Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30783 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30783 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/12/2024
Oggetto: mansioni superiori esercitate anteriormente al 1° luglio 1998 – eccezione di compensazione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4472/2019 R.G. proposto da NOME COGNOME nella qualità di erede con beneficio d’inventario di NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
-ricorrente –
contro
Regione Molise, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO -controricorrente –
nonché
Agenzia delle Entrate – Riscossione;
– intimata –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Campobasso n. 100/2018 pubblicata il 31 luglio 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME, dipendente della Regione Molise con inquadramento nella 7° qualifica funzionale e in pensione ha adito il 29 settembre 1992 il TAR Molise per vedersi riconoscere le differenze stipendiali, affermando di avere svolto mansioni superiori di 8° qualifica funzionale tra il 2 luglio 1976 e il 1° aprile 1989, con condanna della P.A. a pagare gli emolumenti dovuti.
Il TAR Molise ha accolto il ricorso con sentenza n. 8 del 2008, impugnata davanti al Consiglio di Stato.
In seguito a ricorso per ottemperanza accolto dal medesimo TAR Molise con sentenza n. 157 del 2011, la Regione Molise ha pagato al dipendente € 65.701,00 .
Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello della Regione Molise con sentenza n. 6498 del 2012, respingendo la domanda del lavoratore.
La Regione Molise ha chiesto, quindi, la restituzione di quanto corrisposto.
Dopo avere accolto la richiesta di rateizzazione avanzata dal dipendente e rilevato che controparte non aveva accettato le relative condizioni, la Regione Molise ha emesso ingiunzione di pagamento n. 18734 del 26 marzo 2014 per il recupero forzato del credito, notificata da Equitalia il 9 maggio 2014.
NOME COGNOME ha impugnato tale ingiunzione davanti al Tribunale di Campobasso, convenendo la Regione Molise ed Equitalia spa, la quale è rimasta contumace.
Il Tribunale di Campobasso, con sentenza n. 314 del 2016, ha rigettato il ricorso.
NOME COGNOME ha proposto appello che la Corte d’appello di Campobasso, nel contraddittorio con la sola Regione Molise, con sentenza n. 100 del 2018, ha rigettato.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
La Regione Molise ha resistito con controricorso.
L’Agenzia delle Entrate – Riscossione non ha svolto difese.
Nel corso del giudizio si è costituito NOME COGNOME quale erede con beneficio d’inventario di NOME COGNOME.
Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 132, n. 4, e 156 c.p.c. nonché l’omesso esame e l’omessa motivazione circa fatti decisivi perché la sentenza impugnata sarebbe stata motivata genericamente e per relationem con formula di stile.
La doglianza è inammissibile perché non si confronta con il decisum della sentenza impugnata.
Non è in questione il principio di diritto per il quale la sentenza d’appello non può ritenersi legittimamente resa per relationem , in assenza di un comprensibile richiamo ai contenuti degli atti cui si rinvia, ai fatti allegati dall’appellante e alle ragioni del gravame, così da risolversi in una acritica adesione ad un provvedimento solo menzionato, senza che emerga una effettiva valutazione, propria del giudice di appello, della infondatezza dei motivi del gravame (Cass., Sez. 3, n. 2397 del 3 febbraio 2021).
Nella specie, però, la motivazione è da considerare esistente, atteso che il rigetto dell’appello è stato fondato espressamente sulla
valutazione di assenza delle condizioni di applicabilità dell’art. 1243 c.c., che hanno comportato la reiezione dell’eccezione di compensazione, e sulla mancanza dell’accertamento dei requisiti richiesti dall’art. 2041 c.c., che ha precluso l’operatività dei principi in tema di ingiustificato arricchimento.
Al rigetto dell’eccezione di compensazione e di quella fondata sull’art. 2041 c.c. non poteva che seguire, poi, il non accoglimento della domanda attinente al diritto di ritenzione.
2) Con il secondo motivo il ricorrente contesta la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e degli artt. 1243, 2126 e 2909 c.c. nonché 35 e 36 c.p.c.; deduce l’infondatezza dell’eccezione di giudicato facendo leva sulla diversità del petitum e della causa petendi posti a sostegno dell’opposizione in esame; addebita alla Corte distrettuale l’omessa valutazione di fatti decisivi in quanto la sentenza del Consiglio di Stato n. 6498 del 2012, posta a fondamento della cartella esattoriale, avrebbe respinto la sua azione titolata finalizzata a ottenere le differenze stipendiali in questione, ma non avrebbe precluso affatto l’eccezione di compensazione da lui proposta.
La doglianza è inammissibile.
Innanzitutto, il ricorrente non ha riportato, almeno nelle parti rilevanti, la sentenza del Consiglio di Stato richiamata.
Inoltre, lo stesso dipendente, alla pagina 3, indica, comunque, una ragione per la quale il giudice amministrativo si era pronunciato in senso a lui sfavorevole, ossia il fatto che, concernendo un periodo antecedente all’entrata in vigore dell’art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998, le sue eventuali mansioni superiori non sarebbero state in assoluto retribuibili.
Peraltro, l’azione di arricchimento ex art. 2041 c.c. non potrebbe essere utilizzata per ottenere un indennizzo per un’attività della quale l’ordinamento giuridico esclude il compenso.
In aggiunta a ciò, si rileva che la corte territoriale ha specificamente escluso la liquidità ed esigibilità del credito vantato dal ricorrente, con un accertamento di merito che è qui contestato in maniera estremamente generica.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., 1243, comma 2, e 2041 c.c., 35 e 36 c.p.c., l’omessa esposizione dei motivi di diritto sui quali è basata la decisione e il mancato esame di fatti decisivi in quanto la corte territoriale non avrebbe deciso sull’eccezione riconvenzionale di compensazione in relazione all’ingiustificato arricchimento.
La doglianza è inammissibile.
In primo luogo, si osserva che la corte territoriale ha deciso in ordine alla prospettata eccezione.
Inoltre, si evidenzia che la sentenza del Consiglio di Stato sopra menzionata ha espressamente escluso il diritto del ricorrente alle differenze retributive domandate e questa statuizione è ormai passata in giudicato, con la conseguenza che deve definitivamente negarsi l’esistenza di un credito del detto ricorrente che possa essere opposto in compensazione a quello della Regione Molise e abbia a oggetto le mansioni superiori oggetto del contendere.
Infine, si sottolinea che il ricorrente non ha neppure menzionato gli elementi, non esaminati dalla Corte d’appello di Campobasso, sulla base dei quali il giudice di appello avrebbe dovuto affermare la liquidità del credito vantato dal lavoratore, accertando l’arricchimento della P.A. e il correlato depauperamento del dipendente.
4) Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo fra il ricorrente e parte controricorrente, mentre nessuna statuizione sul punto deve essere emessa quanto
alla posizione dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, rimasta intimata.
Si attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite in favore della Regione Molise , che liquida in complessivi € 4.000,00 per compenso professionale ed € 200,00 per esborsi , oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
-attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione