Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34668 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34668 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19349/2022 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 1084/2022 depositata il 12/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 25/07/2022, illustrato da memoria, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME quali soci della cessata società RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti ‘RAGIONE_SOCIALE‘), impugnano per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1084/2022, pubbl. il 12/05/2022, emessa nei confronti dei medesimi e di NOME COGNOME in un giudizio di rinvio. L’intimato NOME COGNOME ha notificato controricorso.
Per quanto ancora di interesse, con atto di citazione del 12.9.2001 NOME COGNOME, all’epoca titolare della cessata impresa individuale RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, ha convenuto in giudizio gli attuali ricorrenti al fine di ottenerne la condanna solidale al pagamento di £ 294.723.551 (c.a.€ 152.212), a titolo di regresso ex art. 1950 c.c., per avere, quale fideiussore del RAGIONE_SOCIALE COGNOME, estinto un debito della società nei confronti dell’allora Banca Popolare di Castelfranco Veneto. La società RAGIONE_SOCIALE COGNOME e i soci convenuti, questi ultimi qui ricorrenti, si sono costituiti in giudizio tardivamente, dopo l’udienza fissata per gli incombenti di cui all’art. 184 c.p.c. (vecchio testo), esponendo che, successivamente all’emissione del decreto ingiuntivo del Tribunale di Treviso, i fratelli NOME e NOME COGNOME avevano incaricato il rag. NOME COGNOME di tentare di addivenire con la Banca ingiungente ad una soluzione transattiva. L’accordo non è andato a buon fine per il mancato pagamento della quota parte da parte di NOME COGNOME e quest’ultimo, stando alle allegazioni dei convenuti, avrebbe allora chiesto e ottenuto di usufruire della somma di
100.000.000, consegnata nell’ottobre 1992 a mezzo di assegni circolari e contanti dal fratello NOME al rag. COGNOME al fine di ripianare la situazione debitoria della sua impresa individuale RAGIONE_SOCIALE
Il giudizio di primo grado è stato istruito tramite acquisizione di una consulenza tecnica contabile, avente tra le altre cose lo scopo di verificare se dalla documentazione prodotta risultasse l’impiego, a favore di NOME COGNOME, della somma di £ 100 milioni messa a disposizione del rag. Bonotto da parte di NOME COGNOME, e, all’esito del giudizio, il Tribunale di Bassano del Grappa, condannava i convenuti a pagare a titolo di regresso ex art. 1950 c.c. la somma complessiva di € 210.602,60, oltre interessi al tasso del 5,805%, alle rifusione delle spese di lite e di C.T.U. depositata il 23.5.2006, rigettando la relativa eccezione di compensazione opposta dai fratelli COGNOME, in quanto sollevata in sede di costituzione tardiva, e comunque, nel merito, ritenendo provata esclusivamente la consegna delle somme da NOME COGNOME al commercialista COGNOME e non già l’effettivo impiego di tale somma a favore dell’impresa sopra citata.
Impugnata la sentenza dai convenuti qui ricorrenti, la Corte d’appello di Venezia disponeva CTU e ammetteva le prove per testi. In parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva la condanna dei convenuti appellanti a € 171.442,26, oltre interessi legali su € 85.355,85 in accogli m ento dell’eccezione, riqualificata in termini di eccezione di pagamento, come tale svincolata dai termini decadenziali e preclusivi cui soggiace l’eccezione di compensazione in senso stretto e, alla luce dell’istruttoria svolta, computava tale somma a favore degli appellanti inserendola nel complessivo conteggio dei rapporti di dare-avere tra le parti.
Proposto ricorso per cassazione da parte di tutte le parti processuali, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 25927/2019 del 15.10.2019, accertata la fondatezza dei primi tre motivi del ricorso principale proposto da NOME COGNOME e, rigettato il ricorso incidentale, cassava la sentenza, rinviando alla Corte d’Appello, in diversa composizione.
La Corte d’appello , quale giudice del rinvio, esclusa l’operatività di qualsivoglia meccanismo compensativo in quanto non fondato su un credito certo, perché contestato e reso oggetto di prova testimoniale e di accertamento peritale, respingeva l’ eccezione di compensazione e condannava i convenuti qui ricorrenti a pagare all’attore NOME COGNOME in via di rivalsa, la somma capitale di € 210.602,60, pari a quanto liquidato dal primo giudice al lordo dell’equivalente di £ 100.000.000, oltre agli interessi come già determinati dal giudice di primo grado, e alle spese di lite di tutti i gradi giudizio.
Il ricorso avverso la sentenza del giudice del rinvio è affidato a sei motivi, illustrati da memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo ex art. 360 1 comma, n. 3 cod. proc. civ. i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 1241 e 1243 c.c. e, più in generale, della disciplina in tema di compensazione, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., sulla base di quanto statuito dalla Corte di cassazione sul punto; con il secondo motivo deducono, ancora, violazione delle sopra citate norme ‘sotto un altro profilo’ , denunciando che la Corte di merito non si sia concentrata sulle contestazioni, del tutto generiche, opposte dalla difesa attorea per contestare la ‘certezza del credito’ opposto in compensazione, ma sulla necessità di istruire sul punto la controversia, nonostante tali elementi fossero irrilevanti ai fini decisori, alla luce delle generiche contestazioni della controparte. Con il terzo motivo
deducono, oltre alla violazione delle suddette norme, anche quella di cui agli artt.115, 116 e 132 c.p.c., sotto il profilo della valutazione delle prove dedotte dai ricorrenti. Con il quarto motivo deducono, più in generale, la violazione della disciplina in tema di compensazione, con riferimento al credito del sig. NOME COGNOME e del controcredito dei signori COGNOME in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.; nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. e, più in generale, dei principi in materia di economia processuale e ragionevole durata del processo in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. in quanto sarebbe stato omesso, quale fatto rilevante, che nel presente giudizio il controcredito dei signori COGNOME è stato nei fatti accertato. Con il quinto motivo lamentano la nullità della sentenza e del procedimento per irragionevole durata del processo e per diseconomia processuale in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., in violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e, più in generale, dei principi in materia di economia processuale e ragionevole durata del processo, perché a fronte dell’accertamento del credito opposto in compensazione, si è resa vana l’attività già svolta nel pieno contraddittorio tra le parti. Con il sesto motivo denunciano ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., con riferimento alla ripartizione delle spese di lite, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.’, in quanto la Corte avrebbe dovuto accogliere l’eccezione in base al principio espresso nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 23225 del 15 novembre 2016, e dunque compensare le spese.
I motivi vanno trattati congiuntamente in quanto, sotto diversi profili, si incentrano sulla medesima questione relativa all’accertata mancanza di certezza del credito opposto in compensazione (impropria) dagli attuali ricorrenti, convenuti in giudizio da NOME COGNOME per ottenere in via di rivalsa quanto
da quest’ultimo pagato alla banca creditrice del RAGIONE_SOCIALE, in virtù della fideiussione dal medesimo prestata unitamente agli altri soci.
I motivi sono inammissibili ex art. 366 n. 4 c.p.c., in quanto non sono in grado di attingere la ratio decidendi .
La Corte d’appello di Venezia, quale giudice del rinvio, si è confrontata con il dictum contenuto nell’ordinanza di rinvio n. 25927/2019 della Corte di cassazione che , nell’annullare la precedente sentenza, ha ritenuto ‘che la tesi dei resistenti in ordine alla originaria certezza del credito opposto in compensazione, risultasse smentita in primo luogo dal loro stesso comportamento processuale, avendo essi articolato fin dal primo grado specifiche istanze istruttorie, financo dolendosi nella citazione in appello della loro non ammissione in primo grado, proprio per offrire la prova dell’esistenza del controcredito (così dimostrando di non credere, per primi, alla certezza del credito, giacché non è certo ciò che abbisogna di dimostrazione). In secondo luogo, il fatto che su detta circostanza si sia svolta un’approfondita istruttoria, addirittura con la rimessione della causa in istruttoria nel giudizio d’appello, dimostrasse inequivocabilmente che la contestazione di NOME COGNOME sul punto non fosse meramente pretestuosa, e che andasse esclusa nel corso di questo giudizio, in ossequio ai principi in tema di compensazione, l’operatività di qualsivoglia ipotesi compensativa in ordine a queste circostanze’.
Nell’esaminare la fattispecie alla luce del suesposto principio, il giudice del rinvio ha ritenuto che la stessa necessità dello svolgimento di un’istruttoria valga a togliere certezza al controcredito opposto in compensazione e che, in ogni caso, l’istruttoria non abbia condotto a ritenere certo il controcredito opposto in compensazione dai convenuti.
Va osservato che il giudice del rinvio, innanzitutto, ha dimostrato di avere correttamente esercitato il proprio potere di procedere a una nuova valutazione dei fatti già acquisiti e di quegli altri la cui acquisizione si renda necessaria in relazione alle direttive espresse nella sentenza di annullamento con rinvio al giudice a quo (Sez. 2 – , Sentenza n. 3150 del 02/02/2024; Sez. 3 – , Ordinanza n. 17240 del 15/06/2023; Sez. 1, Sentenza n. 17790 del 07/08/2014; Sez. U, Sentenza n. 17779 del 22/07/2013).
Del tutto inammissibili, del pari, sono le censure inerenti alla violazione degli artt. 1241 e 1243 c.c. in tema di compensazione, di cui al secondo motivo, tese a sindacare, piuttosto, l’esito di un accertamento in fatto di insussistenza del controcredito opposto in compensazione, denotante non solo la non pretestuosità della contestazione dell’attore al tempo della sollevata eccezione, ma anche la sostanziale infondatezza di detta eccezione all’esito dell’istruttoria, alla luce del principio di diritto enucleato nel dictum di cui sopra in tema di interpretazione delle norme sulla compensazione legale e giudiziale, e in continuità con la sentenza n. 23225/2016 delle sezioni unite di questa Suprema Corte.
Quanto al terzo motivo, l’inammissibilità della censura è del tutto evidente là dove essa tende a offrire un differente apprezzamento dei fatti già compiutamente scrutinati dal giudice del merito, posto che non viene messa in questione l’interpretazione o l’applicazione dei paradigmi normativamente indicati in tema di prove, bensì l’esito della loro valutazione (così, Sez. U – , Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Cass., Sez. 6-3, ordinanza n. 26769 del 23/20/2018; Sez. 3, sentenza n. 20382 dell’11/10/2016; Cass. Sez. 3, sentenza n. 11892 del 10/6/2016).
Mentre, con riferimento alla dedotta violazione dell’ art. 116 c.p.c., va sottolineato che, in sede di giudizio di legittimità, l’errata applicazione della norma è configurabile solo nei casi in cui si applichi il libero apprezzamento in riferimento a una prova che per legge sia vincolata a determinati criteri di valutazione, non potendo comportare una diversa valutazione della prova da parte del giudice di legittimità (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016; Cass. sez. VI, 09/12/2020, n.28105, che espressamente richiama Cass. Sez.3, 05.03.2019, n. 6303; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18092 del 31/08/2020; Cass. Sez. U -, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020).
Quanto alla prospettata necessità, espressa nel quarto e quinto motivo, di interpretare le summenzionate norme nel rispetto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, e ciò alla luce del diritto di azione costituzionalmente tutelato da ll’art. 24 Cost., va osservato che il pur ristretto ambito entro il quale la suddetta normativa ammette l’eccezione di compensazione all’interno del medesimo procedimento non pone certamente a repentaglio il diritto di agire di chi la solleva, ma lo mette in giusto equilibrio con quello dell’attore, rientrando nella discrezionalità del giudice disciplinare , all’interno del processo, un elemento che, piuttosto, si contrappone al pronto soddisfacimento del diritto di credito dell’attore e che, se illiquido o addirittura incerto, sarebbe in grado di procrastinarlo ingiustificatamente. L’art. 1243 c.c., pertanto, stabilisce i presupposti sostanziali ed oggettivi del credito opposto in compensazione, ossia la liquidità, inclusiva del requisito della certezza, e l’esigibilità. Nella loro ricorrenza, il giudice dichiara l’estinzione del credito principale per compensazione legale, a decorrere dalla sua coesistenza con il controcredito e, accogliendo la relativa
eccezione, rigetta la domanda, mentre, se il credito opposto è certo ma non liquido, perché indeterminato nel suo ammontare, in tutto o in parte, egli può provvedere alla relativa liquidazione, se facile e pronta, e quindi può dichiarare estinto il credito principale per compensazione giudiziale sino alla concorrenza con la parte di controcredito liquido, oppure può sospendere cautelativamente la condanna del debitore fino alla liquidazione del controcredito eccepito in compensazione (cfr. Cass. SU 23225/2016).
Infine, il motivo attinente alla mancata compensazione delle spese di lite non ha propriamente ad oggetto la sentenza impugnata, deducendo solamente che l’accoglimento dell’eccezione comporterebbe, o avrebbe dovuto comportare, una differente regolamentazione delle spese processuali. Si tratta, pertanto, di un ‘non motivo’.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente, seguono la soccombenza.
Va altresì disposta la condanna dei ricorrenti al pagamento di somma ex art. 96, 3° co., c.p.c., ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, in favore del controricorrente: delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 6.200,00, di cui € 6 .000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di euro 6.000,00 ex art. 96, 3° co., c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto .
Così deciso in Roma, il 19/11/2024