Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 15409 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 15409 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 13554-2023 proposto da:
NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME ed COGNOME NOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE ADRANO, UFFICIO CENTRALE ELETTORALE DI ADRANO, PREFETTURA DI CATANIA, UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI CATANIA, COMUNE DI ADRANO, COGNOME NOME, COGNOME NOME, SCARDINA COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME VINCENZA, COGNOME NOME, COGNOME NOME;
Oggetto
RIC. CONTRO DECISIONI DI GIUDICI SPECIALI
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 27/02/2024
CC
– intimati –
avverso la sentenza n. 1320/2022 del RAGIONE_SOCIALE, depositata il 27/12/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME, nella qualità di cittadino del Comune di Adrano e di candidato alle elezioni del sindaco della stessa città nella tornata del 10-11 ottobre 2021 e nel turno di ballottaggio del 24-25 ottobre 2021 nonché di sindaco eletto , adiva il giudice amministrativo chiedendo l’annullamento: a) del verbale di proclamazione degli eletti al RAGIONE_SOCIALE comunale di Adrano redatto dall’Ufficio centrale elettorale; b) della proclamazione fatta il 22 novembre 2021 e degli altri atti presupposti e/o connessi e ove necessario del verbale dell’Ufficio centrale elettorale, tutti nella parte in cui non avevano attribuito alle liste collegate al candidato sindaco risultato eletto il premio di maggioranza stabilito dall’art. 4, comma 6, l. r. n. 35/1997; chiedeva, altresì, la conseguente correzione dei risultati elettorali e la proclamazione dei nuovi consiglieri che dovevano ritenersi, ora, eletti. A fondamento della domanda deduceva che la mancata attribuzione del premio di maggioranza, motivata dal ricorrere nella fattispecie dell’ipotesi di cui all’art. 4, comma 6, l. r. Sicilia n. 35/1997 (alla stregua del quale l’attribuzione del premio di maggioranza è possibile «sempreché nessun’altra lista o gruppo di liste collegate abbia già superato il 50 per cento dei voti validi»), era frutto dell’errato computo del totale dei voti
validi sulla base del quale andava verificato il superamento della soglia del cinquanta per cento da parte di una lista o gruppo di liste collegate; l’Ufficio elettorale aveva, infatti, depurato dal totale dei voti di lista validi i suffragi attribuiti alle liste escluse dalla ripartizione dei seggi per non avere queste raggiunto la soglia di sbarramento del cinque per cento, soglia inserita con l’introduzione del comma 3-bis nell’art. 4 della l. r. Sicilia n. 35/1997, dall’art. 15 l. r. Sicilia n. 22/2008, poi modificato dall’art. 8 l. r . Sicilia n. 6/2011. Secondo il ricorrente, la operazione di ‘scomputo’, grazie alla quale le liste collegate al candidato sindaco non eletto risultavano avere superato la soglia dei del cinquanta per cento dei voti validi, conseguendone la preclusione all’attribuzione del premio di maggioranza alle liste collegate all’eletto COGNOME, non doveva ritenersi consentita in quanto frutto della errata applicazione dell’art. 4, comma 6, della l. r . Sicilia n. 35/1997, e dell’art. 73, comma 10, d.lgs. n. 267/2000. Sosteneva, infatti, che l’unica interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina di riferimento, poiché idonea a coniugare i principi di rappresentanza politica e di buon andamento delle istituzioni, imponeva il calcolo di tutti i voti espressi, esclusi solo voti e schede bianchi e nulle.
Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania, respingeva il ricorso.
Il RAGIONE_SOCIALE ha confermato la decisione osservando che lo scomputo dai voti validi dei suffragi attribuiti alle liste escluse dalla ripartizione dei seggi per non avere raggiunto la soglia di sbarramento del cinque per cento era conforme alla norma di interpretazione autentica introdotta dall’art. 6 l. r. Sicilia 6/2011 secondo la quale «il comma 6 dell’articolo 4 ed il comma 7 dell’articolo 7 della legge regionale 15 settembre 1997, n. 35 e
successive modifiche ed integrazioni, si interpretano nel senso che ai fini dell’attribuzione del premio di maggioranza non sono computabili i voti espressi per le liste che, ai sensi del comma 3 bis dell’articolo 4 e del comma 4 bis dell’articolo 7, non sono ammesse all’assegnazione di seggi»; ha ulteriormente osservato che la norma di interpretazione autentica non appariva né irragionevole né in violazione dei principi multilivello, configurandosi la disciplina che regola l’elezione delle amministrazioni comunali in Sicilia quale ragionevole punto di equilibrio tra l’ineludibile esigenza di garantire la libertà e parità di valore del voto dei cittadini e l’esigenza di dare vita ad Amministrazioni stabili. Sulla scorta di tali argomentazioni ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per contrasto della norma di interpretazione autentica con gli artt. 1, 2, 3, 18, 48, 49, 94 e 97 Cost. formulata dall’odierno ricorrente.
NOME COGNOME chiede la cassazione della decisione per violazione dei limiti esterni della giurisdizione sulla base di un articolato motivo, illustrato con memoria; gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Il P.G. ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RAGIONI COGNOMEA DECISIONE
Con unico motivo parte ricorrente deduce nullità ed illegittimità della sentenza impugnata nel capo relativo alla decisione sulla questione di legittimità costituzionale per difetto assoluto di attribuzione ex artt. 360, n. 1 e 362 c.p.c. nonché, ex art. 111, comma 8 Cost., per eccesso di potere giurisdizionale e per violazione e falsa applicazione dell’art. 134 Cost., dell’art. 1 legge cost. n. 1/1948 e dell’art. 23 l. n. 87/1953. Premette che
con la sentenza impugnata il RAGIONE_SOCIALE di giustizia amministrativa, in relazione alla prospettata questione di costituzionalità, non si era limitato alla valutazione di manifesta infondatezza della stessa ma la aveva decisa sostituendosi direttamente alla Corte costituzionale cui, ai sensi dell’art. 134 Cost., spetta conoscere della legittimità delle norme primarie; osserva che tanto aveva integrato un vero e proprio eccesso di potere giurisdizionale avendo il giudice amministrativo violato i limiti della propria giurisdizione invadendo addirittura la competenza di un altro potere costituzionale. Richiama quindi l’assetto pluralista delle giurisdizioni disegnato dalla Costituzione, a presidio del quale è posta la Corte di cassazione, ed invoca il principio del giudice naturale sancito dall’art. 25 Cost. e dall’art. 6 CEDU, che asserisce essere stato violato nella concreta fattispecie.
1.1. A tal fine argomenta che nell’ambito della delibazione di una questione di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 23 l. n. 87/1953, può porsi uno spazio in cui il giudice investito, per la particolare intensità dell’apprezzamento svolto, finisce, di fatto, per sostituirsi al Giudice delle Leggi, configurandosi in tal modo eccesso di potere giurisdizionale con invasione della sfera di competenza attribuita alla Corte costituzionale, eccesso che richiede l’intervento regolatore della Corte di cassazione. Tale era la fattispecie in concreto verificatasi in quanto il giudice amministrativo si era in realtà sostituito al giudice costituzionale nel valutare direttamente ed immediatamente la fondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla parte; la sentenza impugnata conteneva in più punti l’affermazione di non fondatezza della questione di illegittimità costituzionale ed ‘addirittura’, pur ammettendo che l’esito discendente dall’applicazione della normativa regionale era diverso da quello
presente in ambito statale, aveva ritenuto di non sottoporre tale questione al giudice naturale, competente a decidere circa i contrasti tra legislazione statale e legislazione regionale; in questa prospettiva ribadisce che nel delibare la questione di costituzionalità il RAGIONE_SOCIALE di giustizia amministrativa non si era mantenuto nei limiti dell’apprezzamento circa la ‘non manifesta infondatezza’ della questione (art. 24 l. n. 87/1953) ma si era spinto sino al punto di sostituirsi al giudice costituzionale. Tanto imponeva l’intervento della Corte regolatrice secondo un meccanismo analogo a quello che assicura che i giudici di ultima istanza sollevino questioni di pregiudizialità eurounitaria ex art. 267 TFUE.
2. Il ricorso è inammissibile. Secondo l’orientamento della S.C. consolidatosi a partire dalla sentenza costituzionale n. 6 del 2018 – la quale ha identificato gli ambiti dei poteri attribuiti alle diverse giurisdizioni dalla Costituzione, nonché i presupposti e i limiti del ricorso ex art. 111, comma 8, Cost.- il sindacato della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione concerne le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per “invasione” o “sconfinamento” nella sfera riservata ad altro potere dello Stato ovvero per “arretramento” rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale, nonché le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici, senza che tale ambito possa estendersi, di per sé, ai casi di sentenze ‘abnormi’, ‘anomale’ ovvero all’ipotesi di ‘stravolgimento radicale’ delle norme di riferimento atteso che in questi casi può profilarsi,
eventualmente, un <>, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione (tra le altre, Cass., S.U., n. 8311 del 2019, Cass., S.U., n. 19675 del 2020; Cass., S.U., n. 15573 del 2021, Cass., S.U., n. 11549 del 2022; Cass, S.U., n. 14301 del 2022 ) . Il controllo della Corte di cassazione non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori <> o <>, senza che rilevi la gravità o intensità del presunto errore di interpretazione, il quale rimane confinato entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa, considerato che l’interpretazione delle norme costituisce il <> distintivo dell’attività giurisdizionale (Cass., S.U., n. 8311 del 2019, Cass., S. U. , n. 17770 del 2020). In altri termini, il controllo del limite esterno della giurisdizione che l’art. 111, comma ottavo, Cost., affida alla Corte di cassazione – non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice, ordinario o speciale, suscettibili di comportare errori <> o <>, anche per contrasto con il diritto dell’Unione europea, operando i limiti istituzionali e costituzionali del controllo devoluto a questa Corte, ‘i quali restano invalicabili, quand’anche motivati per implicito, allorché si censuri il concreto esercizio di un potere da parte del giudice amministrativo, non potendo siffatta modalità di esercizio integrare un vizio di eccesso di potere giurisdizionale’ (Cass., S.U., n. 12586 del 2019).
2.1. Il motivo di ricorso per cassazione formulato ai sensi dell’ art. 111, ottavo comma, Cost., non rappresenta, pertanto, un ulteriore grado di giudizio tramite il quale procedere al sindacato delle decisioni dei giudici speciali, ma costituisce strumento attraverso il quale verificare la corretta individuazione del giudice fornito di giurisdizione. Dunque, non già uno
strumento di controllo di un organo giurisdizionale su di un altro, bensì uno strumento che, mediante la chiarificazione dei confini delle rispettive giurisdizioni, concorre a delimitarne la distinzione e a ribadirne, per l’effetto, la rispettiva autonomia.
2.2. Nel perimetro del ricordato orientamento si colloca anche il principio enunciato da questa Corte, che ritiene inammissibile il ricorso per cassazione avverso una decisione del giudice speciale con cui si censuri il concreto esercizio del potere di sollevare una questione di legittimità costituzionale. non potendo l’esercizio di tale potere integrare un vizio di eccesso di potere giurisdizionale sindacabile dalla Corte di cassazione alla stregua degli artt. 111, comma 8, Cost. e 362, comma 1, c.p.c. (Cass., S.U., n. 7929 del 2013, Cass., S.U., n. 20168 del 2018, Cass S.U., n. 11547 del 2022). La valutazione che ciascuna ‘autorità giurisdizionale’ è chiamata a fare, su eccezione di una delle parti o di ufficio, in ordine alla rilevanza (ma anche alla non manifesta infondatezza) della questione di legittimità costituzionale rimane, invero, confinata entro i limiti interni della rispettiva giurisdizione e non rientra, perciò, nell’ambito del controllo che l’art. 111, comma ottavo, Cost., affida alla Corte di cassazione. Del resto, una tale valutazione è espressa in applicazione di disposizioni processuali – gli artt. 23 e 24 della legge n. 87/1953 – che stabiliscono le condizioni (per l’appunto, rilevanza e infondatezza non manifeste della questione/eccezione) per l’accesso al giudizio incidentale di costituzionalità; sicché, l’ <>, anche ‘abnorme’, eventualmente commesso dal giudice amministrativo a quo, dichiarando priva di rilevanza un’eccezione di legittimità costituzionale invece rilevante, rientra nei limiti interni della giurisdizione del medesimo giudice. A riguardo può essere utile ricordare che la non sindacabilità da
parte della Corte di cassazione ex art. 111, comma 8, Cost. delle violazioni del diritto dell’Unione europea e del mancato rinvio pregiudiziale ascrivibili alle sentenze pronunciate dagli organi di vertice delle magistrature speciali è stata ritenuta compatibile con il diritto dell’Unione, come interpretato della giurisprudenza costituzionale ed europea, in quanto correttamente ispirata ad esigenze di limitazione delle impugnazioni, oltre che conforme ai principi del giusto processo ed idonea a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, tenuto conto che è rimessa ai singoli Stati l’individuazione degli strumenti processuali per assicurare tutela ai diritti riconosciuti dall’Unione (Cass. n. 1996 del 2022, Cass. n. 32622 del 2018).
2.3. I principi tratti dalla giurisprudenza richiamata orientano anche in relazione alla concreta fattispecie che, tuttavia, non risulta del tutto concettualmente sovrapponibile a quella presa in considerazione nei citati precedenti posto che parte ricorrente non mostra di dolersi del cattivo esercizio del potere di rimessione alla Corte costituzionale da parte del giudice speciale ma assume che questi, per ‘l’intensità dell’apprezzamento’ espresso in sede di delibazione della manifesta infondatezza della questione, si sarebbe direttamente sostituito alla valutazione de Giudice delle Leggi in violazione delle attribuzioni proprie del detto organo costituzionale.
2.4. Tale censura non ha pregio. Questa Corte ha già in passato negato la configurabilità di una questione di giurisdizione e della connessa possibilità di esperimento del ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione in relazione a possibili usurpazione da parte del giudice ordinario o speciale dei compiti riservati alla Corte costituzionale. E’ stato così chiarito che la pronuncia del giudice ordinario o speciale, il quale, investito di una questione di illegittimità costituzionale,
ne dichiari la manifesta infondatezza non arrestando la propria indagine ad una valutazione <>, ma procedendo ad un esame <> della conformità della norma denunciata ai precetti costituzionali, è affetta da violazione di legge inerente alle modalità di esercizio dei poteri giurisdizionali, e non ai limiti dei poteri medesimi, in quanto non si traduce in una usurpazione di compiti riservati alla Corte costituzionale. Nei confronti di detta pronuncia, pertanto, non è esperibile il ricorso per Cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione (Cass. Sez. Un., n. 2444 del 1977). In prospettiva complementare è stato ritenuto, con riferimento all’ipotesi dell’art. 37 c.p.c. , ‘fortemente opinabile’ che una questione siffatta si possa ravvisare nei confronti della Corte Costituzionale nei casi in cui un giudice ordinario o speciale, esercitando competenze riservate alla prima in tema di sindacato di legittimità delle leggi, accerti direttamente l’illegittimità di una norma e la disapplichi nella concreta controversia (Cass. Sez. Un., n. 4476 del 1988). In particolare, nel precedente ora richiamato si è sottolineato che ‘a parte i dubbi relativi all’inquadramento della Corte Costituzionale fra gli organi giudiziari (più volte negato in passato dalla stessa Corte: v. sent. n. 13 del 1960), va considerato che la giurisdizione costituzionale – pur avendo carattere incidentale, perché presuppone un giudizio di merito cui inerisca la questione di costituzionalità – presenta caratteristiche affatto diverse da ogni altra, posto che il relativo processo è circoscritto alla conformità delle leggi ai principi della Costituzione, si svolge nell’interesse generale (una volta instaurato è svincolato dalle vicende di quel giudizio: v., da ultimo, Corte Cost. sent. n. 52 e n. 88 del 1986) ed è diretto alla caducazione, con efficacia invalidante erga omnes, delle norme confliggenti con i principi suddetti. Si tratta, cioè, di una giurisdizione che non ha ad
oggetto rapporti materiali e che conseguenzialmente non incide sulla potestà giurisdizionale del giudice adito di decidere la controversia, limitando i poteri del medesimo nell’unico senso che, in presenza di una questione di legittimità costituzionale, deve solo valutarne la non manifesta infondatezza e, ove non ritenga assolutamente certa la conformità alla Costituzione della disciplina applicabile, deve provocare il giudizio costituzionale.’
2.5. Nel caso in esame, peraltro, deve escludersi già in radice che il giudice speciale abbia inteso in qualche modo sostituirsi al giudice costituzionale posto che le argomentazioni con le quali il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE amministrativa ha respinto la eccezione di incostituzionalità si iscrivono a pieno titolo nel perimetro dell’obbligo di adeguata motivazione della valutazione di manifesta infondatezza della questione di costituzionalità quale sancito dall’art. 24, comma 1, l. n. 87/1953. Né alla stregua di tale previsione è dato distinguere nell’ambito delle ragioni giustificative di tale rigetto quelle che, in quanto tradottesi in un più intenso apprezzamento, avrebbero comportato da parte del giudice investito dell’eccezione una attività sostitutiva di quella propria del Giudice delle Leggi. Invero, a prescindere dalla ‘fumosità’ della categoria dell’ ‘intenso apprezzamento’ invocata a fondamento delle premesse teoriche alla base delle argomentazioni sviluppate dal ricorrente, resta il fatto che la sentenza impugnata si è solo limitata a delibare, nell’esercizio del sindacato diffuso di costituzionalità, la eccezione di incostituzionalità formulata dall’odierno ricorrente e ad esplicitare le ragioni della ritenuta manifesta infondatezza della questione, senza alcuna pretesa di sostituirsi al Giudice delle Leggi, al quale tale questione, ove ritenuta, viceversa, manifestamente fondata (oltre che rilevante) potrà senz’altro essere proposta in altro giudizio.
2.6. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Non si fa luogo al regolamento delle spese di lite, non avendo le parti intimate svolto attività difensiva.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 febbraio