020 confermata dalla Corte d’appello ed oggetto di impugnazione. Anche nel procedimento più risalente la conduttrice aveva dedotto il pagamento di somme «in nero» di gran lunga superiori ai canoni non pagati, ma in quella sede si era limitata a sollevare un ‘ eccezione riconvenzionale, mentre nel secondo è stata proposta domanda riconvenzionale sempre con riferimento agli importi pagati «in nero» in violazione dell’art. 79 l. 392/1978.
Il Tribunale di Pesaro nella sentenza n. 374/2012, di rigetto della domanda di risoluzione, fondò la sua decisione sul rilievo che le quietanze prodotte riportavano l’espressione ‘affitto di …’ seguita dalle mensilità cui il pagamento era riferito, ma gli importi indicati non corrispondevano a quelli delle mensilità del canone di locazione, sì che essi dovevano intendersi pagamenti «in nero» effettuati in aggiunta a quelli previsti dal contratto.
1.1. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2909 cod. civ., 324 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 79 e 34 l. 392/1978.
Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ. in relazione all’art. 79 l. l. 392/1978/1978.
Con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2909 cod. civ., 324 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 79 e 34 l. 392/1978.
Con il quinto motivo, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 115, 116, 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ. per ‘omessa, illogica e comunque apparente motivazione in conseguenza del vizio di trav isamento della prova in cui è incorsa la Corte d’appello di Ancona nell’aver statuito il rigetto dell’impugnazione in ragione delle risultanze di cui alla perizia effettuata in sede penale’.
Il primo motivo è fondato.
Il ricorrente lamenta la violazione del giudicato costituito dalla sentenza n. 374/2012 del Tribunale di Pesaro in ordine all’accertamento dei maggiori importi versati dalla conduttrice «in nero» ed al conseguente diritto alla loro restituzione. Erroneam ente la Corte d’appello avrebbe sostenuto che tale pronuncia non contenga nessuna decisione ‘sull’accertamento dell’indebito e sulla restituzione dello stesso (che afferma, per altro, come non richiesto)’. Sennonché, sia la sentenza 374/2012, sia quella n. 348/2020, alla base dell’odierno giudizio, afferiscono allo stesso rapporto contrattuale, pur divergendo i periodi di asserita morosità, con l’ulteriore particolarità che nel primo il pagamento di somme non
dovute (perché pagamenti «in nero») era stato svolto come eccezione riconvenzionale, mentre nel secondo è stata proposta domanda riconvenzionale, il cui presupposto costitutivo lo si sarebbe dovuto ritenere coperto dal giudicato esterno.
2.1 La Corte d’appello ha evidenziato che il procedimento per la risoluzione del contratto di locazione (quello alla base della sentenza n. 374/2012) aveva ad oggetto canoni diversi e anteriori a quelli azionati nel secondo procedimento.
Nel primo procedimento, ha proseguito la Corte d’appello, ‘ sebbene il conduttore abbia chiesto che fosse dichiarato il diritto alle ripetizione dell’indebito (la maggior somma corrisposta) e la condanna del locatore alla sua restituzione (così nella r iconvenzionale in data 02.07.2012 prodotta dall’appellante), il giudice a quo si è limitato ad affermare la sussistenza dei maggiori versamenti al solo fine di attestare l’avvenuta compensazione di quei canoni impagati per i quali allora si agiva. Il dispositivo della sentenza, difatti, si limita a rigettare la domanda (di risoluzione per inadempimento), ovviamente con riferimento ai diversi e anteriori canoni di cui si è detto, ma nessuna decisione assume sull’accertamento dell’indebito o sulla restituzion e dello stesso (che afferma, per altro, come non richiesto) ‘ . Sennonché, per essere stato effettuato nella sentenza n. 374/2012 un mero accertamento incidentale (quello relativo alla sussistenza di maggiori esborsi), ‘ ne consegue che non potrà essere messo in dubbio che quei canoni non fossero dovuti ma nulla vieta di poter in questa sede riconsiderare la fondatezza delle ragioni del conduttore per i canoni ulteriori’.
In questa cornice, la Corte d’appello, sulla premessa che il legale rappresentante della conduttrice era stato imputato per la falsificazione di numerose quietanze di pagamento relative ai canoni di locazione, al fine di farne uso dinanzi al Tribunale di Pesaro per attestare il pagamento chiesto nel secondo procedimento di sfratto per morosità [di qui la sentenza n. 849/2015 resa dal Tribunale penale di Pesaro in composizione monocratica di condanna per l’avvenuto accertamento della falsificazione delle st esse per alcune di esse, cui ha fatto seguito quella della Corte d’appello di Ancona n. 1327/2017 di
assoluzione, perché il fatto non era (più) previsto dalla legge come reato], ha ritenuto non preclusa la possibilità di valutare positivamente la rilevata alterazione alla luce della perizia svolta in sede penale, non contestata dall’appellante specificamente, salvo invocare il giudicato e l’omessa declaratoria della falsità ex art. 537 c.p.p. (non necessaria in assenza di condanna). Di qui, stante la denunciata morosità il rigetto della domanda di pagamento dell’indennità ex art. 34 l. 392/1978 e (implicit amente) di quella di restituzione dell’indebito.
Il Collegio rileva che la sentenza impugnata, quanto alla doglianza oggetto del primo motivo, è errata in iure , perché ha male applicato -cosa che questa Corte può e deve rilevare individuando l’esatto diritto applicabile nella vicenda, naturalmente in sede di esame del motivo proposto -i principi che emergono dall’art. 35 c.p.c. quanto all’atteggiarsi in un giu dizio nel quale, di fronte alla domanda principale che prospetti l’esistenza di un credito, il convenuto prospetti i fatti costitutivi di un controcredito di importo maggiore rispetto a quello oggetto della domanda principale.
Al fine di spiegare quanto appena affermato, si evidenzia che la lettura della sentenza passata in cosa giudicata del Tribunale di Pesaro n. 374/2012 palesa che esso, a fronte della deduzione del controcredito come eccezione di compensazione dei controcrediti costituenti oggetto della pretesa morosità e dell’assenza di domanda per il pagamento del dipiù, per operare la compensazione con i crediti relativi alla pretesa morosità, ha nella sostanza riconosciuto esistente il controcredito nella sua totalità.
Invero, la norma dell’art. 35 c.p.c., sebbene dettata nel quadro della disciplina delle modificazioni della competenza per ragioni di connessione, assume rilievo decisivo per evidenziare il particolare regime che, ai fini del formarsi della cosa giudicata, presenta la c.d. eccezione di compensazione.
Emerge dalla disciplina della norma che, quando viene dedotto un credito in compensazione ed esso è incontestato dall’attore , la sua rilevanza rimane ferma sul piano dell’eccezione e, quindi, se un controcredito viene accertato dal giudice lo è solo come fatto estintivo del credito oggetto della domanda principale
e non quale fatto costitutivo di un diverso diritto fatto valere. Di modo che, se il controcredito sia maggiore di quello oggetto della domanda principale, non si forma accertamento su quella fattispecie costitutiva e, dunque, sull’eccedenza e, se sopravve nga cosa giudicata, un giudicato sull’esistenza del cont rocredito nella sua dimensione eccedentaria.
Qualora, invece , come rivela l’art. 35 cod. proc. civ., il controcredito venga -naturalmente quanto si osserva prescinde dall’ipotesi che espressamente esso venga fatto oggetto di esplicita domanda da parte di chi lo eccepisce -contestato dall’attore quanto ai fatti costitutivi dedotti per evidenziarne l’esistenza, si deve ritenere, per effetto della contestazione, che esso divenga sempre oggetto di domanda di accertamento circa detta esistenza con efficacia di cosa giudicata. Lo evidenzia la rilevanza ai fini della disciplina della competenza ricollegata alla contestazione.
Solo quando i fatti costitutivi del controcredito non risultino contestati, essi, in quanto integratori, secondo il meccanismo dell’eccezione , solo di fatti estintivi del credito oggetto dell’azione principale, non ampliano l’oggetto della decisione, quanto agli effetti di giudicato. Esso risulta limitato all’accertamento del credito oggetto della domanda principale, riguardo al quale i fatti costitutivi del controcredito rilevano solo come fatti che, nella loro efficacia estintiva dei fatti costitutivi del credito principale, debbono essere accertati come mero oggetto di un’eccezione.
Ciò, secondo il meccanismo tipico della rilevanza del fatto impeditivo, estintivo o modificativo integratore di un’eccezione palesa che l’oggetto della domanda da accertare con efficacia di cosa giudicata resta limitato all’accertamento del credito principale, venendo il controcredito accertato per effetto del mero operare della non contestazione – al solo fine di quanto rilevante per estinguere i fatti costituivi del credito principale.
Nel tessuto normativo dell’art. 35 c.p.c., tale tipico modo di operare dell’eccezione di merito, qualora il controcredito, cioè i fatti costitutivi di esso, vengano contestati e, dunque, sulla loro esistenza sorga la necessità di accertarne l’esistenza, consegue che la loro deduzione diventa oggetto di una domanda
proposta dal convenuto, con la conseguenza che il giudice adìto deve accertare detti fatti, e dunque il controcredito, in quanto oggetto di una domanda, siccome evidenzia l’insorgenza del problema della sua competenza, che, appunto, suppone che vi sia una domanda.
Essendovi domanda, il giudice è allora sollecitato ad un accertamento con efficacia di cosa giudicata del diritto di credito che ne è oggetto, cioè del controcredito, e lo è per l’intero suo ammontare.
Nella proposizione della c.d. eccezione di compensazione senza naturalmente domanda di condanna per l’eventuale eccedenza, quando tale eccedenza vi sia, ciò che può essere presente o mancare di fronte alla contestazione del controcredito, è la formulazione di un petitum di condanna per l’eccedenza (che potrebbe giustificarsi proprio in ragione dell’interesse insorto per effetto della contestazione del controcredito), ma in ogni caso, il controcredito, anche se detto petitum non venga proposto, resta comunqu e accertato nell’ an e lo resta nella sua interezza e non nella sola somma riguardo alla quale è stato accertato l’effetto compensativo (si vedano, per considerazioni sulle implicazioni dell’art. 35 c.p.c. nei sensi indicati: Cass. 26 marzo 2003, n. 4502; Cass. 16 ottobre 1993, n. 817; Cass., Sez. Un., 23 febbraio 2018, n. 4485)
Ne segue che la motivazione della sentenza qui impugnata è erronea, là dove è stato affermato che il dispositivo della sentenza (quella resa dal Tribunale di Pesaro e passata in giudicato) si limitò a rigettare la domanda di risoluzione, ma nessuna decisione assunse sull’accertamento dell’indebito o sulla restituzione dello stesso. Il Tribunale di Pesaro, invece, rigettò la domanda di risoluzione del contratto proprio sulla base dell’accertamento del controcredito , avendo scritto: ‘rileva questo giudice come detta compensazione sia fondata e meritevole di accoglimento. Il sig. COGNOME il quale ha sottoscritto tutte le ricevute di pagamento sopra descritte, è il legale della società intimante, e tutte le quietanze prodotte riportano la dicitura ‘affitto mesi di …’ seguita dalle mensilità cui il pagamento è riferito; gli importi ivi recati, però non corrispondono a quelli delle mensilità del canone di locazione, sicché detti importi devono effettivamente
intendersi quali pagamenti «in nero» effettuati in aggiunta a quelli previsti dal contratto’.
In quel giudizio, dunque, si procedette ad un accertamento con efficacia di cosa giudicata del controcredito eccepito perché si era avuta la sua contestazione. Non venne effettuato un accertamento di esso solo sub specie di eccezione, ma con efficacia di cosa giudicata quanto ai relativi fatti costitutivi e ciò pur in assenza di petitum condannatorio per quello che avrebbe ecceduto in quella sede l’importo dei canoni inevasi dedotti in funzione della domanda principale di risoluzione del contratto.
La corte anconetana ha, dunque, erroneamente reputato che sulla fattispecie costitutiva dell’intero controcredito non vi fosse cosa giudicata. Essa vi era perché, a seguito della contestazione, quella fattispecie costitutiva del credito era divenuta oggetto di domanda ed il suo accertamento con efficacia di giudicato non era rimasto limitato al solo dispiegarsi di effetti di eccezione estintiva del credito per canoni inevasi posto a fondamento dell’azione di risoluzione.
Quella corte ha, in sostanza, male applicato i principi emergenti dall’art. 35 c.p.c. e la sua decisione va cassata per questo.
Per mera completezza, il Collegio rileva che, anche se non fosse stato fondato il primo motivo, lo sarebbe stato il quinto.
La corte anconetana ha, infatti, dato rilievo ad un giudicato penale di primo grado che non era più esistente e si è arrogata il potere di considerare la mancata declaratoria ex art. 537 c.p.p. del falso come se fosse irrilevante ai fini della forza probatoria dei documenti relativi ai pagamenti, là dove invece, venuto meno ogni effetto dell’accertamento in sede penale, quei documenti conservavano, naturalmente secondo loro natura e in ragione delle dinamiche della loro invocazione nel giudizio, efficacia probatoria comunque da valutare ed apprezzare secondo le pertinenti norme disciplinatrici di essa.
L’accoglimento del primo motivo del ricorso determina l’assorbimento dei restanti.
Conclusivamente, accolto il primo motivo e dichiarati assorbiti i restanti, deve essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, rinviando alla Corte d’appello di Ancona , anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, in diversa composizione. La corte di rinvio dovrà considerare formato il giudicato sull’intero controcredito a suo tempo fatto valere nel giudizio deciso con la sentenza n. 374/2012 del Tribunale di Pesaro.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri. Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Ancona, comunque in diversa composizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte