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Eccesso di potere giurisdizionale: i limiti del giudice

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha dichiarato inammissibile un ricorso per eccesso di potere giurisdizionale. Il caso riguardava una procedura di project financing per un’infrastruttura strategica, in cui il promotore aveva esercitato il diritto di prelazione. Il Consiglio di Stato aveva annullato l’aggiudicazione, interpretando restrittivamente la nozione di ‘medesime condizioni’. La Cassazione ha stabilito che l’attività interpretativa del giudice amministrativo, anche se discutibile, non costituisce eccesso di potere giurisdizionale, in quanto non invade la sfera legislativa creando nuovo diritto, ma rientra nella sua funzione propria. L’appello era inoltre inammissibile per la formazione di un giudicato implicito sulla giurisdizione.

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Eccesso di Potere Giurisdizionale: Quando il Giudice Supera i Propri Limiti?

L’eccesso di potere giurisdizionale rappresenta una delle questioni più delicate nel nostro ordinamento, segnando il confine tra la funzione interpretativa del giudice e l’invasione della sfera riservata al legislatore. Una recente ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha offerto un’importante occasione per ribadire i paletti di questo concetto, analizzando un complesso caso nato da una procedura di project financing per un’infrastruttura strategica nazionale. Vediamo nel dettaglio i fatti e i principi affermati dalla Corte.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla procedura per l’affidamento di una concessione per un Piano Strategico Nazionale, avviata tramite project financing. Due raggruppamenti temporanei di imprese (RTI) partecipavano alla gara: il primo, promotore dell’iniziativa, e il secondo, concorrente.

Inizialmente, l’amministrazione aggiudicava la gara al secondo RTI. Tuttavia, il primo RTI, in qualità di promotore, esercitava il diritto di prelazione previsto dall’art. 183 del Codice dei Contratti Pubblici, impegnandosi a rispettare le condizioni tecniche ed economiche offerte dall’aggiudicatario. Di conseguenza, la stazione appaltante revocava la prima aggiudicazione e affidava la concessione al promotore.

Il secondo RTI impugnava questa decisione davanti al TAR, che accoglieva il ricorso, e successivamente la questione giungeva al Consiglio di Stato. I giudici amministrativi d’appello confermavano l’illegittimità dell’aggiudicazione al promotore, ritenendo che quest’ultimo non avesse garantito l’assoluta identità delle condizioni offerte, modificando alcuni aspetti tecnici dell’offerta.

La Questione dell’Eccesso di Potere Giurisdizionale

Contro la sentenza del Consiglio di Stato, la società pubblica appaltante proponeva ricorso per cassazione, lamentando un eccesso di potere giurisdizionale. Secondo la ricorrente, il Consiglio di Stato non si era limitato a interpretare la norma sul diritto di prelazione, ma aveva di fatto creato una nuova regola, più restrittiva di quella voluta dal legislatore. Sostanzialmente, il giudice amministrativo avrebbe trasformato il principio di ‘equivalenza’ delle condizioni in un principio di ‘assoluta identità’, invadendo così la sfera di attribuzioni del potere legislativo.

La tesi era che, interpretando in modo così rigido il concetto di ‘medesime condizioni’, il giudice avesse esercitato un potere normativo che non gli competeva, sindacando atti (l’esercizio della prelazione) che appartenevano ormai alla fase esecutiva del rapporto, regolata da diritti soggettivi e di competenza del giudice ordinario.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

Le Sezioni Unite hanno dichiarato il ricorso inammissibile per due ordini di ragioni.

1. Il Giudicato Implicito sulla Giurisdizione

In primo luogo, la Corte ha rilevato che la questione della giurisdizione del giudice amministrativo non era stata contestata in appello davanti al Consiglio di Stato. Poiché il TAR si era pronunciato nel merito, aveva implicitamente affermato la propria giurisdizione. La mancata impugnazione di questo punto in appello ha determinato la formazione di un ‘giudicato implicito’ sulla questione, che non poteva più essere sollevata in sede di legittimità.

2. La Distinzione tra Interpretazione ed Eccesso di Potere

Il punto centrale della decisione riguarda la nozione di eccesso di potere giurisdizionale. La Cassazione ha ribadito il suo consolidato orientamento: tale vizio si configura solo in casi estremi e marginali, ovvero quando il giudice:
– Applica una norma da lui stesso creata (ius novum) e non una norma esistente.
– Sconfina nelle attribuzioni di un altro potere dello Stato, tipicamente quello legislativo.

Nel caso di specie, il Consiglio di Stato non ha inventato una nuova regola. Ha semplicemente interpretato il dettato normativo dell’art. 183 del d.lgs. 50/2016, che richiede l’adempimento delle obbligazioni contrattuali alle ‘medesime condizioni’ offerte dall’aggiudicatario. L’aver interpretato ‘medesime’ come ‘stesse’ o ‘identiche’ piuttosto che ‘equivalenti’ è un’operazione ermeneutica che rientra a pieno titolo nel proprium della funzione giurisdizionale.

Un’interpretazione che la parte ritiene errata, abnorme o persino stravolgente, costituisce, al più, un error in iudicando (errore di giudizio), ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione. L’attività ricostruttiva del sistema normativo è il cuore del lavoro del giudice; l’eventuale errore commesso in questa attività non può trasmodare in un eccesso di potere giurisdizionale sindacabile dalle Sezioni Unite.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione rafforza un principio fondamentale per l’equilibrio tra i poteri dello Stato. La soglia per denunciare un eccesso di potere giurisdizionale è altissima e non può essere confusa con una critica, per quanto fondata, all’interpretazione di una norma. La decisione del giudice amministrativo, che ha svolto la sua attività ermeneutica per individuare la norma applicabile e il suo significato, rimane confinata all’interno della giurisdizione amministrativa. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Che cos’è l’eccesso di potere giurisdizionale secondo la Cassazione?
L’eccesso di potere giurisdizionale si verifica solo quando un giudice non si limita a interpretare una norma esistente, ma ne crea una nuova, invadendo così la sfera di competenza del potere legislativo. Non si configura se il giudice compie un errore interpretativo, anche grave, poiché l’interpretazione della legge è la sua funzione propria.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per due motivi principali: primo, si era formato un ‘giudicato implicito’ sulla giurisdizione del giudice amministrativo, poiché la questione non era stata contestata in appello; secondo, l’operato del Consiglio di Stato è stato qualificato come mera attività interpretativa della legge, che non costituisce eccesso di potere giurisdizionale.

È possibile contestare l’interpretazione di una norma data da un giudice come motivo di giurisdizione?
No. Secondo la Corte, l’erronea interpretazione di norme sostanziali non costituisce un motivo di giurisdizione, ma un potenziale error in iudicando (errore di giudizio). La contestazione dell’interpretazione rientra nei limiti interni della giurisdizione e non può essere usata per sostenere che il giudice abbia ecceduto i suoi poteri, a meno che non abbia creato una regola di diritto del tutto nuova e non desumibile dal sistema.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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