Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 35326 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 35326 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 983/2024 R.G. proposto da : CONDOMINIO RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in DOMICILIO DIGITALE studio dell’avvocato COGNOME NOME (CRBFNC68T20Z133U)
NOMECOGNOME@VENEZIAEMAILIT, presso lo che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COGNOME, elettivamente domiciliato in San Fior INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
CONSORZIO DI RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso SENTENZA di CONSIGLIO DI STATO ROMA n. 5574/2023 depositata il 06/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
Il Tar Veneto ha rigettato il ricorso proposto dal Condominio RAGIONE_SOCIALE per l’annullamento del provvedimento avente ad oggetto la revoca di una concessione consorziale n. 2039/94 rilasciata all’odierno ricorrente il 30 gennaio 1995, avente ad oggetto la realizzazione di una soletta di cemento di copertura di una canaletta irrigua, e la concessione, contestualmente rilasciata al Comune, per la realizzazione sul medesimo sito di una pista ciclabile.
Con sentenza del 6 giugno 2023 il Consiglio di Stato ha respinto l’ appello avverso la sentenza del Tar.
Il Condominio RAGIONE_SOCIALE ricorre per due mezzi, nei confronti del Consorzio di Bonifica del Veneto Orientale e del Comune di Eraclea.
– Il Comune di Eraclea resiste con controricorso, mentre il Consorzio di Bonifica del Veneto Orientale non spiega difese.
– Il ricorso contiene i seguenti motivi.
Primo motivo. Violazione degli articoli 3, 24, 11 comma 1 e 2, nonché 42 della Costituzione e degli articoli 1, 3, 7 e 21 quinques della l. 241/90. Violazione art. 110 Cpa. Motivo attinente alla giurisdizione sub specie del diniego di giurisdizione in relazione alla negazione di tutela alla posizione giuridica del Condominio.
Secondo motivo. Violazione degli articoli 3, 24, nonché 42 e 103 e 113 della Costituzione e degli articoli 1, 3, 7 e 21 quinques della l.
241/90. Violazione art. 110 Cpa. A) Eccesso di potere giurisdizionale. Violazione del principio di separazione dei poteri. B) Violazione dei principi del giusto processo. Error in iudicando . Mancanza dei requisiti di imparzialità e terzietà da parte del Consiglio di Stato. A) Eccesso di potere giurisdizionale. Violazione del principio di separazione dei poteri. B) Violazione dei principi del giusto processo. Error in iudicando . Mancanza dei requisiti di imparzialità e terzietà da parte del Consiglio di Stato.
3. – La prima presidente della Corte ha formulato la seguente proposta di definizione anticipata, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c.: « rilevato che il Consiglio di Stato ha respinto l’appello proposto dal Condominio RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto n. 813/2021, con la quale era stata rigettata l’impugnazione del provvedimento di revoca adottato il 6 aprile 2007 dal Consorzio di Bonifica del Basso Piave (ora Consorzio di bonifica del Veneto orientale) in relazione alla concessione demaniale della canaletta irrigua ‘Ossi’, con contestuale affidamento di tale bene al Comune di Eraclea, per ”priorità per pubblica utilità all’uso delle aree demaniali’, ovvero per realizzare una pista ciclabile pubblica al posto del camminamento pedonale riservato al Condominio; rilevato che il Consiglio di Stato ha affermato che le doglianze del Condominio, correlate al pregresso utilizzo della canaletta per circa dodici anni allo scopo di collegare il parco privato con piscina alla restante proprietà condominiale, non si rivelavano idonee a superare l’espressa originaria qualificazione di ‘concessione a titolo precario’ dell’area alla gestione condominiale, in attesa di una più meditata decisione circa la sua migliore destinazione urbanistica, da ultimo individuata con riferimento alla futura realizzazione di una pista pubblica ciclabile; rilevato che i giudici amministrativi hanno sostenuto che la originaria concessione, accettata dal Condominio Residence Plaza senza riserve, giacché appunto conformata come
precaria, era revocabile ad nutum senza particolari oneri motivazionali e procedimentali e senza indennizzo; considerato che i due motivi di ricorso denunciano la violazione degli artt. 3, 24, 42, 103, 111 commi 1 e 2 e 113 Cost., nonché degli artt. 1,3, 7 e 21quinquies della l.n. 241 del 1990, per diniego di giurisdizione in relazione alla negazione di tutela alla posizione giuridica soggettiva del Condominio RAGIONE_SOCIALE, ed ancora per eccesso di potere giurisdizionale, lesione dei principi della separazione dei poteri, del giusto processo e di correttezza e buona fede, ovvero per error in iudicando e mancanza di imparzialità e terzietà del Consiglio di Stato; rilevato che la sentenza del Consiglio di Stato risulta fondata sulla qualificazione della natura precaria della concessione della canaletta in favore del RAGIONE_SOCIALE, facendo derivare da tale natura del rapporto concessorio le conseguenze in ordine alla revocabilità ad nutum ed all’obbligo di motivazione della determinazione assunta dal concedente; rilevato che non hanno perciò consistenza le censure del ricorrente, non ravvisandosi nella sentenza impugnata alcun rifiuto dell’esercizio della giurisdizione amministrativa, ovvero alcuna erronea affermazione di estraneità della tutela della posizione soggettiva del concessionario alle attribuzioni giurisdizionali del giudice amministrativo, valendo le stesse censure, piuttosto, a prospettare errori in iudicando o in procedendo con riguardo alla qualificazione ed agli effetti del rapporto concessorio ed all’azionabilità in giudizio dei diritti e degli obblighi da esso derivanti; rilevato, pertanto, che la decisione del giudice amministrativo, la quale, come qui avvenuto, rigetti la domanda di annullamento del provvedimento di revoca di una concessione a titolo precario, interpretando la portata del rapporto concessorio e del vincolo da esso derivante in correlazione all’esercizio del potere di gestione dell’interesse pubblico che ha indotto alla revoca, non è viziata per eccesso di potere giurisdizionale, né è sindacabile per motivi inerenti alla
giurisdizione, giacché non eccede i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e si esaurisce nella conferma di quest’ultimo, senza sostituirsi ad esso, sicché neppure è ipotizzabile in tale pronuncia uno sconfinamento nella sfera del merito e quindi della discrezionalità e opportunità dell’azione amministrativa (Cass. sez. un. 7207 del 2019; n. 32619 del 2018); ritenuto, pertanto, che si ravvisa la manifesta infondatezza del ricorso ».
4. – Il Condominio RAGIONE_SOCIALE ha chiesto la decisione ai sensi del comma 2 dell’articolo 380 bis c.p.c. osservando quanto segue: « 3) A differenza di quanto indicato nella proposta, in realtà il Consiglio di Stato non ha ‘rigettato la domanda di annullamento del provvedimento di revoca della concessione a titolo precario, interpretando la portata del rapporto concessorio’. Se fosse vero che il Consiglio di Stato avesse interpretato la portata del rapporto concessorio, avrebbe dovuto esaminare in concreto il contenuto della concessione che costituisce la fonte unica di disciplina del rapporto giuridico e non dedurne il contenuto del rapporto dalla mera lettura della intestazione. 4) In particolare, l’interpretazione del rapporto concessorio, fondata sul contenuto del provvedimento, non avrebbe potuto prescindere da quanto espressamente previsto, ovverossia che la revoca potesse essere disposta soltanto qualora ‘fosse ritenuto necessario a tutela dei superiori interessi del Consorzio’ e non dunque di Enti Terzi, come il Comune di Eraclea. 5) In realtà nella sentenza non vi è alcuna interpretazione del contenuto del rapporto concessorio che si limita all’esame dell’intestazione del provvedimento e non esamina il suo concreto contenuto. In questo senso, si ritiene che sia stata negata al Condominio ogni forma di tutela giuridica basata sul contenuto proprio dell’atto amministrativo. E ciò si traduce, nella sostanza, per quanto riguarda il Giudice Amministrativo, in un diniego di giurisdizione. 6) Inoltre la pronuncia del Consiglio di Stato eccede i
limiti del riscontro di legittimità, in quanto è entrato nel merito della vicenda sostituendosi al Consorzio nella valutazione dell’interesse idoneo a fondare la revoca. Tant’è che il Consiglio di Stato afferma che la revoca è legittima essendo frutto ‘di un unico percorso decisionale del Comune volto al soddisfacimento di un interesse pubblico urbanistico’, finalizzato alla realizzazione della pista ciclabile. Ma questa è, dunque, la volontà del Comune e non del Consorzio, che non ha mai espresso questa volontà. Ciò configura il vizio di eccesso di potere giurisdizionale, in quanto il Consiglio di Stato si è sostituito al Consorzio nella valutazione dell’interesse del Consorzio medesimo posto a fondamento della revoca. Sostituzione resa evidente anche dal fatto che il Consorzio in tutti e due i gradi di giudizio è sempre rimasto contumace. 7) In particolare, il mero dispositivo di conferma, da parte del Consiglio di Stato, non è di per sé sufficiente ad affermare che non si sarebbero ecceduti i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e che non vi sarebbe stata alcuna sostituzione al Consorzio. Ed infatti la conferma della revoca da parte del Consiglio di Stato si fonda su una valutazione di puro merito dell’azione amministrativa che viene riferita all’interesse pubblico urbanistico del Comune e neppure ‘ai superiori interessi del Consorzio’. Di qui la fondatezza anche dell’eccesso di potere giurisdizionale ».
– Il Procuratore generale ha depositato memoria con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Ragioni della decisione
6. – Il ricorso è inammissibile.
6.1. – Secondo un orientamento ormai costante di queste Sezioni Unite, il ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato, in applicazione dell’ottavo comma dell’articolo 111 della Costituzione, è ammesso nel solo caso in cui la sentenza del giudice amministrativo abbia violato l’ambito della giurisdizione in
generale, esercitando la giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, negando la giurisdizione sull’erroneo presupposto che la domanda non possa formare oggetto, in modo assoluto, della funzione giurisdizionale, ovvero, ancora, qualora abbia violato i cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, o negandola o compiendo un sindacato di merito, pur trattandosi di materia attribuita alla propria giurisdizione, limitatamente al solo controllo di legittimità degli atti amministrativi, così da invadere arbitrariamente il campo dell’attività riservata alla pubblica amministrazione.
Tale orientamento si armonizza con la nota pronuncia dalla Corte costituzionale numero 6 del 2018, che ha negato la configurabilità di un concetto ampio di giurisdizione (cosiddetto «dinamico», o «funzionale», o «evolutivo»), secondo cui rivelerebbero non solo le norme sulla giurisdizione dettate ai fini dell’individuazione dei «presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale», ma anche quelle che stabiliscono «le forme di tutela» attraverso cui la giurisdizione si estrinseca e, quindi, la violazione di legge in relazione alla giurisdizione, ogni qual volta ricorrano interpretazioni «abnormi o anomale», ovvero uno «stravolgimento» delle «norme di riferimento». Il giudice delle leggi ha in particolare affermato che «la tesi che il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione … comprenda anche il sindacato su errores in procedendo o in iudicando non può qualificarsi come una interpretazione evolutiva, poiché non è compatibile con la lettera e lo spirito della norma costituzionale». La nozione di controllo di giurisdizione così delineata, «nei termini puntuali che ad essa sono propri, non ammette soluzioni intermedie …, secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi in cui si sia in presenza
di sentenze ‘abnormi’ o ‘anomale’ ovvero di uno ‘stravolgimento’, a volte definito radicale, delle ‘norme di riferimento’».
La ricostruzione che precede è stata condivisa dalla giurisprudenza successiva, che ha anzi evidenziato trattarsi «di riaffermazione di principi già enunciati dalle Sezioni Unite» (Cass., Sez. Un., n. 20529 del 2018), sicché la nozione di «motivi di giurisdizione» va letta in coerenza con quella esplicitata dalla Corte costituzionale (Cass., Sez. Un., n. 31023 del 2019), la cui decisione esercita «carattere vincolante, dato che essa ha identificato gli ambiti dei poteri attribuiti alle differenti giurisdizioni dalla Costituzione, nonché i presupposti ed i limiti del ricorso ex art. 111 Cost., comma 8, così decidendo una questione che involge l’interpretazione di norme costituzionali e identificazione dei confini tra poteri da queste stabiliti … che non può non spettare alla Corte costituzionale, quale interprete ultimo delle norme costituzionali» (Cass., Sez. Un., n. 15338 e 15744 del 2019».
Dopodiché, le decisioni nel medesimo senso sono state innumerevoli. È stato ribadito che il sindacato delle Sezioni Unite «esercitato sulle sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti ha per oggetto l’osservanza dei soli limiti esterni della giurisdizione (a fronte di pronuncia su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale), non già dei suoi limiti interni, che ricomprendono, in genere, gli errori in iudicando o in procedendo , ossia le violazioni delle norme sostanziali o processuali, che pertanto non costituiscono vizio attinente alla giurisdizione …, ancorché si siano concretati in violazioni dei principi del giusto processo consacrati nel novellato art. 111 Cost. In particolare, alla luce della pronuncia della Corte costituzionale n. 6/2018 …, “il sindacato della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione concerne le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per “invasione” o “sconfinamento” nella sfera riservata ad altro potere dello Stato ovvero per
“arretramento” rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale, nonché le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, le quali ricorrono quando la Corte dei Conti o il Consiglio di Stato affermino la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro giudice o la neghino sull’erroneo presupposto di quell’attribuzione. L’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore è configurabile solo allorché il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, e non invece quando si sia limitato al compito interpretativo che gli è proprio, anche se tale attività ermeneutica abbia dato luogo ad un provvedimento “abnorme o anomalo” ovvero abbia comportato uno “stravolgimento” delle “norme di riferimento”, atteso che in questi casi può profilarsi, eventualmente, un error in iudicando , ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione” … Il controllo del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111 Cost., comma 8, affida alla Corte di cassazione – non include quindi il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori in iudicando o in procedendo , senza che rilevi la gravità o intensità del presunto errore di interpretazione, il quale rimane confinato entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa, considerato che l’interpretazione delle norme costituisce il proprium distintivo dell’attività giurisdizionale» (Cass., Sez. Un., 2 maggio 2023, n. 11444).
6.2. – Risulta dunque fuor di luogo la insistita deduzione del mancato esame in concreto del contenuto della concessione, in particolare laddove essa avrebbe contemplato la possibilità di disdetta pattizia, da parte del Consorzio, «solo qualora ‘ritenuto necessario a tutela dei superiori interessi del Consorzio” … In altre parole, la ‘disdetta pattizia’ avrebbe potuto essere esercitata solo
a tutela di superiori interessi del Consorzio e non di terzi (qual è il Comune)».
Il punto è stato difatti esaminato dal primo giudice, il quale ha ritenuto che «la concessione della canaletta irrigua per cui è causa era stata rilasciata dal Consorzio al Condominio ricorrente a titolo precario ed era revocabile ad nutum e senza indennizzo». Di qui il Tar ha tratto la conseguenza che: «La comunicazione della volontà di non proseguire il rapporto non è affatto caratterizzata dalla valutazione necessaria dell’interesse pubblico, ben potendo essere determinata, in concreto, da altre ragioni. In altri termini, l’interesse pubblico enunciato dall’amministrazione non rappresenta il presupposto della disdetta, ma costituisce, semplicemente, uno dei motivi, di per sé non rilevante nell’ambito del rapporto tra amministrazione e gestore, della determinazione assunta dal concedente». E cioè il Tar ha affermato che la disdetta poteva essere intimata indipendentemente dalla circostanza che ciò fosse «ritenuto necessario a tutela dei superiori interessi del Consorzio».
Tale lettura è stata poi condivisa dal Consiglio di Stato, il quale ha osservato che «la concessione in esame, conferita, ed accettata dal Condominio senza riserve, con la descritta conformazione precaria, era revocabile ad nutum senza particolari oneri motivazionali e procedimentali e senza indennizzo. Da ciò deriva che l’atto impugnato non aveva bisogno di fondarsi su una motivazione espressamente prevista pattiziamente e, in generale, di alcuna specifica motivazione e che l’esercizio di una potestà riconosciuta pattiziamente non può integrare la violazione dei criteri generali di correttezza e di buona fede …».
Non corrisponde dunque al vero – indipendentemente dal rilievo di simile ipotetica mancanza – che il giudice amministrativo non abbia esaminato in concreto del contenuto della concessione: con doppia conforme ha posto l’accento sul suo carattere di precarietà, traendone le conseguenze già menzionate. Ed in ciò,
evidentemente, non v’è alcun diniego di giurisdizione: il giudice amministrativo ha rigettato l’impugnazione, disattendendo motivatamente la prospettazione del Condominio ricorrente e ritenendo che la disdetta della concessione non richiedesse «una motivazione espressamente prevista pattiziamente»; val quanto dire che, sotto la veste della denuncia del diniego di giurisdizione, il ricorrente ha semmai, nella sostanza, dedotto un supposto error in iudicando non sindacabile da queste Sezioni Unite.
Quanto poi allo straripamento nel merito amministrativo, valgono considerazioni analoghe: il Consiglio di Stato non si è cimentato in valutazioni riservate all’amministrazione, ma si è limitato a condividere l’interpretazione della concessione già accolta dal Tar, che aveva reputato tale concessione, atteso il suo carattere precario, revocabile ad nutum , senza cioè alcun obbligo motivatorio rapportato ad un qualche interesse pubblico individuato dal concedente. Sicché, in definitiva, nulla rileva che il Consiglio di Stato abbia anche rilevato, ad abundantiam , che un tale interesse pubblico era stato in realtà anche scrutinato.
7. – Il ricorso è dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza, come pure l’applicazione dell’articolo 96 c.p.c. con la duplice statuizione ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 380 bis c.p.c.. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
PER QUESTI MOTIVI
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente Comune di Eraclea, delle spese sostenute per questo giudizio, liquidate in complessivi € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, ed inoltre al pagamento, in favore del controricorrente, della somma di € 3.000,00, nonché, in favore della cassa delle ammende, di quella di € 2.000,00, dando atto, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, articolo
13, comma 1 quater , che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis .
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2024.