Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 1 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 1 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/01/2024
sul ricorso 3820/2023 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME Raffaele, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME DomenicoCOGNOME
-ricorrente –
contro
Ministero dell’ Istruzione e del merito, Notaro NOME;
– intimati – avverso il provvedimento n. 7682/2022 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 02/09/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/10/2023 dal consigliere COGNOME NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. Con sentenza 2 settembre 2022, il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello di NOME COGNOME nel contraddittorio con il Ministero dell’Istruzione e con NOME COGNOME avverso la sentenza del TAR, di reiezione della sua domanda di illegittimità della procedura concorsuale per Dirigenti Scolastici, bandita con decreto del Direttore Generale del Personale Scolastico del 23 novembre 2017, per non essere stata ammessa alla prova orale, pure avendo conseguito in quella scritta il punteggio di 65,60, più che sufficiente (secondo un parametro su base 6/10), ma non corrispondente a quello più elevato adottato con D.M. 3 agosto 2017 n. 138 e con successivo D.D.G. 23 novembre 2017.
2. In via di premessa, esso ha richiamato la previsione del bando di concorso del conseguimento nella prova scritta, per l’ammissione dei candidati a quella orale, di un punteggio superiore di un decimo alla sufficienza (pari a settanta/centesimi), non contrastante con quella dell’art. 400, undicesimo comma d. lgs. 297/94 (di un punteggio minimo, non ostativo all’introduzione di una soglia di ammissione più alta rispetto a quella parametrata sul punteggio di 6/10) e tuttavia limitativa -per il potenziamento della discrezionalità tecnica della Commissione -dell’ambito riservato alla cognizione del giudice amministrativo.
Il Consiglio di Stato ha quindi ritenuto adeguata la valutazione delle prove della candidata, in corretta applicazione dei criteri di selezione predeterminati dalla Commissione e il suo giudizio compiutamente giustificato nel punteggio assegnato alla predetta.
Ed infatti, l’articolazione della prova scritta in una serie di quesiti specifici ha comportato la coerente distinta valutazione di ciascuno; anche di quelli relativi alla prova di lingua straniera, vertenti su argomenti tecnici connessi alla qualificazione professionale richiesta.
Esso ha reputato una tale valutazione atomistica congruente con la ratio di una prova selettiva chiaramente finalizzata ad accertare la completezza della preparazione del candidato sull’intero programma di esame: come confermato dall’analiticità dei criteri di valutazione previsti nel Bando, non conciliabile con la doglianza di una valutazione complessiva, disattesa, della prova scritta.
Il Consiglio di Stato ha, infine, ritenuto la censura di ingiustizia e inattendibilità della scelta dei singoli quesiti e della valutazione delle risposte, da parte della Commissione (considerata anche la severità della relativa griglia di valutazione con la previsione di un punteggio minimo di 70/100), pertinente il merito della controversia, pertanto insindacabile in sede di legittimità.
Sul presupposto di una rilevata non pertinenza della motivazione, rispetto ai motivi formulati, per un mero refuso (in conseguenza di un verosimile scambio integrale di file o del foglio cartaceo di riferimento), la candidata ha quindi proposto un ricorso per correzione materiale della sentenza davanti allo stesso Consiglio di Stato.
Esso lo ha rigettato, con ordinanza del 7 febbraio 2023 n. 1308, sul rilievo della natura degli elementi prospettati, quali errori materiali, di censure avverso il procedimento valutativo osservato dalla motivazione della sentenza corrigenda.
Con atto notificato il 16 e 21 febbraio 2023, NOME COGNOME ha proposto ricorso a queste Sezioni Unite con un unico motivo; il Ministero dell’Istruzione e la controinteressata sono rimasti intimati , senza svolgere difese.
La ricorrente ha comunicato memoria finale.
CONSIDERATO CHE
1. La ricorrente ha dedotto violazione di legge in relazione agli artt. 2, 24, 111, ottavo comma Cost., 110 c.p.a., 362, primo e secondo comma, n. 1, 112 c.p.c., 6 CEDU e 47 Carta dei Diritti Fondamentali UE, per eccesso di potere giurisdizionale e diniego di giustizia, non essendo riferibile la sentenza impugnata, per ‘caso fortuito’ , al ricorso proposto e al suo thema decidendum e avendo poi l’ordinanza del Consiglio di Stato n. 1308 del 7 febbraio 2023, in esito a procedimento di correzione di errore materiale della sentenza impugnata (n. 7682 del 2 settembre 2022), deciso per l’inesistenza di un errore materiale della prima.
1.1. In particolare, la ricorrente si è lamentata, in riferimento:
a ) all’ordinanza del Consiglio di Stato n. 1308 del 7 febbraio 2023, per avere deciso, prescindendo dai motivi esposti e riferendosi addirittura all’antecedente sentenza del TAR Lazio n. 5890/2021;
b ) alla sentenza n. 7682 del 2 settembre 2022, per averle il Consiglio di Stato erroneamente attribuito un punteggio di prova di 65,60 anziché di 65,50 e ritenuto una propria censura alla sentenza del T.A.R. Lazio di supposta unitarietà del giudizio, anziché di sua atomizzazione, nonché l’insindacabilità in sede di legittimità della scelta dei quesiti e della valutazione delle risposte, in quanto oggetto di merito; non avendo invece esso fatto alcun cenno alla ripetuta richiesta di verificazione tecnica, sia nel ricorso principale, sia nelle memorie conclusive, sia in sede di discussione.
E ciò a fronte di un unico motivo in tema di congruità e ragionevolezza della valutazione ‘rispetto alla complessità dei criteri dati, fermo restando il principio del riscontro analitico rispetto a ciascuno dei quesiti, reietta ogni pretesa di valutazione omnicomprensiva, unitaria e sintetica degli stessi’ ; non avendo ella formulato alcuna doglianza per lo scrutinio unitario e non parcellizzato delle singole domande e
risposte e relative valutazioni, né per la formulazione dei quesiti. Così, in via conclusiva, prospettando un’ aberratio della sentenza rispetto al suo oggetto e alla volontà del Collegio, per scambio integrale del file o del foglio cartaceo di riferimento, rimediabile con il procedimento di correzione di errore materiale, infatti esperito.
Esso è inammissibile.
In relazione alla censura illustrata alla superiore lettera a ), deve essere ribadito che la pronuncia del Consiglio di Stato, che abbia provveduto alla correzione di un errore materiale, non integra, ancorché illegittima, un autonomo e nuovo esercizio del potere giurisdizionale e non è pertanto impugnabile con il ricorso per cassazione, in quanto tale violazione non investe i limiti esterni delle attribuzioni giurisdizionali del Consiglio di Stato (Cass. S.U. 21 gennaio 2010, n. 971).
Più articolato deve essere il ragionamento argomentativo relativo alla censura illustrata alla superiore lettera b ).
È noto, in via preliminare, che il contrasto delle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato con il diritto europeo non integri, di per sé, un eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile ai sensi dell’art. 111, ottavo comma Cost., atteso che anche la violazione delle norme dell’Unione europea o della CEDU dà luogo ad un motivo di illegittimità, sia pure particolarmente qualificata, che si sottrae al controllo di giurisdizione della Corte di cassazione; né può essere attribuita rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio, essendo tale valutazione, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriera di incertezze, in quanto affidata a valutazioni contingenti e soggettive (Cass. S.U. 11 novembre 2019, n. 29085; Cass. S.U. 6 marzo 2020, n. 6460).
D’altro canto, l’insindacabilità, da parte della Corte di cassazione a Sezioni Unite, per eccesso di potere giurisdizionale, ai sensi dell’art. 111, ottavo comma Cost., delle sentenze del Consiglio di Stato pronunciate in violazione del diritto dell’Unione europea, non si pone in contrasto con gli artt. 52, par. 1 e 47, della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea, in quanto l’ordinamento processuale italiano garantisce comunque ai singoli l’accesso a un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge, come quello amministrativo, non prevedendo alcuna limitazione all’esercizio, dinanzi a tale giudice, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione (Cass. S.U. 30 agosto 2022, n. 25503).
6. Queste Sezioni Unite hanno poi recentemente ribadito l’esclusione della ‘possibilità di configurare un concetto più ampio di giurisdizione, che consentirebbe ad esse di sindacare non solo le norme sulla giurisdizione, che individuano i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quelle che stabiliscono i limiti della forma di tutela attraverso l’interpretazione di una pronuncia assunta in violazione di un asserito giudicato, nei casi in cui la violazione dello stesso comporti un diniego di giustizia, evocandosi, in sostanza il concetto di giurisdizione, c.d. ‘dinamico’ (o ‘funzionale’ o ‘evolutivo’), avendo ritenuto sindacabile la violazione di legge (sostanziale o processuale) in relazione alla giurisdizione solo qualora sia conseg uenza di un’interpretazione «abnorme o anomala» (Cass. S.U. 20 maggio 2016 n. 10501), ovvero di uno «stravolgimento» (Cass. S.U. 17 gennaio 2017 n. 956) delle «norme di riferimento» (di rito o di merito: Cass. S.U. 17 gennaio 2017 n. 964; Cass. S.U. 11 maggio 2017 n. 11520). Infine, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 6 del 2018, ha chiarito che la concezione c.d. dinamica o evolutiva della giurisdizione «non è compatibile con la lettera e lo spirito della norma
costituzionale» (ai sensi dell’art. 111, settimo e ottavo comma, Cost.) e, in una prospettiva di sistema, mette in discussione la scelta di fondo dei costituenti dell’assetto pluralistico delle giurisdizioni. Secondo la Consulta, il rifiuto di giurisdizion e sindacabile è solo quello ‘in astratto’ e giammai ‘in concreto’, pena l’invasione nella nomofilachia del giudice di vertice della giurisdizione speciale, cui solo è rimessa la cognizione degli errores in iudicando o in procedendo. A norma dell’art. 111, ottavo comma Cost., quale supremo organo regolatore della giurisdizione, la Cassazione può soltanto vincolare il Consiglio di Stato e la Corte dei conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma non può vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione (Corte Cost. 12 marzo 2007 n. 77). Con la pronuncia n. 6 del 2018, la Consulta ha, quindi, affermato che l’«eccesso di potere giudiziario», denunziabile con il ricorso in Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, «va riferito … alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi(no) la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (c.d. invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi(no) sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (c.d. arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici». «Il concetto di controllo della giurisdizione, così delineato nei termini puntuali che ad esso sono propri – ha aggiunto la Corte costituzionale – non ammette soluzioni intermedie come quella … secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi in cui si sia in presenza di sentenze «abnormi» o
«anomale» ovvero di uno «stravolgimento», a volte definito radicale, delle «norme di riferimento»». Ha infatti precisato il Giudice delle leggi che «attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive». La Consulta ha, quindi, affermato che, «alla stregua del così precisato ambito di controllo sui «limiti esterni» alla giurisdizione, non è consentita la censura di sentenze con le quali il giudice amministrativo o contabile adotti un’interpretazione di una norma processuale o sostanziale tale da impedire la piena conoscibilità del merito della domanda» (Cass. S.U. 14 giugno 2019, n. 15992, in motivazione)’ . (Cass. S.U. 29 novembre 2022, n. 35055, in motivazione sub p.to 5; in senso conforme: Cass. S.U. 19 maggio 2023, n. 13785, in motivazione sub p.to 6).
7. Inoltre, posto che la pronuncia di rigetto del giudice amministrativo si esaurisce nella conferma del provvedimento impugnato e non si sostituisce all’atto amministrativo (conservando l’autorità che lo ha emesso tutti i poteri che avrebbe avuto se l’atto non fosse stato impugnato, eccetto la possibilità di ravvisarvi i vizi di legittimità ritenuti insussistenti dal giudice), non è ipotizzabile in tale tipo di pronuncia uno sconfinamento nella sfera del merito e quindi della discrezionalità e opportunità dell’azione amministrativa (Cass. S.U. 9 novembre 2001, n. 13927; Cass. S.U. 17 dicembre 2018, n. 32619)
8. Quanto poi alle valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici dei pubblici concorsi, inserite in un procedimento amministrativo complesso e dipendenti dalla valorizzazione dei criteri predisposti preventivamente dalle medesime commissioni, esse sono assoggettabili al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, qualora risultino affette da illogicità manifesta o travisamento del fatto
od irragionevolezza evidente o grave: vizio, quest’ultimo, che si configura anche quando la valutazione negativa sia stata conseguenza dell’attribuzione alla traccia di una prova di una portata delimitante i risultati ‘accettabili’ (sul piano della condivi sibilità tecnica della soluzione prospettata rispetto alla gamma di quelle in ipotesi attendibili) in termini indebitamente restrittivi (Cass. S.U. 21 giugno 2010, n. 14893; Cass. S.U. 9 maggio 2011, n. 10065). E senza che ciò comporti un’invasione della sfera del merito amministrativo, denunciabile con il ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione; né costituisca rifiuto di giurisdizione la valutazione, da parte del giudice amministrativo, di sufficienza e congruità degli accertamenti, connotati da un elevato tasso di discrezionalità tecnica, svolti dall’Amministrazione, atteso che la natura impugnatoria della giurisdizione generale amministrativa di legittimità non consente un’indagine diretta sulla materia controversa, prescindendo dal tramite dell’attività denunciata (Cass. S.U. 12 maggio 2017, n. 11804).
Più recentemente, è stato ribadito che le valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici dei pubblici concorsi sono assoggettabili al sindacato giurisdizionale di legittimità del giudice amministrativo, che può rilevarne l’irragionevolezza, l’arbitrio o la violazione del principio della ‘par condicio’ tra i concorrenti, senza che ciò comporti un’invasione della sfera del merito amministrativo, denunciabile con il ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione (Cass. S.U. 13 febbraio 2020, n. 3562, che ha affermato il principio enunciato con riferimento ad una fattispecie in cui la sentenza impugnata, pur dando atto dell’adeguata sintesi, operata dal punteggio numerico, del giudizio tecnico della Commissione, laddove siano stati adeguatamente predeterminati i criteri di massima ed i parametri per la loro attribuzione, ne aveva tuttavia ritenuto l’inidoneità ad assicurare
l’imparzialità nella valutazione dei candidati, a causa della loro estrema genericità).
Nel caso di specie, avendo il Consiglio di Stato rispettato i su enunciati principi di diritto, deve essere negata la sussistenza del denunciato vizio di eccesso di potere giurisdizionale e diniego di giustizia.
Dalle superiori argomentazioni discende allora l’inammissibilità del ricorso, senza alcun provvedimento sulle spese del giudizio, per non avere le parti intimate svolto alcuna attività difensiva e con il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2023