Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 3295 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 3295 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
sul ricorso 26874/2022 proposto da:
NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
Procuratore Generale rappresentante il Pubblico Ministero presso la Corte dei conti, domiciliato in Roma, INDIRIZZO;
– controricorrente –
nonchè contro
Procura Generale presso la Sezione giurisdizionale d’appello della Corte dei conti per la Regione Siciliana, Procura regionale presso la
Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-intimati –
avverso la sentenza n. 66/2022 della CORTE dei CONTI -SEZIONE GIURISD IZIONALE D’ APPELLO PER LA REGIONE SICILIANA, depositata il 22/04/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/11/2023 dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale chiede l’inammissibilità del ricorso.
RILEVATO CHE
La sezione giurisdizionale di appello per la Regione Siciliana della Corte dei conti, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accogliendo in parte il ricorso di NOME COGNOME, lo ha condannato in via sussidiaria e con beneficium excussionis rispetto a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME – al pagamento della somma di € 3.755.560,00 (di cui € 1.790.792,00 per emolumenti non dovuti ed € 1.964.768,00 per pagamenti indebiti a soggetti esterni) a favore dell’RAGIONE_SOCIALE di Catania.
2. Il giudice di appello ha ricordato che con sentenza parziale n. 584 del 2021, pronunciata dalla stessa sezione della Corte dei conti, NOME COGNOME era stato condannato, in solido con altri dipendenti, a pagare la somma di € 10.326.636,41 . In quel giudizio era rimasta in sospeso la verifica della debenza della somma di € 1.413.853,33 atteso che per i titoli di spesa era stata proposta querela di falso. Per tale ragione il loro esame era stato differito all’esito del giudizio civile.
Per quanto qui ancora interessa è stato osservato che la circostanza che il giudice di primo grado avesse accertato che il ricorrente aveva omesso per sei anni consecutivi qualunque forma elementare di controllo su mandati macroscopicamente illegittimi, dando un apporto causale all’attività delittuosa di altra dipendente , non integrava una violazione dei principi di corrispondenza tra chiesto e pronunciato né un vizio di ultrapetizione (in violazione degli artt. 112 e 24 Cost. e dell’art. 6 CEDU) . È stato rilevato infatti che NOME COGNOME era stato chiamato in causa a titolo di dolo contrattuale ‘vista la lucida e consapevole violazione dei doveri sullo stesso incombenti in ragione della qualifica e della posizione apicale ricoperta all’interno dell’RAGIONE_SOCIALE‘.
La sentenza ha sottolineato che la sottoscrizione dei mandati di pagamento da parte del capo dell’ufficio ha funzione sostanziale e chi l’appone si assume la responsabilità, in tutto o in parte, del contenuto e degli effetti dell’atto. Ha ritenuto poi irrilevante la circostanza che il danno non fosse stato ancora compiutamente accertato, essendovi delle restituzioni in corso, osservando che era possibile procedere in sede di esecuzione alle necessarie precisazioni degli importi dovuti senza che fossero invece necessari ulteriori adempimenti istruttori in sede di accertamento della responsabilità.
Per contro il giudice di appello ha escluso che la condotta fosse connotato da dolo ed ha ritenuto sussistente, piuttosto, una colpa grave con conseguente responsabilità sussidiaria e non diretta del dipendente NOME COGNOME. A tal proposito ha osservato che non era stata fornita la prova dello svolgimento da parte del COGNOME di un ruolo attivo nell’appropriazione delle somme di danaro dell’RAGIONE_SOCIALE ed a tal proposito ha tenuto conto del fatto che con riguardo a quarantanove mandati di pagamento scrutinati era stata denunciata la falsità della
sottoscrizione ed il procedimento era ancora sub iudice . Ritenuto pertanto che il dolo era stato solo allegato ma non provato e che, piuttosto, era ravvisabile un comportamento gravemente colposo (sotto la forma della colpa cosciente), ha applicato la prescrizione quinquennale, decorrente dall’invito a dedurre , e la responsabilità sussidiaria rispetto agli altri soggetti condannati.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso NOME COGNOME con cinque motivi ai quali resiste con controricorso la Procura Generale della Corte dei conti. Il Procuratore Generale della Corte di cassazione ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria insistendo nelle conclusioni già prese.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si deduce che il giudice contabile sarebbe incorso in un eccesso di potere giurisdizionale avendo applicato un istituto non previsto dalla legislazione vigente. Ad avviso del ricorrente, infatti, l’art. 1, comma 1 -quinquies , della legge 14 gennaio 1994 n. 20 prevede la responsabilità erariale solidale dei « soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo ». La sentenza impugnata, invece, nell’escludere l’esistenza del dolo , ha ravvisato nella condotta tenuta dal COGNOME una colpa grave in relazione alla quale ha affermato la responsabilità sussidiaria dello stesso con il beneficium escussionis. Osserva che si tratterebbe di istituto, di creazione giurisprudenziale, che non avrebbe alcun fondamento legislativo e contrasterebbe con il principio di legalità e con quello della tipicità delle sanzioni. Evidenzia infatti che la responsabilità erariale, quale vera e propria sanzione se non altro per l’esistenza dell’attore pubblico e per il potere riduttivo conferito al giudice contabile, si deve conformare a tali principi e pertanto l’applicazione di un istituto non previsto dal legislatore integrerebbe
un eccesso di potere giurisdizionale rilevante ai sensi dell’u ltimo comma dell’art. 111 della Costituzione.
7.1. In relazione a tale ultimo aspetto il ricorrente sostiene che l’art. 1, comma 1quinquies , della legge n. 20 del 1994, come interpretato ed applicato sarebbe costituzionalmente illegittimo per violazione del principio di legalità sancito nel nostro ordinamento dagli artt. 23 e 101 Cost., presupposto dal sistema di tutela giurisdizionale consacrato dagli artt. 2, 3, 24, 25, 103, 111, 113 e 125 Cost., nonché dall’art. 7 Cedu, il cui contrasto integra la violazione dell’art. 117 , primo comma, Cost.. Per effetto della riferita interpretazione giurisprudenziale si ammetterebbe una responsabilità erariale a titolo sussidiario per colpa grave e si introdurrebbe un istituto non previsto dall’ordinamento normativo.
Con un ulteriore motivo il ricorrente deduce che la sentenza -con la quale è stato condannato a titolo sussidiario e sull’assunto dell’esistenza di una colpa grave, nonostante la mancata riproposizione in appello della domanda da parte della Procura contabile -sarebbe incorsa in un vizio di giurisdizione atteso che al giudice è consentito di decidere solo laddove sia stata spiegata dalle parti una domanda. In sostanza si asserisce che è la domanda della parte che determina l’oggetto della giurisdizione e attribuisce la potestas iudicandi .
Con il terzo motivo di ricorso, poi, NOME COGNOME rileva che relatore della causa era un magistrato contabile che sino a qualche mese addietro, ed ancora l’8 maggio 2018 quando era stato emesso l’invito a dedurre nei confronti del dott. COGNOME, faceva parte della Procura regionale della Corte dei conti e ritiene che perciò risulterebbe irrimediabilmente viziata la composizione del collegio con conseguente nullità della sentenza adottata.
10. Con riguardo a tale situazione, poi, il ricorrente con la sua ultima censura dubita della legittimità costituzionale degli artt. 7 e 10 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 per contrasto con l’art. 3 Cost ., con l’art. 111 Cost., con l’art. 6 della CEDU e, quindi, anche l’art. 117, primo comma, Cost., oltre che con l’ art. 24 Cost., nella parte in cui non prevede per il magistrato contabile che chieda di transitare dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti un periodo di decantazione analogamente a quanto disposto per la magistratura ordinaria.
Il ricorso è inammissibile.
11.1. In via generale va premesso che, come affermato dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 6 del 24 gennaio 2018, l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, deve essere riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, ravvisabile quando il giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento) ovvero quando la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento). Vi è difetto relativo di giurisdizione, invece, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici. Il controllo di giurisdizione non può estendersi al sindacato di sentenze alle quali sia imputato di essere incorse in uno stravolgimento delle norme di riferimento. Si tratta in quel caso di una attività di interpretazione delle norme che può, in ipotesi, dare luogo ad un error in iudicando , ma nella quale non è ravvisabile la violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale (cfr. Cass. S.U. 02/08/2023 n. 23532, 05/05/2022 n. 14301,
08/04/2022 n. NUMERO_DOCUMENTO, 04/06/2021 n. NUMERO_DOCUMENTO, 28/12/2020 n. 29653, 21/09/2020 n. 19675, 11/11/2019 n. NUMERO_DOCUMENTO, 25/03/2019 n. NUMERO_DOCUMENTO). L’ eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento ed invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo quando il giudice abbia posto in essere un’attività di produzione normativa attribuita in via esclusiva al legislatore, ragion per cui l’ipotesi non ricorre quando il giudice speciale si sia attenuto al principio interpretativo che gli è proprio tale operazione ermeneutica, muovendosi nella dinamica dell’inveramento della norma nella concretezz a dell’ordinamento ad opera della giurisprudenza, può dar luogo, tutt’al più, ad un ‘error in iudicando non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale ‘ ( Cfr. Cass. S.U. 17/12/2021 n. 40550). In sostanza, gli errores in iudicando ( ed anche quelli in procedendo) non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (tra le molte, successivamente alla sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale cfr. Cass. S.U. 20/03/2019 n. 7926 oltre alle già citate Cass. S.U. n. 8311 del 2019, n. 29082 del 2019). Il controllo del limite esterno della giurisdizione che l’art. 111, comma ottavo, Cost., affida alla Corte di cassazione – non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo o contabile suscettibili di comportare errori in iudicando o in procedendo , anche per contrasto con il diritto dell’unione europea, operando i limiti istituzionali e costituzionali del controllo devoluto a questa Corte. T ali limiti ‘restano invalicabili, quand’anche motivati per implicito, allorché si censuri il concreto esercizio di un potere da parte del giudice amministrativo, non potendo siffatta modalità di esercizio integrare un vizio di eccesso di potere giurisdizionale’ ( Cass. S.U. n. 12586 del 2019).
11.2. Neppure poi sono ravvisabili i profili di illegittimità costituzionale prospettati. Come detto, l’eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento ed invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore non è configurabile quando il giudice si sia mantenuto nell’ambito del suo potere di interpretazione della norma a cui ha dato attuazione ma solo quando, e non è il caso, abbia posto in essere un’attività di produzione normativa attribuita in via esclusiva al legislatore. Come ritenuto da questa Corte, infatti, l’operazion e ermeneutica può dar luogo, tutt’al più, ad un ‘ error in iudicando non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale ‘ (Cass. S.U. n. 40550 del 2021 cit.).
11.3. Nel caso in esame è lo stesso ricorrente a ravvisare nella previsione di una responsabilità sussidiaria per colpa grave un’interpretazione di origine giurisprudenziale, un’ipotesi di diritto vivente avverso il quale potrebbe essere denunciata addirittura la sussistenza di una questione di legittimità costituzionale del quadro normativo così come interpretato. Ne consegue che le censure sono intese a contestare gli esiti dell’interpretazione delle disposizioni da parte del giudice contabile nei quali non è ravvisabile un travalicamento dal proprio ambito di giurisdizione.
11.4. Tanto premesso, la questione di legittimità costituzionale, così come proposta, risulta manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza nel presente giudizio, in quanto dinanzi alla Corte che regola la giurisdizione non deve farsi applicazione della norma censurata, interpretata ed applicata dal giudice contabile, ma soltanto delle disposizioni che consentono la verifica della legittimità dell’esercizio del potere giurisdizionale medesimo.
11.5. È stato già affermato che ‘ la valutazione che ciascuna ‘autorità giurisdizionale’ è chiamata a fare, su eccezione di una delle parti o di
ufficio, in ordine alla rilevanza di una questione di legittimità costituzionale rimane, invero, confinata entro i limiti interni della rispettiva giurisdizione e non rientra, perciò, nell’ambito del controllo che l’art. 111, comma ottavo, Cost., affida alla Corte di cassazione ‘ (Cass. S.U. n. 23532 del 2023, cit. e già Cass. S.U. 29/03/2013 n. 7929 e Cass. S.U. 08/04/2022 n. 11547).
12. Anche il motivo con il quale si denuncia come vizio di giurisdizione per mancanza di potestas iudicandi la sentenza che ha accertato l’esistenza di una colpa grave sebbene la questione non fosse stata riproposta in appello da parte della Procura contabile è inammissibile. Con la censura, infatti, si denuncia nella sostanza un error in procedendo sul rilievo che il giudice contabile avrebbe pronunciato su una domanda che non era stata quanto meno reiterata. Tuttavia, questa Corte ha chiarito che un tale vizio si risolve in un errore di interpretazione di domande o eccezioni, con eventuale pronuncia extra o ultra petita ed attiene al modo in cui il giudice esercita il potere giurisdizionale rispetto al quale non è possibile sollecitare un controllo da parte delle sezioni unite, il cui intervento è limitato alla verifica del rispetto della giurisdizione. La Corte di cassazione è l’organo regolatore della giurisdizione, non il garante ultimo della nomofilachia, ossia della legittimità comunitaria, convenzionale e costituzionale delle norme (sia di rito che sostanziali) applicate dal giudice amministrativo e dal giudice contabile. Se è pur vero che qualsiasi erronea interpretazione o applicazione di norme ovvero qualsiasi vizio di attività processuale in cui il giudice possa incorrere nell’esercizio della funzione giurisdizionale, ove incida sull’esito della decisione, può essere letta in chiave di lesione della pienezza della tutela giurisdizionale cui ciascuna parte legittimamente aspira, perché la tutela si realizza compiutamente se il giudice interpreta ed applica in
modo corretto le norme destinate a regolare il caso sottoposto al suo esame e se esamina e valuta tutti i punti essenziali della controversia, tuttavia, non per questo ogni errore di giudizio o di attività processuale imputabile al giudice è qualificabile come vizio assoggettabile al sindacato della Corte di cassazione, quale risulta delineato dall’art. 111, ottavo comma, Cost. e da ll’ art. 362 cod. proc. civ. (cfr. Cass. S.U. 23/09/2022 n. 27904).
Anche la censura che attiene alla composizione del Collegio decidente del giudice contabile è inammissibile.
13.1. Va p remesso che vi sono rimedi processuali che l’ordinamento prevede anche nei giudizi davanti al giudice speciale per ovviare ad una situazione di tal fatta (ricusazione ed eventuale astensione) e che, in ogni caso, si tratta di questioni che attengono al regolare svolgimento del processo ed all’applicazione corretta delle sue regole ch e non esorbitano nell’ambito dell’eccesso di potere giurisdizionale.
13.2. Come è noto, l’illegittima composizione dell’organo giurisdizionale può essere ricondotta nell’ambito del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione a condizione che il vizio di costituzione del collegio giudicante sia di gravità tale da doversi ravvisare una assoluta inidoneità e da determinare una non coincidenza dell’organo giurisdizionale con quello delineato dalla legge. Tale si è ritenuto il caso in cui si determini un’ alterazione strutturale dell’organo giudicante, per vizi di numero o di qualità dei suoi membri. Quando si ravvisi una totale carenza di legittimazione di uno o più dei suoi componenti. Diversamente deve configurarsi un’ipotesi di semplice violazione di norme processuali che non autorizza il sindacato delle sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. S.U. n. 8569 del 2021, n. 9042 del 2019 e n. 9099 del 2015). Si è esclusa allora l’ammissibilità di una censura con la quale si era contestato in un giudizio davanti al giudice
contabile la partecipazione al collegio giudicante di un magistrato che avrebbe dovuto astenersi sottolineandosi il carattere processuale della violazione denunciata e ribadendosi, con principio applicabile anche alla fattispecie in esame, che la carenza di giurisdizione è ravvisabile solo nell’ipotesi di alterazioni strutturali dell’organo, per vizi di numero o qualità dei suoi membri, che ne precludono l’identificazione con quello delineato dalla legge (Cass. S.U. n. 27420 del 2022 e 8951 2022). Non è questo il caso.
In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Non occorre pronunciare sulle spese atteso che il Procuratore Generale rappresentante il Pubblico Ministero presso la Corte dei conti è parte soltanto in senso formale.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio delle sezioni unite il 7