Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33233 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33233 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19402/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in persona dei rispettivi rappresentanti legali, elettivamente domiciliate a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE, l’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI n. 342/2022 depositato il 17/05/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La Corte d’Appello di Napoli in persona del Consigliere Designato riconosceva in favore di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE l’indennizzo per l’eccessiva durata della procedura fallimentare svoltasi innanzi al Tribunale di Avellino a decorrere dal 22.03.1999, data di emissione della sentenza dichiarativa di fallimento, al 28.04.2021, data di deposito del decreto di chiusura non comunicato ai creditori.
Il decreto veniva impugnato dal Ministero della Giustizia innanzi alla Corte d’Appello di Napoli in composizione collegiale che revocava il decreto monocratico.
In accoglimento delle tesi avanzate dalla difesa erariale, il giudice dell’opposizione riteneva di dover escludere la presunzione di danno per irragionevole durata della procedura fallimentare in applicazione dell’art. 2, comma 2sexies lett. g) della legge n. 89 del 2001. Precisava la Corte distrettuale che il raffronto tra i crediti ammessi al passivo (€ 29 .128,16 per RAGIONE_SOCIALE, pari allo 0,40% del suo patrimonio netto; € 26.264,23 per RAGIONE_SOCIALE s.p.a., pari allo 0,09% del suo patrimonio netto) e le situazioni economico-finanziarie delle società opposte induceva ad escludere la presunzione della sussistenza di un pregiudizio per l’irragionevole durata del processo.
Il decreto veniva impugnato da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE per la cassazione e affidato ad un unico motivo di ricorso illustrato da memoria, contrastato da controricorso depositato dal Ministero della Giustizia.
CONSIDERATO CHE:
1. Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, comma 2sexies lettera g) della legge 24 marzo 2001, n. 89, in relazione all’art. 6, par. 1 della CEDU, all’art. 1 del primo protocollo addizionale e degli artt. 111 e 117 della Costituzione. A giudizio delle ricorrenti, la Corte d’Appello ha errato violando la legge le norme menzionate in quanto nessuno dei due crediti delle odierne ricorrenti era da considerarsi irrisorio, quantomeno nella corretta interpretazione della legge n. 89 del 2001 in relazione all’insegnamento della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte di legittimità.
1.1. Il motivo è fondato.
L’art. 2, comma 2 -sexies , della legge n. 89 del 2001, introdotto dalla legge n. 208 del 2015, prevede un elenco di presunzioni iuris tantum di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo. Le ipotesi considerate costituiscono prova completa, alla quale il giudice di merito può legittimamente ricorrere, anche in via esclusiva, salvo pur sempre il limite della motivazione del proprio convincimento, nonché quello dell’esame degli eventuali elementi indiziari contrari al fatto ignoto dell’ inesistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, che si pretende legislativamente di desumere tramite l’allestita presunzione.
Alla nozione di ‹‹irrisorietà della pretesa o del valore della causa›› si deve attribuire il significato che si trae dalla giurisprudenza consolidata della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dalla quale non è permesso di discostarsi nell’esercizio del po tere interpretativo garantito al giudice nazionale in sede di applicazione dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, in quanto la legge n. 89 del 2001 fornisce unicamente un rimedio giurisdizionale interno che permette di assicurare la sussidiarietà dell’inter vento del giudice convenzionale.
La Corte EDU, nella valutazione delle condizioni di ricevibilità ai sensi dell’art . 35 § 3, lettera a) della Convenzione, afferma che un ricorrente abusa del ricorso individuale presentato ai sensi dell’art . 34 qualora, ad esempio, il ricorso sia manifestamente privo di una reale finalità, riguardi una somma di denaro irrisoria o comunque non incida minimamente sui legittimi interessi del ricorrente.
La giurisprudenza di questa Corte ha parametrato la c.d. «posta in gioco», ai sensi dell’art. 12 del Protocollo n. 14 alla CEDU, ad una soglia minima di gravità, al di sotto della quale il danno non è indennizzabile, ritenendo di doverla apprezzare nel duplice profilo della violazione e delle conseguenze, sicché dall’ambito di tutela della legge 24 marzo 2001, n. 89 resterebbero escluse sia le violazioni minime del termine di durata ragionevole, di per sé non significative, sia quelle di maggior estensione temporale, ma riferibili a giudizi presupposti di carattere bagatellare, in cui esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e processuali connessi (per tutte: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 633 del 14/01/2014, Rv. 628986 -01 ; di recente: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 3803 del 2024; Sez. 2, Ordinanza n. 3776 del 2024; Sez. 2, Ordinanza n. 3970 del 2024 Cass. n. 11228/2019).
L ‘orientamento menzionato valuta la posta in gioco con riferimento, nel caso concreto, sia alle caratteristiche ed entità del processo presupposto (qualora, ad esempio, abbia ad oggetto pretese di entità minima, al di sotto dei 500,00 euro, che peraltro rileva non già per escludere del tutto l’indennizzo, bensì per consentire di scendere al di sotto della soglia minima del parametro numerico di liquidazione: Cass. n. 974/2020), sia alla condizione sociale e personale del richiedente.
Il riferimento alle «condizioni personali della parte» assume, poi, una specifica dimensione ove si tratti di equa riparazione per irragionevole durata del processo in favore di persone giuridiche, ed in particolare di società di capitali, per il danno provocato alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri (secondo le indicazioni delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, 6 aprile 2000, RAGIONE_SOCIALE Portugal ; 8 giugno 2004, RAGIONE_SOCIALE France ), giacché le esigenze di adeguata patrimonializzazione di tali soggetti, imposte dalla vocazione imprenditoriale, non possono costituire automatica ragione di esclusione dei medesimi dalla titolarità del diritto all’indennizzo.
1.2. Tanto precisato, ritiene il Collegio che, nel caso di specie, la Corte d’Appello di Napoli, pur condividendo i principi enunciati dalla giurisprudenza convenzionale e di questa Corte, non ne trae le corrette conseguenze applicative: essa ha dedotto l’esiguità della posta in gioco unicamente dall’incidenza della pretesa economica sul patrimonio societario delle due richiedenti (quindi, unicamente sulle conseguenze della violazione), senza valutare l’ irrisorietà della pretesa o il valore della causa (posto che i crediti ammessi al passivo ammontavano a € 29.128,16 per Tecnofirma s.p.a. e a € 26.264,23 per Bicomet s.p.a.), né operare alcuna comparazione rispetto a tutti i profili di indagine attinenti alla violazione del diritto e, in particolare, alla natura del diritto che si presume violato e alla gravità dell’incidenza della violazione allegata all’esercizio di un diritto (Corte EDU, causa Giusti c. Italia , n. 13175/2003).
In definitiva, il Collegio accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato, con rinvio de l giudizio alla medesima Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, che esaminerà la vicenda alla luce
dei principi sopra illustrati e deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso;
cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda