Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 18722 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 18722 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/07/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso iscritto al NRG 25322 del 2023 promosso da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO;
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, domiciliato presso l’Ufficio in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – per la cassazione della sentenza della Corte dei conti, Sezione Seconda g iurisdizionale centrale d’appello , n. 186/2023, depositata il 7 luglio 2023.
R.G. 25322/2023
COGNOME.
Rep.
C.C. 11/6/2024
Corte dei conti giurisdizione
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Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’11 giugno 2024 dal Presidente NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con atto di citazione depositato il 17 febbraio 2021, la Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia della Corte dei conti ha convenuto in giudizio NOME COGNOME, professore ordinario in regime di tempo pieno presso il RAGIONE_SOCIALE, contestandogli di aver svolto, dal 2012 al 2016, attività professionale esterna asseritamente incompatibile con il regime prescelto e, comunque, non autorizzata, senza aver riversato all’Ateneo i relativi compensi, pari ad euro 1.649.006,56, in violazione dell’art. 53, commi 7 e 7bis , del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nonché per aver indebitamente percepito, nel medesimo arco temporale, la somma di euro 149.128,09, corrispondente alla differenza stipendiale tra il regime a tempo pieno e quello a tempo definito, per un danno complessivo di euro 1.798.134,65.
-La Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti, con sentenza n. 100/2022 depositata in data 11 aprile 2022, in parziale accoglimento della domanda, ha condannato il convenuto al risarcimento del danno di euro 1.649.006,56 (comprensivo di rivalutazione monetaria), oltre interessi legali, per lo svolgimento di attività professionale esterna incompatibile e, comunque, non autorizzata, senza riversare i relativi compensi all’Ateneo , mentre ha rigettato la domanda relativa alla seconda voce di danno, per la differenza tra quanto percepito per il lavoro a tempo pieno e quanto contestualmente previsto per il lavoro a tempo definito.
-Avverso la sentenza di primo grado il docente ha proposto appello, sollevando diversi motivi di impugnazione , tra l’altro censurando la mancata considerazione, da parte della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Lombardia, dell’obiettiva natura
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dell’attività svolta, che sarebbe stata erroneamente qualificata come libero-professionale, pur trattandosi di consulenze tecniche di parte rese in procedimenti penali e civili, per conto di numerose società private, ma anche di persone fisiche.
4. -Il gravame è stato rigettato dalla Sezione Seconda giurisdizionale centrale d’appello della Corte dei conti con sentenza n. 186/2023 depositata il 7 luglio 2023.
Per quanto in questa sede rileva, il giudice contabile d’appello, correggendo la motivazione della sentenza impugnata, ha ritenuto che la fattispecie integra un’ ipotesi qualificabile in termini di incompatibilità relativa con il regime a tempo pieno. In particolare, secondo la Corte dei conti, gli incarichi di consulenza tecnica svolti dal prof. COGNOME, isolatamente considerati, possono ritenersi astrattamente compatibili con il regime a tempo pieno, ma previa autorizzazione rettorale, tuttavia nella specie mancata del tutto perché mai richiesta dal docente durante l’intero arco rettorale di riferimento. Di qui la considerazione che gli incarichi espletati restano, nondimeno, connotati da illiceità perché svolti in assenza di previa autorizzazione, alla luce del dettato normativo che viene in rilievo e, in specie, dell”inequivoco’ regolamento universitario all’epoca vigente. Al riguardo, la Corte dei conti ha sottolineato, inoltre, che se il professore universitario avesse preventivamente richiesto, volta per volta, l’autorizzazione, il RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato in grado di valutare, non solo la concreta autorizzabilità dei singoli incarichi, ma anche l’effettiva consistenza e rilevanza dell’attività esterna complessivamente svolta, la quale, ove sconfinante in concreto in vera e propria attività professionale (stante la sistematica reiterazione della stessa tipologia di incarichi significativamente remunerati), in quanto vietata e totalmente incompatibile, avrebbe potuto essere tempestivamente inibita.
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-Per la cassazione della sentenza della Corte dei conti, Sezione Seconda giurisdizionale centrale d’appello , il prof. COGNOME ha proposto ricorso, prospettando il difetto di giurisdizione del giudice contabile sotto il profilo dell’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore.
-Ha resistito, con controricorso, il Procuratore generale, rappresentante il Pubblico Ministero presso la Corte dei conti.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
In prossimità della camera di consiglio, il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con l’unico motivo di ricorso (difetto di giurisdizione del giudice contabile ex art. 362, primo comma, cod. proc. civ. sotto il profilo dell’eccesso di potere giurisdizionale), il ricorrente si duole che l’impugnata decisione della Corte dei conti abbia applicato, non la norma esistente, ma una norma creata dal giudice attraverso l’esercizio di un’attività normativa che non gli competerebbe.
Osserva il ricorrente che -là dove fonda la propria ratio sull’ affermazione secondo cui l’art. 6, comma 10, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, non avrebbe introdotto alcuna deroga all’obbligo di previa autorizzazione -la sentenza impugnata non avrebbe considerato che, con l’art. 9, comma 2 -ter , del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44, inserito dalla legge di conversione 21 giugno 2023, n. 74, il legislatore avrebbe invece precisato, con una norma di interpretazione autentica avente portata retroattiva, il significato della disposizione di cui al citato art. 6, comma 10, da intendere nel senso che lo svolgimento dell’attività di consulenza è consentito ‘liberamente’, cioè, senza necessità di previa autorizzazione.
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La Corte dei conti avrebbe finito con l’applicare non già la norma esistente -costituita dalla saldatura tra la norma interpretata e quella interpretativa, che esclude la necessità di autorizzazione -, bensì una norma diversa, prodotta dallo stesso giudice contabile, secondo cui l’attività di consulenza sarebbe soggetta alla previa autorizzazione dell’Ateneo.
La sentenza impugnata avrebbe così travalicato i limiti della giurisdizione, sostituendosi al legislatore nella funzione sua propria di produzione normativa, funzione che si esprime anche con disposizioni interpretative, attraverso la selezione del significato normativo di una precedente disposizione.
La Corte dei conti non si sarebbe attenuta al compito interpretativo che è proprio del giudice, e cioè quello di ricercare la voluntas legis applicabile nel caso concreto, ma avrebbe finito per esercitare una potestà riservata ad un organo diverso, applicando una norma di contenuto differente creata dal giudice stesso, sia pure dissimulata in una norma esistente, ma invece non esistente nell’o rdinamento, stante l’entrata in vigore della norma interpretativa , applicabile alla specie in quanto intervenuta prima della pubblicazione della sentenza.
Con la memoria illustrativa, la difesa del ricorrente esclude che il silenzio della sentenza impugnata circa la norma di interpretazione autentica sopravvenuta costituisca soltanto la risultante di un vaglio di estraneità dei fatti di causa all’orbita della sopravvenienza legislativa retroattiva. Viceversa, la sentenza della Sezione Seconda giurisdizionale centrale d’appello avrebbe semplicemente ignorato la norma che era tenuta ad applicare, così incorrendo nel denunciato vizio di eccesso di potere giurisdizionale. Il discorde contenuto attribuito alla norma –
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rispetto alla saldatura tra disposizione interpretata e interpretativa -si risolve, secondo il ricorrente, nella creazione di una nuova norma.
-Il motivo è inammissibile.
-Occorre premettere che, al pari delle pronunce del Consiglio di Stato, le pronunce della Corte dei conti sono escluse dal ricorso per cassazione per violazione di legge, contro di esse essendo deducibili, secondo l’assetto definito dalla Costituzione, i soli motivi inerenti alla giurisdizione.
I motivi inerenti alla giurisdizione -in relazione ai quali soltanto è ammesso il sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato o della Corte dei conti -vanno identificati con le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (che si verifica quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale) o di difetto relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici) (Cass., Sez. Un., 4 febbraio 2021, n. 2605; Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2023, n. 30147).
Rientrano, pertanto, n ell’ambito dei motivi inerenti alla giurisdizione: a) l’invasione della sfera riservata ad altri poteri (esecutivo e legislativo); b) l ‘ invasione della sfera altrui di giurisdizione; c) l ‘ esplicazione da parte del giudice amministrativo di un sindacato di merito, allorquando la potestas iudicandi comprenda il solo sindacato di legittimità; d) il mancato esercizio da parte del giudice amministrativo o contabile della sua giurisdizione, anche quando derivante dall ‘ erroneo
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presupposto che la materia non possa formare oggetto di funzione giurisdizionale.
-Le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 18 novembre 2015, n. 23542) hanno chiarito che l ‘ eccesso di potere giurisdizionale costituisce una categoria, di fonte giurisprudenziale, la quale si colloca sul crinale della distinzione tra il settimo comma e l’ottavo comma dell’ art. 111 Cost., ossia là dove la generalità del sindacato di legittimità affidato alla Corte di cassazione si coniuga con il regime differenziato delle pronunce dei due giudici speciali di antica tradizione, Consiglio di Stato e Corte dei conti.
Infatti, quando -secondo la regola generale dell ‘ art. 111, settimo comma, Cost., rispetto alla quale quella dell ‘ ottavo comma della medesima disposizione si atteggia ad eccezione -il sindacato di legittimità per violazione di legge può dispiegarsi a tutto campo, il canone dell ‘ eccesso di potere giurisdizionale non ha, in linea di massima, autonomia concettuale e normativa rispetto alla violazione di legge.
Il giudice ordinario (o speciale, ma diverso dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei conti) che in ipotesi eserciti un potere giurisdizionale che non ha, viola la legge tout court e la rilevanza di tale vizio, quale error in iudicando , trova la sua risposta di giustizia, per le parti in causa, nel sistema processuale delle impugnazioni, salvo che l’eccesso non ridondi in invasione o turbativa di altro potere dello Stato (nel qual caso, ove ricorrano i presupposti di legittimazione soggettiva ed oggettiva, il potere leso può proporre ricorso per conflitto di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale).
L’eccesso di potere giurisdizionale acquista invece una sua autonomia là dove sia precluso il sindacato per violazione di legge ai sensi dell’art. 111, ottavo comma, Cost.
-L ‘ eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore, denunciabile con il ricorso per cassazione per
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motivi inerenti alla giurisdizione ai sensi degli artt. 111, ottavo comma, Cost. e 362, primo comma, cod. proc. civ., è configurabile solo quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti applichino, non la norma esistente, ma una norma da essi creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non compete loro.
Esula, pertanto, da tale fattispecie l’individuazione della regula iuris attraverso l’interpretazione, pure estensiva od analogica, delle norme di riferimento, cosicché eventuali errori ermeneutici, anche se comportanti uno stravolgimento radicale della norma, non investono la sussistenza o i limiti esterni del potere giurisdizionale, ma soltanto la legittimità del suo esercizio.
Nei confronti delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, l’esame da parte della Corte di cassazione non si estende al controllo del cattivo esercizio della giurisdizione: non coinvolgendo il limite interno della giurisdizione, il sindacato non può cadere sugli errores in iudicando o in procedendo (Cass., Sez. Un., 30 giugno 2023, n. 18539; Cass., Sez. Un., 22 settembre 2023, n. 27160).
Non è ravvisabile una questione involgente la giurisdizione là dove si sia in presenza di una attività interpretativa -senza che assuma rilievo, a tali fini, l’esito dell’interpretazione -, nessun eccesso essendo configurabile le volte in cui emerga, con evidenza, che un’ interpretazione sia stata svolta: questa -perché effettiva e non già perché condivisibile -, al tempo stesso in cui fa emergere l ‘ inconsistenza dell ‘ ipotesi di eccesso di potere, preclude alle Sezioni Unite il sindacato sui suoi risultati (Cass., Sez. Un., 20 giugno 2021, n. 18492; Cass., Sez. Un., 11 aprile 2024, n. 9766).
Le Sezioni Unite hanno in più occasioni ribadito che l’ipotesi di sconfinamento del giudice nella sfera legislativa è ipotesi eccezionale, in quanto -dovendosi postulare che il giudice applichi, non la norma esi-
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stente, ma una norma da lui creata -potrebbe ipotizzarsi solo a condizione di poter distinguere un’attività di produzione normativa inammissibilmente esercitata dal giudice, da un ‘ attività interpretativa, la quale in realtà non ha una funzione meramente meccanicistica, ma si sostanzia in un’opera creativa della volontà della legge nel caso concreto (Cass., Sez. Un., 30 dicembre 2004, n. 24175; Cass., Sez. Un., 28 gennaio 2011, n. 2068; Cass., Sez. Un., 12 dicembre 2012, n. 22784).
6. -Nell’esperienza giurisprudenziale , l ‘accesso al sindacato delle Sezioni Unite per motivi inerenti alla giurisdizione attraverso la figura dell’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore, pur molte volte sollecitato, è rimasto privo di un reale riscontro e di un concreto seguito applicativo, e ciò a differenza di quanto è avvenuto e avviene con riguardo alla categoria dell’eccesso di potere giurisdizionale per invasione delle prerogative de ll’amministrazione.
Più ragioni cospirano in questa direzione: la presa d’atto che l ‘ errore di interpretazione, per quanto grave, difficilmente è riconducibile a un fenomeno di invasione delle prerogative proprie del legislatore, stante il carattere naturalmente ‘ creativo ‘ dell’attività interpretativa; la perimetrazione di questa forma di eccesso di potere giurisdizionale in un ambito, del tutto eccezionale, di formale produzione normativa inammissibilmente esercitata dal giudice; la diffusa convinzione che la norma è il frutto anche dell’interpretazione ad opera del giudice, il quale , nella ricerca del significato da attribuire all’enunciato linguis tico racchiuso nel testo di legge, non può non tener conto del contesto in cui l’intervento del legislatore va ad inserirsi ; la presa di coscienza che la legge non esaurisce, o non esaurisce più come in passato, lo spazio del giuridicamente rilevante e non consuma la via alla realizzazione del diritto e della giustizia e che l’interprete è una componente necessaria
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di quel processo di realizzazione , tanto più in un’epoca caratterizzata dalla pluralità delle fonti e dal dialogo tra le Corti.
L ‘eccezionalità del riscontro in concreto di tale tipologia di vizio non significa, tuttavia, che l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera del legislatore sia destinato a rimanere soltanto un’ ipotesi di scuola.
Del resto, le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 11 aprile 2023, n. 9659) hanno avuto occasione di precisare che il fraintendimento della disposizione, quale abnorme percezione dell’enunciato linguistico, frutto di una “lettura” della disposizione normativa che prescinde dagli strumenti interpretativi rivolti a farne emergere il significato, si traduce nella creazione di una norma giuridica altrimenti inesistente; pur dando atto che l’interpretazione sistematica di una disposizione di legge, rivolta a coglierne il significato più aderente al sistema normativo nel suo complesso alla luce della disciplina di settore e dei principi generali, costituisce funzione giurisdizionale e, esprimendo un tratto dell’interpretazione logica, non trasmoda mai in produzione normativa.
-In linea di massima, dunque, esula dall’eccesso di giurisdizione per invasione della sfera di competenza del potere legislativo l’attività di interpretazione di una disposizione di legge, anche ove la norma applicabile sia individuata non in base al tenore letterale della legge ma attraverso una interpretazione sistematica.
È innegabile che l’interpretazione della legge ha insito un margine di ‘creazione’ della regola del caso concreto. S e tale ‘creazione’ venisse stigmatizzata come invasione di campo, si perderebbe del tutto il confine tra violazione di legge e invasione della competenza legislativa. Questo confine deve essere preservato e mantenuto, come richiesto non solo dall’art. 111, settimo e ottavo comma, Cost., ma anche dall’assetto pluralistico, secondo la Costituzione, del sistema giurisdizionale italiano (artt. 24, 103, 113 e 135, primo comma, Cost.).
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Del resto, l’interpretazione, costituendo tipica funzione giurisdizionale, non trasmoda, per sua natura e finché resta tale, in legis positio . Come affermato da queste Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 9 settembre 2021, n. 24413), l’interpretazione giurisprudenziale non può che limitarsi a portare alla luce un significato precettivo (un comando, un divieto, un permesso) che è già interamente contenuto nel significante ( l’ insieme delle parole che compongono una disposizione) e che il giudice deve solo scoprire.
Tuttavia, un conto è ammettere che ogni atto di interpretazione contiene in sé un certo grado di creatività, e che il giudice, al quale è consentito di ricercare il significato delle disposizioni più consono alla ratio iuris , sia legittimato a spingersi fino a ricavare da ll’enunciato anche un significato meno prossimo di altri alla lettera, purché compreso nell’orizzonte di senso di quest’ultima; altro sarebbe affermare una totale libertà del giudice-interprete, senza tener conto della indefettibile centralità del Parlamento nel circuito di produzione normativa e del venire ‘ dopo ‘ dell’a tto interpretativo, con tutto quello che ciò comporta in termini di vincolo.
L’interprete integra, ma non innova, in un certo senso dichiara, ma non costituisce, e ciò a prescindere dall ‘ ampiezza e dalla portata della sua attività intellettiva, che non lambisce il terreno della volontà e dei giudizi di valore.
-Esiste almeno una ipotesi certa (che questa Corte regolatrice non ha mancato di ipotizzare nella citata ordinanza n. 23542 del 2015) di invasione del giudice nella sfera del legislatore, ed è quando il giudice disapplica una norma di legge che ritiene incostituzionale, senza rimettere la questione alla Corte costituzionale, così esercitando un non consentito sindacato diffuso di costituzionalità.
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Più in generale, la giurisprudenza di questa Corte ha proceduto ad individuare la nota di qualificazione in grado di far assurgere la violazione di legge a motivo inerente alla giurisdizione. Nella sentenza delle Sezioni Unite 23 dicembre 2014, n. 27341, si afferma infatti che, al fine di stabilire se la decisione del giudice speciale si sia limitata ad esercitare una consentita e doverosa attività di interpretazione della norma applicabile o abbia in realtà dato luogo alla creazione di una norma per l’innanzi inesistente, la valutazione richiesta postula che si definisca quale sia il limite della interpretazione, ovvero che si individui il limite oltre il quale l’attività interpretativa si trasforma in attività creativa, e quindi in una invasione della sfera riservata al legislatore. A tale proposito, le Sezioni Unite affermano che l’attività interpretativa è segnata dal limite di tolleranza ed elasticità del significante testuale, nell’ambito del quale la norma di volta in volta adegua il suo contenuto, in guisa da conformare il predisposto meccanismo di protezione alle nuove connotazioni, valenze e dimensioni che l’interesse tutelato nel tempo assume nella coscienza sociale, anche nel bilanciamento con contigui valori di rango superiore, a livello costituzionale o sovranazionale. Il confine ol tre il quale l’interpretazione giudiziale trasmoda in attività creativa e, quindi, in un’invasione dell e prerogative del legislatore, è segnato da quel limite di tolleranza, per la cui identificazione occorre tenere conto della capacità della norma giuridica di adeguare il proprio contenuto precettivo alle connotazioni, valenze e dimensioni che l’interesse con essa protetto assume nella coscienza sociale ne l corso del tempo.
Il confine è superato nei soli casi di radicale infedeltà del giudicante nei riguardi della disposizione di legge, realizzato attraverso il superamento del vincolo di soggezione alla legge (art. 101, secondo comma,
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Cost.), che si ha là dove il Consiglio di Stato o la Corte dei conti siano pervenuti all’approdo ermeneutico attingendolo fuori dal cerchio delle possibilità concesse dalla disposizione e dal suo sistema di riferimento.
Non è tanto il dato della direzione del potere giurisdizionale al conseguimento di un fine non giurisdizionale a costituire il fondamento del vizio di eccesso di potere, perché ciò che rileva è il contenuto del giudizio stesso, eccedente i poteri della giurisdizione ed implicante esercizio di potere legislativo.
-Si tratta di calare questi principi nel caso di specie, onde stabilire se ricada o meno nel perimetro dell’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera del legislatore la censura sollevata dal ricorrente.
-Muovendo dal rilievo che la norma vigente che avrebbe dovuto essere applicata dalla Corte dei conti -per effetto del sopravvenire, dopo la deliberazione ma anteriormente alla pubblicazione della sentenza di appello, della norma di interpretazione autentica -sarebbe il risultato della saldatura tra norma interpretata (il comma 10 dell’art. 6 della legge n. 240 del 2010) e norma interpretativa (il comma 2ter dell’art. 9 del decreto -legge n. 44 del 2023) ed esprimerebbe, quale unico significato, la possibilità per il professore universitario a tempo pieno di svolgere liberamente, senza necessità di previa autorizzazione, incarichi esterni di consulenza, il ricorrente sostiene che la diversa interpretazione da parte del giudice (ignaro della disposizione di interpretazione autentica), secondo cui tale attività di consulenza sarebbe soggetta alla previa autorizzazione dell’Ateneo, si risolverebbe nella creazione di una nuova norma non esistente nell’ordinamento. Poiché l’attività di interpretazione delle norme, come tale, non può superare quei limiti che si impongono nel suo svolgimento e che danno la misura della distinzione dei piani sui quali operano, rispettivamente,
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il legislatore e il giudice, quando questi limiti vengono superati si esce, ad avviso del ricorrente, dal campo dell’ error in iudicando e si sconfina in quello della produzione legislativa.
L’interrogativo che pone il ricorso è, quindi, se la mancata presa in considerazione, da parte della Corte dei conti, della norma di interpretazione autentica si risolva, eventualmente, in un errore di giudizio o sia causa di esorbitanza dai limiti esterni all’ordine giurisdizionale per sconfinamento nel campo dell’attività di produzione legislativa.
Ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata , eludendo l’intervento del legislatore e sostituendosi ad esso, avrebbe respinto l’appello in applicazione di una norma inesistente in quanto creata dal giudice.
-La prospettazione del ricorrente non può essere seguita.
-Occorre ricognitivamente ricostruire il quadro normativo di riferimento.
Come ha affermato la Corte costituzionale con l’ordinanza n. 3 del 2024, la legge n. 240 del 2010 è intervenuta sulla disciplina in materia di organizzazione delle università nonché di stato giuridico e reclutamento del personale accademico e ha delegato il Governo ad intervenire per incentivare la qualità e l’efficienza del sis tema universitario.
Con particolare riferimento ai regimi di incompatibilità previsti per i docenti universitari, essa ha distinto, rispettivamente, tra attività totalmente incompatibili, attività liberamente esercitabili e attività consentite previa autorizzazione del rettore.
Più precisamente, ha operato la seguente distinzione:
attività extra-istituzionali incompatibili con la carriera universitaria ( esercizio del commercio e dell’industria );
attività che i professori e i ricercatori a tempo pieno:
non possono svolgere (esercizio di attività libero-professionale);
possono svolgere liberamente anche con retribuzione senza necessità di autorizzazione (attività di valutazione e di referaggio, lezioni
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e seminari di carattere occasionale, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonché attività pubblicistiche ed editoriali);
c) possono svolgere previa autorizzazione del rettore (funzioni di didattica e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza, a condizione comunque che l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di appartenenza ).
Su tale normativa il legislatore è intervenuto con il citato decretolegge n. 44 del 2023, come convertito, incidendo sulla disciplina degli incarichi esterni dei professori e ricercatori universitari in regime di tempo pieno.
In particolare, con il comma 2bis dell’art. 9 del d ecreto-legge n. 44 del 2023, è stato aggiunto, all’art. 6 della legge n. 240 del 2010, il comma 10bis , con il quale si prevede la possibilità per i professori e i ricercatori a tempo pieno di svolgere, previa autorizzazione del rettore, incarichi senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici o privati anche a scopo di lucro, purché siano svolti in regime di indipendenza e purché sussistano talune specifiche condizioni negative (assenza di esercizio di poteri esecutivi individuali, di situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza e di detrimento per le attività didattiche, scientifiche e gestionali dalla stessa affidate).
Con il successivo comma 2ter , poi, è stata introdotta la, già richiamata, disposizione di interpretazione autentica avente ad oggetto il comma 10 dell’art. 6 della legge n. 240 del 2010, a norma della quale i l primo periodo del comma 10 dell’articolo 6 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, con specifico riferimento alle attività di consulenza, si interpreta nel senso che ai professori e ai ricercatori a tempo pieno è
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consentito lo svolgimento di attività extra-istituzionali realizzate in favore di privati o enti pubblici ovvero per motivi di giustizia, purché prestate senza vincolo di subordinazione e in mancanza di un’organizzazione di mezzi e di persone preordinata al loro svolgimento, fermo restando quanto previsto dall’articolo 23 -ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
13. -Non v’è dubbio che le leggi di interpretazione autentica sono rivolte a stabilire quale significato debba essere attribuito ad un enunciato legislativo previgente. Sono infatti di interpretazione autentica quelle leggi o quelle disposizioni che, riferendosi e saldandosi con altre disposizioni (quelle interpretate), intervengono esclusivamente sul significato normativo di queste ultime senza peraltro intaccarne o integrarne il dato testuale, chiarendone o esplicitandone il senso ove considerato oscuro ovvero escludendone o enucleando uno dei sensi ritenuti possibili al fine in ogni caso di imporre all’interprete un determinato significato normativo della disposizione interpretata.
Anche le leggi di interpretazione autentica, tuttavia, non si sottraggono alla interpretazione del giudice e alle prerogative dell’esegesi in funzione applicativa.
14. -Nella specie, il dato obiettivo è il silenzio della sentenza impugnata sulla norma sopravvenuta e sulla sua portata ai fini della decisione della causa. Ma il silenzio non è di per sé significativo di eccesso.
La sentenza impugnata non esprime un facimento dal nulla della regola del caso e la relativa motivazione dà conto dello svolgimento, da parte del giudice contabile, dal compito esegetico di attuazione-applicazione della legge nel caso concreto.
Si è, pertanto, al di fuori del superamento del confine delineato dall’art. 101, secondo comma, Cost.
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La Corte dei conti si è mossa in un ambito che non è quello della invenzione di norme inesistenti o del superamento dello ius positum .
L’appello è stato deciso sulla base della interpretazione di enunciati e testi normativi.
La Corte dei conti non ha aggirato o eluso i cancelli delle parole.
Nella sentenza impugnata, infatti, si dà atto che, con riferimento ai docenti universitari a tempo pieno, il quadro normativo in materia (art. 60 del del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; art. 11 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382; art. 53, comma 7, del d. lgs. n. 165 del 2001) pone a carico degli stessi un preciso obbligo di comunicazione all’Ateneo di richiesta di autorizzazione per l’espletamento di attività esterna, fermo restando il divieto di svolgere prestazioni per le quali sia normativamente prevista una incompatibilità assoluta. A salvaguardia del precetto costituzionale di esclusività del rapporto di pubblico impiego di cui all’art. 98 Cost., la ratio dell’obbligo comunicativo, infatti, è quella di porre l’amministrazione di appartenenza nella condizione di conoscere, preventivamente, la qualità e la quantità degli incarichi esterni di volta in volta espletati dal dipendente, anche per poter valutare eventuali conflitti di interesse con le funzioni istituzionali.
La sentenza richiama, in particolare, l ‘art. 11, comma 5, lett. a), del d.P.R. n. 382 del 1980, il quale stabilisce che ‘Il regime a tempo pieno: a) è incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività professionale e di consulenza esterna e con la assunzione di qualsiasi incarico retribuito e con l’esercizio del commercio e dell’industria; sono fatte salve le perizie giudiziarie …’. Il regolamento del RAGIONE_SOCIALE, a sua volta, all’art. 3 , comma 3, lett. h), prevede espressamente che ‘sono in oltre esclusi da preventiva autorizzazione, anche se è prevista la corresponsione di un compenso, i seguenti incarichi: … le perizie affidate dall’autorità giudiziaria’.
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Dal coordinamento delle suindicate norme, la Corte dei conti ha ricavato che sono compatibili con il regime a tempo pieno e liberamente espletabili, senza previa autorizzazione del r ettore del RAGIONE_SOCIALE, ‘le perizie giudiziarie’ e, cioè, esclusivamente quelle ‘affidate dall’autorità giudiziaria’.
Da tale quadro normativo i giudici contabili d’appello hanno tratto la libera esperibilità, in fattispecie e ai tempi di causa, delle sole consulenze tecniche d’ufficio , sul rilievo che l’indicazione specifica contenuta nel citato regolamento universitario ‘ è tale da non lasciare spazio ad alcun’altra interpretazione che non sia quella innanzi data’ .
La sentenza impugnata ha osservato, inoltre, che, anche prescindendo dal tenore della citata norma regolamentare, la giurisprudenza contabile ha più volte affermato che nella locuzione ‘perizie giudiziarie’ di cui all’art. 11 del d.P.R. n. 382 del 1980 debbano farsi rientrare solo le consulenze tecniche d’ufficio , con la conseguenza che anche l’incarico di consulente tecnico di parte è da ritenere parimenti astrattamente compatibile col regime a tempo pieno, ma previa autorizzazione del rettore del RAGIONE_SOCIALE per cui è causa.
La sentenza della Seconda Sezione giurisdizionale centrale d’appello ha rilevato, inoltre, che l’incompatibilità del regime a tempo pieno con lo svolgimento di attività libero-professionale è stata ribadita anche dall’art. 6 della legge n. 240 del 2010 che, sul punto specifico, non ha introdotto alcuna deroga e non poteva, quindi, all’epoca dei fatti di causa, essere foriera di alcun dubbio interpretativo al riguardo.
15. -D’altra parte, il silenzio della sentenza circa la norma di interpretazione autentica ben può costituire -come evidenziato dal Pro
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curatore generale controricorrente -la risultante di un vaglio di estraneità dei fatti di causa al raggio di operatività della sopravvenienza legislativa retroattiva.
È significativo , in proposito, il diritto vivente formatosi, nell’ambito del plesso giurisdizionale della Corte dei conti, sulla norma di interpretazione autentica, successivamente al deposito della sentenza oggetto dell’odierna impugnazione. Nella sentenza 24 maggio 2024, n. 155, ad esempio, la Terza Sezione centrale di appello della Corte dei conti afferma
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16. -Il ricorso, pertanto, pur evocando un eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera del legislatore, finisce, in sostanza, per dolersi di un error in iudicando del giudice dell’appello contabile. Ma il giudice contabile che si limita a male interpretare la legge non pone norme giuridiche, non esercita la funzione legislativa, ma solo commette violazione e falsa applicazione di legge.
Stabilire se il denunciato errore di giudizio ricorra, pertanto, è operazione che fuoriesce dai limiti che la Costituzione e le norme del codice assegnano al sindacato della Corte di cassazione sulle pronunce della Corte dei conti.
17. -Si tratta di un esito che al Collegio appare coerente con la giurisprudenza di questa Corte, la quale, in un caso di applicazione da parte del Consiglio di Stato di norma ritenuta dal ricorrente abrogata, ha statuito (con Cass., Sez. Un., 30 maggio 2022, n. 17467) che ‘ quanto alla lamentata invasione della sfera del legislatore, la decisione assunta dalla sentenza impugnata … non configura l’esercizio di un potere giurisdizionale creativo di una norma di legge, ma, semmai – in base proprio alla prospettazione di parte ricorrente circa la considerazione di un testo normativo non più vigente al momento dell’adozione del provvedimento impugnato -, dà evidenza all’applicazione di una disposizione di legge abrogata in luogo di quella vigente ratione temporis e, dunque, viene in rilievo come error in iudicando nella selezione della
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norma regolativa del ‘ fatto ‘ oggetto di cognizione giudiziale. Nondimeno, concreta pur sempre una tipica attività ermeneutica l’interpretazione fornita dal giudice di appello … nei termini adottati in sentenza, ove la disposizione stessa sia, invece, da assumere nel testo originario, siccome idoneo a somministrare la regula iuris pertinente ratione temporis al caso controverso ‘ .
-Il ricorso è inammissibile.
-Non vi è luogo a pronuncia sulle spese in favore del Procuratore generale della Corte dei conti, stante la sua posizione di parte in senso soltanto formale.
-Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, ricorrono i presupposti processuali per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile.
Dichiara che ricorrono i presupposti processuali per dare atto della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio dell’11 giugno 2024.