Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 13081 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 13081 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/05/2025
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 10384/24 proposto da:
-) COGNOME NOME , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
-) Ministero della Difesa , in persona del ministro pro tempore , e Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, in persona del Comandante Generale pro tempore , elettivamente domiciliati all’indirizzo PEC del proprio difensore, difes i dall’Avvocatura Generale dello Stato ;
– controricorrenti –
nonché
-) Direzione Generale per il personale Militare del Ministero della Difesa ;
– intimata – udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 gennaio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME viste le conclusioni scritte della Procura Generale, in persona dell’Avvocato Generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
Oggetto: giurisdizione interpretazione della legge eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nelle attribuzioni del legislatore presupposti.
FATTI DI CAUSA
L’esposizione dei fatti sarà limitata alle sue circostanze ancora rilevanti in questa sede.
Il ricorrente, generale dei Carabinieri in congedo, fondò un movimento politico. Nel corso dell’anno 2017, nella veste di fondatore e leader di tale movimento, pubblicò in varie forme proclami ed inviti rivolti alle forze dell’Ordine ed al Presidente della Repubblica affinché sciogliessero le Camere, ritenute composte da membri divenuti illegittimi, per effetto della sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale d’una legge elettorale.
Per questi fatti il Comandante dell’Arma dei Carabinieri con nota del 27.12.2017 chiese che il generale fosse sottoposto a procedimento disciplinare , consentito dall’ordinamento di settore anche nei confronti del personale in congedo.
Il 12.3.2018 il Direttore della Direzione Generale del Personale Militare del Ministero della Difesa chiese che si procedesse ad ‘ inchiesta formale’ .
Fu nominato l’Ufficiale Inquirente il quale a conclusione del procedimento con atto del 26.4.2018 contestò al ricorrente odierno la violazione dei doveri di cui agli artt. 712, 713, 714, 717, 732 del Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90) , valutati ai sensi dell’art. 1355 cod. ord. mil..
Il procedimento si concluse con provvedimento del Direttore della suddetta Direzione Generale che irrogò all’incolpato la sanzione della sospensione disciplinare ‘ dalle funzioni del grado ‘ per un anno.
Il provvedimento fu impugnato dinanzi al TAR per il Lazio, sede di Roma, che con sentenza 28.6.2021 n. 7678 accolse il ricorso. Il giudice amministrativo ritenne che i fatti addebitati all’incolpato costituissero espressione del diritto di propaganda politica, né potevano ingenerare nel pubblico l’opinione che fossero riconducibili all’Arma dei Carabinieri.
La sentenza fu impugnata dal Ministero della Difesa.
Il Consiglio di Stato, sez. II, con sentenza 9689 del 2023 ha accolto l’appello e rigettato l’impugnazione del provvedimento sanzionatorio.
Per pervenire alla propria decisione il Consiglio di Stato ha rigettato l’eccezione pregiudiziale di rito, con cui l’ odierno ricorrente aveva contestato la tardività della contestazione disciplinare.
L ‘appellato eccepì, a tal riguardo, che la contestazione disciplinare doveva essere formulata entro 60 giorni dalla conclusione degli accertamenti preliminari . Ad avviso dell’incolpat o tale data andava ravvisata nel 27.12.2017, giorno della richiesta di avvio dell’ inchiesta formale avanzata dal Comandante dell’Arma.
Il Consiglio di Stato, invece, ha ritenuto che gli accertamenti preliminari dovessero ritenersi conclusi non nel momento in cui il comandante dell’Arma aveva chiesto al Direttore Generale del Ministero l’avvio dell’inchiesta formale (27.12.2017), ma nel successivo momento in cui il Direttore Generale del Ministero aveva ordinato che il generale in congedo fosse sottoposto ad inchiesta formale (12.3.2018).
La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione dal soccombente con ricorso articolato su un motivo.
Il Ministero della Difesa ha resistito con controricorso.
Con atto 4.7.2024 il Primo Presidente della Corte di cassazione ha proposto che il ricorso fosse dichiarato inammissibile, ex art. 380 bis c.p.c.. Il ricorrente ha ritualmente insistito per la decisione, e depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso è denunciato il vizio di eccesso di potere giurisdizionale.
Il ricorrente sostiene che il Consiglio di Stato ha rigettato la sua eccezione di tardività della contestazione sulla base di una norma inesistente e creata ad hoc dall’organo giudicante.
1.1. Il motivo è manifestamente inammissibile, come correttamente segnalato dalla Procura Generale.
Il Consiglio di Stato infatti non ha ‘creato’ alcuna norma inesistente. Ha semplicemente stabilito come dovesse interpretarsi l’art. 1392 del codice dell’ordinamento militare.
Si sarebbe potuto sostenere che il Consiglio di Stato avesse deciso il ricorso sulla base d’una norma inesistente se – ad es. – avesse dichiarato una decadenza non prevista da alcuna norma, oppure se avesse attribuito agli organi preposti alla contestazione disciplinare poteri o facoltà extra legem .
Non questo è il caso che oggi ci occupa: la questione dibattuta tra le parti era una normale questione di interpretazione della legge, come quotidianamente vengono sottoposte a qualsiasi ufficio giudiziario.
E l’interpretazione della legge processuale o procedimentale non costituisce un vizio concernente l’esercizio della giurisdizione , salvo il solo, estremo caso in cui il giudice, nell’interpretare la legge, si spinga a ricavarne un enunciato ‘ non compreso nell’orizzonte di senso di quest’ultima ‘ , vale a dire nei casi di ‘ radicale infedeltà del giudicante nei riguardi della disposizione di legge ‘ (così, con ampia motivazione, Cass. Sez. U., 09/07/2024, n. 18722).
1.2. Né sussistono i sospetti di illegittimità costituzionale paventati dal ricorrente nella memoria depositata ex art. 380 bis c.p.c..
Il ricorrente sostiene che, se non gli fosse consentito impugnare in questa sede la sentenza del Consiglio di Stato, la parte non avrebbe alcuno strumento di tutela per rimediare ad una sentenza ‘gravemente erronea’.
Ad argomenti di questa caratura è agevole replicare che, come ravvisabile in ogni ordinamento, i mezzi di impugnazione non sono inesauribili, e che nell’ordinamento attuale due gradi di giudizio amministrativo costituiscono adeguato strumento di tutela dei diritti delle parti.
1.3. Qualunque sospetto di illegittimità costituzionale, in ogni caso, è impedito dalla insussistenza del presupposto della rilevanza, che il ricorrente fonda sull’assunto della ‘ manifesta erroneità’ della sentenza impugnata. Erroneità insussistente, dal momento che – lo si rileva incidenter tantum al solo fine dell’esame della prospettata questione di legittimità costituzionale – correttamente il Consiglio di Stato ha ravvisato il dies a quo del termine per la contestazione disciplinare nel termine degli accertamenti preliminari, e gli accertamenti preliminari potevano essere solo quelli compiuti dal Direttore Generale del Ministero, quale autorità competente ratione materiae in considerazione del grado dell’incolpato, ex art. 1392 d. lgs. 66/2010 (cfr. in tal senso, Cons. Stato, sez. IV, 21.1.2020 n. 484).
1.4. Va, infine, dichiarata la irricevibilità della ‘memoria’ redatta dalla parte ed allegata alla memoria ex art. 380 bis c.p.c., dal momento che in questa sede non è consentita la difesa personale della parte.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
La conformità tra la presente decisione e la proposta di definizione anticipata comporta la condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 96, commi terzo e quarto, c.p.c..
P.q.m.
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione in favore del Ministero della Difesa e del comando generale dell’Arma dei Carabinieri, in solido, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 5.800, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
condanna NOME COGNOME al pagamento in favore del Ministero della Difesa e del comando generale dell’Arma dei Carabinieri, in solido, della somma di euro 5.600 ex art. 96, comma terzo, c.p.c.;
condanna NOME COGNOME al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro 3.000 ex art. 96, comma quarto, c.p.c..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili della