Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 34499 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 34499 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/12/2024
Sul ricorso iscritto al n. r.g. 8171/2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE anche quale capogruppo del RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COMUNE DI ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 623/2024 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 19/01/2024.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale chiede che la Corte voglia dichiarare inammissibile il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1.1 Con la sentenza riportata in epigrafe la V Sezione del Consiglio di Stato, definendo la lite insorta tra l’Associazione RAGIONE_SOCIALE di Sapienza e Roma Capitale in merito alla rideterminazione della durata della concessione avente da oggetto la gestione da parte della prima di un impianto sportivo di proprietà della seconda, ha accolto l’appello principale di Roma Capitale ed ha rigettato l’appello incidentale della ASD avverso la decisione del TAR per il Lazio.
Il Tar, su domanda della ASD, dichiarata improcedibile ogni altra domanda di questa per difetto di interesse, aveva proceduto ad annullare la Determinazione dirigenziale del Municipio IV del 28.1.2021 prot. CE/8566/2021 con cui l’istanza della medesima ASD, intesa a rideterminare, secondo i criteri previsti dall’art. 3 del disciplinare, la durata della concessione in considerazione delle opere di ripristino realizzate, era stata respinta dall’amministrazione capitolina poiché alcune di dette opere avevano interessato beni sottoposti a vincolo paesaggistico, sicché ne andava rilevata l’abusività, e non si era dato seguito alla volturazione delle utenze a servizio dell’impianto.
1.2. In dissenso dal decisum , tanto Roma Capitale quanto l’ASD Tor Sapienza avevano proposto appello; la prima, in via principale, deducendo che, malgrado il vincolo negoziale assunto al riguardo in sede disciplinare, le opere oggetto di contestazione non erano state da essa previamente autorizzate ed erano per di più abusive in quanto ricadenti su beni vincolati; la seconda, in via incidentale, opponendosi al contrario atto di gravame e chiedendo subordinatamente la condanna dell’appellante principale al rimborso delle somme corrisposte per i ripristini effettuati e al ristoro dei danni conseguenti all’anticipata cessazione del rapporto.
1.3. Con la sentenza qui impugnata il Consiglio di Stato ha accolto il gravame principale. Ha ritenuto che alla stregua del disciplinare di concessione le opere
RG 8171/24 ASD INDIRIZZO-Roma Capitale Est. Cons. COGNOME
di che trattasi avrebbero dovuto essere debitamente autorizzate a mezzo di un iter procedimentale il quale avrebbe fatto emergere l’esistenza del vincolo ambientale e dunque l’irrealizzabilità di alcune di esse. Ha rilevato che «la regolarità dei lavori rappresenta, invero, il presupposto per l’applicazione dell’art. 3 del disciplinare di concessione, la condicio sine qua non per poter affermare l’insorgenza del diritto al prolungamento della concessione». Ha evidenziato la negligenza al riguardo imputabile alla concessionaria, non risultando dagli atti della amministrazione appellante alcuna richiesta della stessa volta ad ottenere il nulla osta alla realizzazione di tali lavori, condotta che non rende tutelabile il preteso affidamento riposto dalla concessionaria nella favorevole definizione dell’istanza di proroga in forza della comunicazione fattale pervenire dall’amministrazione procedente in cui si dava notizia dell’avvenuto avvio dell’istruttoria. Ha osservato che «in presenza di opere realizzate abusivamente e non autorizzabili perché in contrasto con un vincolo ambientale, a nulla può valer tale nota», sicché del tutto legittimamente «Roma Capitale, nell’esercizio della propria discrezionalità, ha ritenuto di negare il rilascio di un provvedimento formale di prolungamento del termine di durata della concessione atteso che la società concessionaria aveva realizzato opere abusive all’interno dell’impianto sportivo e non le aveva rimosse, nonostante l’ordine impartito dall’amministrazione concedente». Specularmente il Consiglio di Stato ha pure respinto l’avverso atto di appello della ASD in quanto, stante l’abusività delle opere di che trattasi, «Roma Capitale non avrebbe mai potuto procedere legittimamente a rilasciare il provvedimento di rideterminazione della durata della concessione» e ha ritenuto che non sussiste, quindi, «alcun diritto alla restituzione, in favore di ASD, delle somme da essa spese per la realizzazione dei lavori nell’impianto sportivo , né al risarcimento del danno», trattandosi di perdite attribuibili esclusivamente dalla negligenza della concessionaria.
1.4. A fronte di detta sfavorevole pronuncia la ricorrente ne ha lamentato l’eccesso di giurisdizione e di ciò ha chiesto che si faccia giustizia sulla base di due motivi di ricorso, illustrati pure con memoria. Ad essi si è opposta con
contro
ricorso Roma CapitaleRAGIONE_SOCIALE
1.5. La Prima Presidente in data 7.6.2024 ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ., avendone rilevato l’inammissibilità.
Parte ricorrente ha però chiesto la decisione del ricorso formulando apposita istanza nel termine di cui all’art. 380bis , comma 2, cod. proc. civ.
Il Procuratore Generale ha fatto pervenire requisitoria scritta con cui chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’ASD Tor Sapienza lamenta l’eccesso di giurisdizione per sconfinamento nella sfera di competenza riservata al legislatore in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata per aver ritenuto, violando altresì gli artt. 4 e 7 cod. proc. amm., che l’assenza di abusi edilizi costituisca, in base all’art. 3 del disciplinare di concessione, presupposto per il prolungamento della concessione. Sostiene, in sintesi, la ricorrente che siccome nessuna delle disposizioni applicabili alla specie, né l’art. 3 del disciplinare, né le norme regolamentari, prevedono che la presenza di un abuso edilizio precluda il prolungamento della concessione, è di tutta evidenza che l’impugnata sentenza, laddove si è data cura di affermare che l’assenza di eventuali abusi edilizi costituisce presupposto per il prolungamento della concessione, «ha finito con il creare una norma giuridica che non esisteva con invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore, ovvero all’amministrazione, abilitata a porre nell’ordinamento norme di rango secondario, come quelle di cui alle fonti regolamentari comunali ovvero attraverso atti pattizi, come il disciplinare di concessione», con ciò rendendo sussistente il denunciato vizio di eccesso di potere giurisdizionale.
Con il secondo motivo di ricorso l’ASD Tor Sapienza lamenta l’eccesso di giurisdizione per sconfinamento nella sfera di competenza riservata al legislatore in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata per aver ritenuto,
violando altresì gli artt. 4 e 7 cod. proc. amm., rigettando l’istanza in tal senso formulata in via subordinata ove mai fosse stato accolto l’appello principale, che nulla spettasse ad essa ricorrente a titolo di rimborso delle somme spese per la ristrutturazione dell’impianto per la negligenza mostrata a causa dell’abusività di parte delle opere realizzate. La ricorrente sostiene, in sintesi, che in tal modo il decidente sarebbe pervenuto «alla produzione di una norma nuova, questa volta in deroga ai principi generali del codice civile in tema di obbligazioni restitutorie conseguenti alla risoluzione del contratto», affermando, segnatamente, anche in deroga all’art. 190 del codice dei contratti pubblici che agli artt. 1453 e segg. cod. civ. rimanda in caso di risoluzione per inadempimento, che «in caso di risoluzione della concessione per colpa del concessionario a questi non sarebbe dovuta alcuna restituzione delle prestazioni ad egli anticipate e non riferibili al periodo di vigenza del contratto di concessione e che, in relazione alla sopravvenuta risoluzione, non trovano più, in tutto o in parte, giustificazione causale».
Entrambi i motivi scrutinabili congiuntamente in quanto svolgono sotto profili diversi la medesima censura si offrono, come già ha anticipato la proposta di definizione accelerata, ad un comune giudizio di inammissibilità.
Di essa si impone, come pure postulato dal Procuratore Generale nelle proprie richieste, l’integrale ed incondizionata conferma.
In particolare laddove si è osservato che «entrambi i motivi sono inammissibili, alla luce del costante orientamento di questa Corte, secondo cui, qualora la pronuncia impugnata si limiti all’inquadramento del fatto e all’interpretazione del provvedimento amministrativo, secondo la sua portata letterale e complessiva, o della legge, essa esprime considerazioni che rientrano nell’ambito della giurisdizione del giudice investito della decisione, esulando, di conseguenza, dalla sfera di controllo dei limiti esterni della giurisdizione (v., tra varie, Cass., Sez. Un., n. 27904/22; Sez. Un., n. 27202/23) Nè il controllo di giurisdizione si può estendere al sindacato di sentenze, di cui pur si contesti l’abnormità o l’anomalia oppure che siano asseritamente incorse in uno stravolgimento delle norme sostanziali o
processuali (v., sempre fra varie, Cass., Sez. Un., n. 36044/22). Nel caso in esame, per un verso il Consiglio di Stato ha interpretato l’art. 3 del disciplinare della concessione, quanto alla rilevanza della regolarità dei lavori al fine dell’insorgenza del diritto al prolungamento della concessione; per altro verso ha svolto un controllo di legittimità sulla spettanza del diritto alla restituzione delle somme spese per la realizzazione dei lavori, che ha escluso facendo leva sul carattere abusivo di essi e sulla conseguente imputabilità delle perdite economiche alla negligenza della concessionaria.
5. Nel dare ragione di ciò è opportuno ricordare in via preliminare che la Corte Costituzionale, nell’occuparsi di indicare, su impulso dell’ordinanza 6891/2016 di queste SS.UU., le coordinate di sistema entro cui il tema dell’eccesso di giurisdizione può svilupparsi, ha, tra l’altro, affermato che il controllo di giurisdizione previsto dall’art. 111, comma 8, Cost. «attinge il suo significato e il suo valore dalla contrapposizione con il precedente comma 7, che prevede il generale ricorso in cassazione per violazione di legge contro le sentenze degli altri giudici, contrapposizione evidenziata dalla specificazione che il ricorso avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso per i “soli” motivi inerenti alla giurisdizione”. Deve di conseguenza ritenersi inammissibile ogni interpretazione di tali motivi che, sconfinando dal loro ambito tradizionale, comporti una più o meno completa assimilazione dei due tipi di ricorso. “L'”eccesso di potere giudiziario”, denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici».
Queste conclusioni rispecchiano affermazioni largamente reiterate nel tempo (in motivazione, ex plurimis , Cass., Sez. U, 9/09/2024, n. 24090). La giurisprudenza -la stessa ordinanza di questa Corte 19598/2020, di cui si dirà, ne assume il carattere di “diritto vivente” -resta, infatti, attenta a rimarcare che il controllo che la Costituzione attribuisce alla Corte di Cassazione in sede di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, è circoscritto alle sole questioni inerenti alla giurisdizione, cioè al controllo dell’osservanza delle norme di diritto che disciplinano i limiti esterni della giurisdizione stessa, ovvero all’esistenza di vizi che attengono all’essenza stessa della funzione giurisdizionale, senza estendersi al modo del suo esercizio, con la conseguenza che con il ricorso per cassazione avverso le decisioni del giudice amministrativo o del giudice contabile non possono essere dedotti altri eventuali errori, in iudicando o in procedendo (in motivazione, ex plurimis, Cass., Sez. U, 1 22/07/2024, n. 20107). In particolare si è precisato, intendendo in tal modo sottolineare che diversamente risulterebbe obliterata ogni distinzione tra limiti interni ed esterni della giurisdizione ed il sindacato di giurisdizione verrebbe di fatto ad avere una latitudine non dissimile da quella che ha sui provvedimenti del giudice ordinario (in motivazione, ex plurimis, Cass., Sez. U, 23/04/2024, n. 10955), che «il controllo del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111 Cost., comma 8, affida alla Corte di cassazione – non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori “in iudicando” o “in procedendo”, senza che rilevi la gravità o intensità del presunto errore di interpretazione, il quale rimane confinato entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa, considerato che l’interpretazione delle norme costituisce il “proprium” distintivo dell’attività giurisdizionale» (Cass., Sez. U, 4/12/2020, n. 27770).
Nè questo quadro di principi si presta a rimeditazioni in relazione al diritto unionale, come preconizzato dalla citata ordinanza 19598/2020, mossa dal dubbio che la prassi interpretativa invalsa sulla base di essi evidenziasse un contrasto con i principi di equivalenza e di effettività della tutela
giurisdizionale assicurati dal combinato disposto degli artt. 19, paragrafo 1, TUE e 47 della Carta dei diritti fondamentali; e che in ragione di ciò si era appunto indotta ad interpellare la Corte UE, sottoponendo alla stessa perciò un primo quesito, onde appurare se i limiti del controllo giurisdizionale affidato dall’art. 111 Cost., comma 8, alla Corte di Cassazione sulle decisioni dei giudici speciali, secondo la ricostruzione di Corte Cost. 6/2018, meritino adesione anche nel caso in cui la decisione pronunciata dai medesimi in ambiti disciplinati dal diritto eurounitario si ponga in contrasto con l’interpretazione di esso resa dalla Corte di giustizia, con l’effetto di determinare il consolidamento di violazione del diritto comunitario e di pregiudicare l’uniforme applicazione di questo e l’effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni soggettive dei singoli.
Nel rispondere al quesito la Corte di giustizia con sentenza 21/12/2021, C497/20, RAGIONE_SOCIALE -a cui si allinea tutta la successiva giurisprudenza di questa Corte (in motivazione, da ultimo, ex plurimis , Cass., Sez U, 5/11/2024, n. 28350) -ha infatti dissipato ogni superstite perplessità dichiarando che, sebbene nel caso specifico la decisione del Consiglio di Stato risultasse viziata per aver dichiarato, in contrasto con la disciplina comunitaria in materia di appalti, irricevibile il ricorso proposto in sede amministrativa, nondimeno «il diritto dell’Unione non impone allo Stato membro di prevedere per rimediare alla violazione di tale diritto a un ricorso effettivo, la possibilità di impugnare dinanzi all’organo giurisdizionale supremo tali decisioni di irricevibilità adottate dal supremo giudice amministrativo, qualora il diritto nazionale di detto Stato non preveda un siffatto mezzo di impugnazione». Il che, nel mentre apre, su un altro versante, la strada ad insolite soluzioni riparatorie (cfr. il punto 80 della citata decisione), per ciò che qui interessa la chiude, forse in modo definitivo, al diverso approccio che si era fatto talora strada in relazione a quei casi in cui il diniego di giurisdizione da parte del giudice speciale implichi una violazione del diritto unionale e conferma il principio, già statuito da questa Corte, che «la violazione, da parte del Consiglio di Stato, di norme del diritto dell’Unione Europea o della CEDU
che si risolva in un “error in iudicando” (sia pure “de iure procedendi”) non è sindacabile ad opera delle Sezioni Unite della Corte di cassazione in sede di controllo di giurisdizione. Il controllo in questione è infatti circoscritto all’osservanza dei meri limiti esterni della giurisdizione, senza estendersi ad asserite violazioni di legge sostanziale o processuale -l’accertamento delle quali rientra nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione -concernenti il modo d’esercizio della giurisdizione speciale» (Cass., Sez. U, 9/09/2024, n. 24090).
In questa cornice trovano poi giustificazione anche le affermazioni per mezzo delle quali la giurisprudenza di queste SS.UU. ha voluto contestualizzare la nozione di sconfinamento in rapporto a ciascun ambito in cui l’eccesso di giurisdizione si rende, come visto, rilevabile.
Per quel che qui rileva -denunciandosi con il ricorso, si è detto, lo sconfinamento del giudice amministrativo in danno del legislatore -l’eccesso di giurisdizione si rende riconoscibile allorché il giudice speciale non abbia applicato una norma esistente, ma una norma da lui creata, in tal modo esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, e non è pertanto configurabile qualora egli si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se non l’abbia desunta dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela, dal momento che tale operazione non può dar luogo ad una violazione dei limiti esterni della giurisdizione, ma, al più, ad un error in judicando , non deducibile con il ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost. e dell’art. 362 cod. proc. civ. (da ultimo Cass., Sez. U, 9/07/2024, n. 18722).
Su queste premesse è agevole aver ragione delle doglianze di parte ricorrente prendendo atto della loro insindacabilità entro il perimetro in cui è esercitabile il controllo giurisdizionale che la Costituzione affida alla Corte di Cassazione sulle decisione dei giudici speciali, potendo addebitarsi al più alla decisione impugnata un error in iudicando che, come si è visto, non è mai
fonte di un eccesso di giurisdizione in quanto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale attribuita al plesso di riferimento.
10. Giova, comunque, osservare, per l’insistenza che vi pone la ricorrente, anche in memoria, che non è ravvisabile alcuno sconfinamento della decisione impugnata nella sfera delle attribuzioni che competono al legislatore, allorché ha raccordato il pronunciato rigetto di entrambe le istanze ricorrenti all’abusività delle opere realizzate dalla concessionaria in difetto di previa autorizzazione e in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, giacché, come già anticipato nella proposta, ciò è frutto dell’interpretazione a cui è stato sottoposto l’art. 3 del disciplinare della concessione, sicché le doglianze odiernamente ostese dal ASD Tor Sapiente, lungi dall’integrare l’eccesso giurisdizionale denunciato, postulano in definitiva l’esercizio di un sindacato interpretativo sostitutivo di quello a cui ha dato luogo il giudice speciale, interno cioè ai limiti propri della giurisdizione di quel giudice e come tale non esercitabile da questa Corte ai sensi degli artt. 362 cod. proc. civ. e 111 Cost.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Alla conferma della proposta di definizione accelerata, secondo le ragioni enunciate dalla medesima, segue ex art. 380bis cod. proc. civ., l’applicazione dell’art. 96, commi 3 e 4
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di della parte controricorrente, in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; condanna, altresì, la ricorrente al pagamento della somma di Euro 2.500,00 in favore della parte controricorrente e al pagamento dell’ulteriore
importo di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezioni Unite civili il giorno 12.11.2024.
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME