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Eccessiva durata processo: valore causa e indennizzo

Due società si sono viste negare l’indennizzo per l’eccessiva durata di una procedura fallimentare perché il loro credito era stato giudicato ‘irrisorio’ rispetto al patrimonio netto. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che per valutare l’irrisorietà della pretesa si deve considerare il valore assoluto della causa e la natura del diritto violato, non il suo impatto percentuale sul patrimonio del creditore. La Corte ha chiarito che crediti di decine di migliaia di euro non possono essere considerati insignificanti, garantendo così il diritto all’equa riparazione.

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Eccessiva Durata Processo: Il Valore Assoluto della Causa Prevale sul Patrimonio Societario

L’indennizzo per l’eccessiva durata processo rappresenta un diritto fondamentale per cittadini e imprese, ma come si determina se una causa ha un valore troppo basso per giustificare un risarcimento? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento cruciale, stabilendo che la ‘irrisorietà’ di una pretesa va valutata in termini assoluti e non in rapporto al patrimonio del danneggiato. La decisione nasce dal ricorso di due società che si erano viste negare l’indennizzo per un procedimento fallimentare durato oltre vent’anni.

Il Caso: Dalla Compensazione Iniziale al Diniego in Appello

Due società avevano ottenuto in primo grado un indennizzo per l’eccessiva durata di una procedura fallimentare, iniziata nel 1999 e conclusasi solo nel 2021. Tuttavia, il Ministero della Giustizia aveva impugnato la decisione. La Corte d’Appello, in composizione collegiale, aveva ribaltato il verdetto, revocando l’indennizzo.

La motivazione della Corte territoriale si basava su un calcolo puramente relativo: i crediti delle società nel fallimento (rispettivamente di circa 29.000 e 26.000 euro) rappresentavano una percentuale minima (0,40% e 0,09%) del loro patrimonio netto. Per questo, la Corte d’Appello aveva ritenuto la ‘posta in gioco’ irrisoria, applicando la presunzione di insussistenza del pregiudizio prevista dalla legge.

La Decisione della Cassazione sull’Eccessiva Durata Processo

Le società hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione, sostenendo una violazione e falsa applicazione della normativa sull’equa riparazione, anche alla luce dei principi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la decisione d’appello e rinviando il caso per un nuovo esame.

L’Errata Valutazione della ‘Posta in Gioco’

La Cassazione ha censurato l’approccio della Corte d’Appello. Il giudice di secondo grado ha commesso un errore nel dedurre l’esiguità della posta in gioco unicamente dall’incidenza della pretesa economica sul patrimonio delle società richiedenti. Questo approccio si concentra solo sulle ‘conseguenze’ della violazione, trascurando la valutazione dell’irrisorietà della pretesa in sé o del valore della causa.

Il Criterio Corretto: Valore Assoluto e Natura del Diritto

Secondo la Suprema Corte, per stabilire se si ha diritto a un indennizzo per l’eccessiva durata processo, la valutazione non può basarsi su un mero confronto percentuale. È necessario invece considerare:

1. Il valore assoluto della pretesa: Crediti di quasi 30.000 euro non possono essere definiti ‘irrisori’ o di carattere ‘bagatellare’.
2. La natura del diritto violato: Bisogna analizzare la gravità dell’incidenza della violazione sull’esercizio di un diritto.
3. La giurisprudenza europea: La Corte EDU valuta la ‘posta in gioco’ considerando tutti gli aspetti del caso, non solo il rapporto matematico tra credito e patrimonio.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione richiamando la giurisprudenza consolidata, sia nazionale che europea. Ha sottolineato che la legge n. 89 del 2001, che disciplina l’equa riparazione, deve essere interpretata in conformità con l’articolo 6 della CEDU. La nozione di ‘irrisorietà della pretesa’ non può essere usata per svuotare di significato il diritto a un processo di ragionevole durata. Focalizzarsi esclusivamente sull’impatto patrimoniale per una società di capitali sarebbe un’errata applicazione della norma, che invece richiede una valutazione complessiva del valore della causa e della violazione subita. L’analisi deve quindi riguardare l’importanza oggettiva della controversia e non la sua rilevanza soggettiva per il portafoglio di una parte.

Le Conclusioni

In definitiva, la Corte di Cassazione ha stabilito un principio di diritto fondamentale: il diritto all’indennizzo per l’eccessiva durata di un processo non può essere negato basandosi sulla sola incidenza percentuale del credito vantato rispetto al patrimonio netto della società. La valutazione deve essere oggettiva e considerare il valore assoluto della pretesa. Questa ordinanza rafforza le tutele per le imprese e i cittadini, assicurando che anche crediti di valore non milionario, ma comunque significativo, ricevano adeguata protezione contro le lungaggini della giustizia.

Quando una pretesa economica in un processo può essere considerata ‘irrisoria’ per negare l’indennizzo da eccessiva durata?
Secondo la sentenza, una pretesa non è ‘irrisoria’ solo perché rappresenta una piccola percentuale del patrimonio del creditore. La valutazione deve basarsi sul suo valore assoluto e sulla natura del diritto violato. Crediti di decine di migliaia di euro, come nel caso di specie, non sono considerati irrisori.

Il patrimonio di una società è rilevante per decidere se ha diritto all’indennizzo per l’eccessiva durata di un processo?
No, non è l’unico né il principale fattore. La Corte ha stabilito che è errato dedurre l’assenza di un pregiudizio basandosi unicamente sull’incidenza della pretesa economica sul patrimonio societario. La valutazione deve essere più ampia e considerare il valore oggettivo della causa.

Cosa ha stabilito la Corte di Cassazione in questo caso specifico?
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso delle due società, cassando la decisione della Corte d’Appello. Ha ordinato un nuovo giudizio che dovrà attenersi al principio secondo cui la valutazione dell’irrisorietà della pretesa deve considerare il suo valore assoluto e non il rapporto percentuale con il patrimonio del creditore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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