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Eccessiva durata del processo: risarcimento di 2.400€

La Corte di Appello di Cagliari ha condannato il Ministero a risarcire due creditori per l’eccessiva durata del processo fallimentare in cui erano coinvolti. La procedura, durata oltre 12 anni, ha superato di 6 anni il termine ragionevole. La Corte ha liquidato un indennizzo di €2.400 per ciascun ricorrente, basato su un importo di €400 per ogni anno di ritardo, oltre agli interessi e alle spese legali.

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L’eccessiva durata del processo fallimentare: quando scatta il risarcimento

Quando una procedura giudiziaria si protrae per anni, i cittadini possono subire un danno che va oltre la questione oggetto del contendere. Per questo, l’ordinamento italiano prevede il diritto a un’equa riparazione per l’eccessiva durata del processo, in applicazione di un principio sancito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Un recente decreto della Corte di Appello di Cagliari offre un chiaro esempio di come questo diritto venga tutelato, in particolare nel contesto complesso delle procedure fallimentari.

I fatti del caso

La vicenda trae origine dal fallimento di una società, dichiarato dal Tribunale di Cagliari nel lontano 2011. Due ex dipendenti, creditori della società fallita, venivano ammessi allo stato passivo nel giugno 2012 per somme consistenti, relative a crediti da lavoro. Nonostante avessero ricevuto un acconto dal Fondo di Garanzia dell’Inps nel 2013, la procedura fallimentare, a distanza di oltre dieci anni, risultava ancora pendente.

Ritenendo leso il loro diritto a una definizione della procedura in tempi ragionevoli, i due creditori si sono rivolti alla Corte di Appello per ottenere un indennizzo per il danno non patrimoniale subito a causa del ritardo, citando in giudizio il Ministero competente.

Eccessiva durata del processo: il calcolo della Corte

La Corte di Appello ha accolto la domanda, ritenendola fondata. Per stabilire l’eccessiva durata del processo, il giudice ha dovuto innanzitutto definire il periodo di riferimento. Il calcolo è iniziato non dalla data della dichiarazione di fallimento, ma dal momento in cui i creditori sono stati ammessi allo stato passivo (18 giugno 2012), considerato il dies a quo per i loro interessi. Il periodo si è concluso con il deposito del ricorso per l’equa riparazione (9 agosto 2024).

La durata complessiva del coinvolgimento dei ricorrenti nella procedura è stata così quantificata in 12 anni, 1 mese e 22 giorni. La Corte ha stabilito che la durata ragionevole per una procedura di questo tipo è di 6 anni. Di conseguenza, il ritardo ingiustificato è stato calcolato in 6 anni, escludendo le frazioni inferiori ai sei mesi, come previsto dalla legge.

Le motivazioni

La decisione della Corte si fonda sull’applicazione della Legge n. 89/2001 (nota come ‘Legge Pinto’). Il giudice ha determinato l’indennizzo basandosi sui criteri dell’art. 2-bis della stessa legge, che prevede una forbice tra 400 e 800 euro per ogni anno di ritardo. In questo caso, è stato applicato il parametro minimo di 400 euro per anno.

L’indennizzo è stato quindi liquidato in 2.400 euro per ciascun ricorrente (400 euro x 6 anni). La Corte ha inoltre disposto il pagamento degli interessi legali dalla data della domanda fino al saldo effettivo e ha condannato il Ministero al pagamento delle spese processuali, liquidate secondo i parametri minimi previsti dalle tabelle forensi, disponendone la distrazione in favore del legale antistatario.

Conclusioni

Questo decreto riafferma un principio fondamentale: la giustizia lenta è una forma di ingiustizia. La pronuncia è significativa perché chiarisce che il diritto all’equa riparazione per l’eccessiva durata del processo è tutelabile anche se la procedura principale, come un fallimento, non si è ancora conclusa. Stabilisce inoltre un punto di riferimento chiaro per il calcolo del ritardo nelle procedure concorsuali, individuando nell’ammissione al passivo il momento da cui far decorrere il tempo per il creditore. La decisione conferma che lo Stato è responsabile per le inefficienze del sistema giudiziario e deve indennizzare i cittadini che ne subiscono le conseguenze.

Da quando si calcola la durata di un processo fallimentare ai fini dell’equa riparazione per un creditore?
Secondo il decreto, il periodo rilevante inizia a decorrere dalla data di ammissione del credito allo stato passivo, poiché è da quel momento che il creditore ha un interesse diretto nella procedura.

Quanto spetta come risarcimento per l’eccessiva durata del processo?
La legge prevede un indennizzo che va da 400 a 800 euro per ogni anno di ritardo. Nel caso esaminato, la Corte ha liquidato 400 euro per ciascuno dei 6 anni di ritardo accertato, per un totale di 2.400 euro a persona.

È possibile chiedere un’equa riparazione anche se la procedura principale non è ancora conclusa?
Sì, la Corte ha confermato che l’azione per l’equa riparazione è ammissibile anche se il procedimento presupposto (in questo caso, il fallimento) è ancora pendente, come stabilito dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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