Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13958 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 13958 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentate e difese per procura alle liti per atto notaio NOME COGNOME di Rovigo del 9.6.2020, rep. n.16744, dall’Avvocat o NOMECOGNOME
Ricorrenti
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi per procura alle liti in calce al controricorso dagli Avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Controricorrenti
e
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al controricorso da ll’Avvocato NOME COGNOME
Controricorrente
e
Dall’Ara Aladino .
COGNOME NOME Veronese NOME COGNOME NOME, Veronese NOME, COGNOME NOME Veronese NOME, NOME NOME, eredi di
COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME, COGNOME Teresina.
Intimati
avverso la sentenza n. 686/2020 della Corte di appello di Venezia, depositata il 24.2.2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del l’8.4. 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udite le difese svolte dall’Avvocato NOME COGNOME per delega dell’Avvocato NOME COGNOME per le ricorrenti e dall’Avvocato NOME COGNOME per i controricorrenti COGNOME e COGNOME.
Fatti di causa
COGNOME NOME e COGNOME NOME convennero dinanzi al tribunale di Rovigo COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME quale erede di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, chiedendo che fosse dichiarato nullo ovvero annullato l’atto notarile del 17.12.1997 con cui COGNOME NOME e COGNOME, quali procuratori , oltre che delle esponenti, anche di COGNOME NOME NOME NOME NOME NOME NOME e NOME, avevano venduto a COGNOME NOME e COGNOME NOME la nuda proprietà ed a COGNOME NOME l’usufrutto di una parte del terreno di cui erano comproprietarie e la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni subiti. A sostegno delle domande le attrici esposero di essere state costrette a sottoscrivere, in data 28/29.4.1997, la procura a vendere dagli altri comproprietari al fine di estinguere un pignoramento gravante sul bene; che i procuratori avevano venduto il cespite alle proprie consorti ed al suocero ed avevano ecceduto dal mandato, avendo ceduto anche parte del terreno intestato alla zia NOME di cui non avevano ancora accettat o l’eredità.
Integrato il contraddittorio su ordine del giudice nei confronti degli acquirenti COGNOME NOME, NOME e NOME con sentenza n.562 del 2017 il tribunale respinse le domande.
Interposto gravame, con sentenza n. 686 del 24.2.2020 la Corte di appello di Venezia confermò la decisione di primo grado. A sostegno di tale conclusione la Corte affermò che le attrici avevano proposto la domanda di risarcimento del danni sul presupposto della invalidità della vendita in quanto stipulata dai procuratori COGNOME e COGNOME in violazione d el mandato conferito, senza tuttavia dimostrare la invalidità del contratto e senza impugnare l’atto di procura, nei cui riguardi non avevano svolto rilievi in sede di appello; che, tenuto conto del tenore della procura, la conclusione della vendita non configurava comunque abuso da parte dei procuratori; che le censure svolte in appello in ordine al rigetto della domanda di invalidità della compravendita erano del tutto vaghe ed astratte, con conseguente violazione dell’art. 342 c.p.c..
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 24.11.2020 hanno proposto ricorso COGNOME NOME e COGNOME NOME sulla base di tre motivi.
NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno notificato controricorso, come COGNOME NOME
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva
Il P.M. e le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 102 c.p.c., lamentando che la Corte di appello abbia ritenuto che le attrici avessero proposto domanda di nullità o di annullamento dell’atto di compravendita del 17.12.1997, ordinando per l’effetto l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli acquirenti del bene. Questa affermazione, ad avviso del ricorso, è errata, in quanto un’interpretazione corretta degli atti introduttivi, rispondente alla effettiva utilità perseguita dalle attrici, avrebbe dovuto portare a ritenere che la domanda di nullità o di annullamento fosse stata proposta non in via principale, ma in via incidentale, essendo funzionale
all’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni per eccesso di mandato proposta nei confronti dei procuratori e degli altri consorti che avevano conferito la procura e con essi avevano colluso.
Il mezzo è inammissibile.
Le censure sollevate appaiono articolate in modo generico ed astratto, con richiamo ai criteri dettati in generale dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine alla interpretazione della domanda in giudizio, ma senza alcuna precisazione delle ragioni per cui essi sarebbero stati violati dalla Corte di appello e del modo in cui la violazione si sarebbe consumata. In particolare, il ricorso non richiama alcun passo degli atti difensivi idonei a far emergere errori nella valutazione ed interpretazione delle domande proposte, cui ancorare la lamentata violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Non può poi non osservarsi che la doglianza sollevata trova diretta smentita dalla esposizione della vicenda processuale quale emerge non solo dalla sentenza impugnata, ma dallo stesso ricorso (pag.3), in cui si dà atto che le odierne ricorrenti, con l’atto di citazione in primo grado, avevano chiesto di ‘ Dichiarare la nullità e/o annullare l’atto di vendita a firma del Notaio COGNOME di Rovigo, Rep. 142.865, stipulato in data 17.12.1997 tra i signori COGNOME NOME e COGNOME (in rappresentan za dei signori NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME) e i signori NOME, NOME e NOME COGNOME.
Alla luce di tali rilievi il motivo non può non considerarsi inammissibile, tenuto conto del principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui, essendo l’ interpretazione del contenuto e la qualificazione della domanda operazione riservata al giudice di merito, essa è sindacabile, in sede di giudizio di legittimità, soltanto laddove, sostanziandosi in una nullità processuale, sia ravvisabile la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (Cass. n. 30770 del 2023; Cass. n. 11103 del 2020). Nel caso di specie, il ricorso non solo non offre alcun argomento logico e testuale per sostenere che vi sia stata tale violazione, ma dagli atti di causa, come segnalato, emergono chiari riscontri per escluderla, fermo il rilievo che, non avendo le ricorrenti avanzato censure contro il rigetto della domanda di nullità e/o annullamento della compravendita,
confermata dalla Corte di appello in ragione della ritenuta inammissibilità del relativo motivo di impugnazione, la questione posta dal motivo potrebbe esercitare influenza unicamente nei confronti della statuizione con cui le attrici sono state condannate al pagamento delle spese in favore degli acquirenti del bene, nei cui confronti il tribunale dispose l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 102 c.p.c..
Il secondo motivo di ricorso denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5) c.p.c., vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di appello, nel confermare la pronuncia di primo grado di rigetto delle domande proposte, trascurato di esaminare taluni documenti prodotti in giudizio, quali il contratto preliminare di compravendita concluso il 22.10.1997 tra i procuratori COGNOME e COGNOME ed i Borile, in cui erano stati inseriti mappali identificativi di terreni non indicati nella procura speciale a vendere, poi modificati in sede di contratto definitivo. Il giudice di appello ha inoltre omesso di operare un attento confronto tra la procura e l’atto di vendita, da cui emergeva che quest’ ultima ha avuto ad oggetto porzioni di terreno ulteriori, tra cui quelli appartenenti alla de cuius NOME, di cui le istanti non avevano, all’epoca, ancora accettato l’eredità. Nell’atto di vendita si prevedeva inoltre la cancellazione di un sequestro, mai autorizzata dalle mandanti.
Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 1395, 1390, 1711 e 1223 c.c., censurando la decisione impugnata per avere rigettato la domanda di risarcimento dei danni senza considerare che l’atto di compravendita era stato concluso da parte dei procuratori speciali in situazione di conflitto di interessi, avendo venduto il bene alle mogli ed al suocero, e eccedendo il mandato ricevuto.
Anche questi motivi, da trattarsi congiuntamente, vanno dichiarati inammissibili.
La ragione risiede principalmente nel rilievo che, come dedotto dalla controricorrente NOME le censure introducono circostanze ed elementi di indagine che non sono state oggetto di discussione nel giudizio di appello. Dalla lettura della sentenza impugnata non risulta che l’atto di gravame
abbia riproposto doglianze circa la esecuzione della procura a vendere conferita dai consorti COGNOME a COGNOME NOME e COGNOME COGNOME, per eccesso di mandato o per conflitto di interessi. Occorre infatti dare atto che la Corte di appello da un verso ha dichiarato inammissibile il motivo di gravame che lamentava il rigetto della domanda di nullità o di annullamento dell’atto di vendita, dall’altro ha precisato , dopo avere escluso abusi da parte dei procuratori nell’adempimento del la procura a vendere , che comunque l’atto di appello non aveva riproposto rilievi in ordine alla esecuzione della stessa. Tali affermazioni non sono censurate dal ricorso, che non richiama contestazioni della procura sollevate con l’atto di appello. Ciò è sufficiente, nonostante la non linearità del ragionamento svolto dalla Corte distrettuale, per ritenere inammissibili entrambi i motivi, per avere posto questioni che, non facendo parte del tema del giudizio appello, sono da ritenersi definitivamente coperte dal giudicato interno formatosi in virtù della sentenza di primo grado.
Il secondo motivo è inoltre inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., ratione temporis applicabile nel presente giudizio, essendo stato l’appello introdotto nel 2017, che esclude la proponibilità del motivo di cui all’art. 360, comma 1 n. 5) c.p.c. nel caso in cui il giudice di appello abbia deciso in senso conforme alla pronuncia di primo grado (c.d. doppia conforme).
In conclusione, il ricorso è respinto.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Deve darsi atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali, per ciascuna parte controricorrente. Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, previsto per il dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del l’8 aprile 2025.