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Eccessiva durata processo: l’inerzia esclude il danno

Un accademico cita in giudizio lo Stato per l’eccessiva durata di un processo amministrativo durato oltre 20 anni. La Corte di Cassazione rigetta la sua richiesta di risarcimento. La ragione? Dopo aver ottenuto un provvedimento cautelare che lo soddisfaceva pienamente, il ricorrente è rimasto completamente inattivo per due decenni, dimostrando un’assenza di interesse e di sofferenza che, secondo la Corte, esclude il diritto all’indennizzo.

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Pubblicato il 17 agosto 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Eccessiva Durata del Processo: Se la Parte è Inerte, il Diritto al Risarcimento Svanisce

La lentezza della giustizia è un problema noto che affligge il nostro sistema, causando notevoli disagi ai cittadini. Per porvi rimedio, la Legge Pinto ha introdotto il diritto a un’equa riparazione per l’eccessiva durata del processo. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale: questo diritto non è incondizionato. Se la parte che lamenta il ritardo ha contribuito con la propria inerzia, può perdere il diritto al risarcimento.

I Fatti del Caso: Un’Attesa Lunga Vent’Anni

La vicenda ha inizio nel 1991, quando un accademico impugna davanti al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) il provvedimento che lo escludeva da un concorso per professore associato. Il TAR accoglie la sua richiesta di sospensione cautelare, ammettendolo di fatto al concorso. Questo provvedimento, sebbene temporaneo, gli garantisce il risultato che sperava di ottenere con la sentenza finale.

Da quel momento, per i successivi vent’anni, il ricorrente non compie alcuna azione per sollecitare la definizione del giudizio. Nessuna istanza di prelievo, nessuna richiesta di fissazione di udienza. Trascorsi quasi 21 anni, nel 2012, decide di agire contro il Ministero dell’Economia per ottenere un risarcimento di 15.000 euro a causa dell’eccessiva durata del processo.

La Decisione della Corte di Cassazione

Dopo un complesso iter giudiziario, la questione giunge alla Corte di Cassazione, che rigetta definitivamente il ricorso dell’accademico. La Corte stabilisce che, sebbene lo Stato abbia il dovere di concludere i processi in tempi ragionevoli, il comportamento processuale della parte è un elemento determinante per valutare il diritto all’indennizzo. L’inattività totale del ricorrente per un periodo così lungo è stata interpretata come una concausa del ritardo e, soprattutto, come prova della sua mancanza di interesse a una rapida conclusione della vicenda.

Le Motivazioni: L'”Indifferenza” che Annulla il Danno

Il cuore della motivazione della Corte risiede nell’analisi del comportamento del ricorrente. Dopo aver ottenuto il provvedimento cautelare che soddisfaceva pienamente la sua pretesa (l’ammissione al concorso), egli ha mostrato una “assoluta indifferenza” per le sorti del processo di merito.

Secondo i giudici, questa prolungata inerzia dimostra ragionevolmente una “mancanza di interesse o indifferenza” e, di conseguenza, un'”assenza di sofferenza”. Il danno non patrimoniale derivante dall’ansia e dall’incertezza per l’esito del giudizio, che è il fondamento del risarcimento per l’eccessiva durata, non può essere riconosciuto a chi, di fatto, si è disinteressato della causa per vent’anni.

La Corte ha specificato che il mancato assolvimento dell’onere di sollecitare il processo, specialmente dopo aver ottenuto un provvedimento cautelare così soddisfacente, interrompe il nesso causale tra il ritardo dello Stato e il presunto danno subito. In altre parole, non si può rimanere inerti per decenni e poi pretendere un risarcimento per un ritardo a cui si è contribuito con il proprio disinteresse.

Conclusioni: L’Importanza della Diligenza Processuale

Questa ordinanza offre un insegnamento di grande rilevanza pratica: il diritto all’equa riparazione per l’eccessiva durata del processo non è un diritto automatico. I cittadini e i loro legali hanno un ruolo attivo da svolgere. Non basta avviare una causa; è necessario dimostrare un interesse concreto e costante alla sua definizione.

Ottenere un provvedimento cautelare favorevole non autorizza ad abbandonare il processo. Al contrario, la parte deve continuare a coltivare la causa, ad esempio tramite istanze di prelievo, per dimostrare al giudice che la pendenza del giudizio continua a generare uno stato di incertezza e sofferenza. L’inerzia processuale può essere interpretata come un segnale di disinteresse, con la conseguenza di veder svanire il diritto a essere risarciti per la lentezza della giustizia.

L’ottenimento di un provvedimento cautelare favorevole esclude il diritto al risarcimento per l’eccessiva durata del processo?
No, di per sé non lo esclude. Tuttavia, se il provvedimento soddisfa pienamente le pretese del ricorrente e quest’ultimo rimane completamente inerte per un periodo molto lungo, la sua condotta può dimostrare un’assenza di sofferenza e interesse, portando al rigetto della richiesta di risarcimento.

La totale inattività di una parte in un processo può essere considerata una concausa del ritardo?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il comportamento processuale del ricorrente, in questo caso la sua totale “indifferenza” per oltre vent’anni, è una “concausa” dell’anomala durata del giudizio e dimostra la sua mancanza di interesse a una definizione rapida della controversia.

Per ottenere un risarcimento per l’eccessiva durata del processo è sempre necessario dimostrare di aver sollecitato il procedimento?
La sentenza chiarisce che la mancata presentazione di istanze per accelerare il processo (come le “istanze di prelievo”) è un elemento fondamentale che il giudice valuta. Tale omissione dimostra ragionevolmente la mancanza di interesse o di sofferenza del ricorrente rispetto alla conclusione della controversia, in particolare se ha già ottenuto un provvedimento cautelare che lo ha soddisfatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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