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Durata ragionevole processo: il tempo per pagare escluso

La Corte di Cassazione ha stabilito che nel calcolo della durata ragionevole del processo per equa riparazione (c.d. ‘Pinto su Pinto’), non deve essere computato il periodo di sei mesi concesso allo Stato per adempiere al pagamento dell’indennizzo. Questo tempo non è considerato ‘tempo del processo’, ma un termine per l’adempimento. La Corte ha quindi cassato la decisione della Corte di Appello che aveva erroneamente incluso tale periodo, rinviando per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Durata ragionevole processo: il tempo per pagare non si conta

Con l’ordinanza n. 18310 del 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulla durata ragionevole del processo nei casi di equa riparazione, noti come procedimenti ‘Pinto’. La questione centrale riguarda un aspetto cruciale: il periodo di tempo concesso all’Amministrazione per pagare l’indennizzo deve essere incluso nel calcolo della durata complessiva del procedimento? La risposta della Suprema Corte è netta e fornisce un chiarimento fondamentale per tutti i cittadini in attesa di un giusto ristoro.

I fatti di causa: una richiesta di equo indennizzo per un precedente ritardo

Il caso in esame nasce da un cosiddetto procedimento ‘Pinto su Pinto’. In pratica, alcuni cittadini, dopo aver ottenuto il diritto a un equo indennizzo per la lungaggine di un primo processo, hanno dovuto avviare un secondo procedimento per ottenere il risarcimento a causa dei ritardi accumulati proprio nella fase di pagamento del primo indennizzo. Questo secondo procedimento si articola in due fasi: una di cognizione, per accertare il diritto, e una esecutiva, per ottenerne il pagamento.

La Corte di Appello di Perugia, nel decidere sul caso, aveva liquidato un indennizzo ai ricorrenti, ma nel calcolare la durata complessiva del procedimento, aveva considerato ‘ragionevole’ un periodo che includeva anche i sei mesi e cinque giorni che la legge concede al Ministero per provvedere al pagamento spontaneo dell’indennizzo, prima che si possa avviare l’esecuzione forzata.

La violazione della durata ragionevole del processo e il ricorso in Cassazione

I cittadini hanno impugnato questa decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo un punto di diritto cruciale. A loro avviso, il lasso di tempo concesso al Ministero per pagare non è ‘tempo del processo’, ma un periodo amministrativo per l’adempimento. Includerlo nel calcolo della durata ragionevole del giudizio violerebbe i principi sanciti dalla normativa nazionale (Legge 89/2001) e sovranazionale (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo).

La difesa dei ricorrenti ha evidenziato come la fase di cognizione e quella di esecuzione, pur facendo parte di una sequenza unitaria, siano separate. Il tempo che intercorre tra la fine della prima e l’inizio della seconda, durante il quale il creditore attende il pagamento, non può essere computato ai fini della valutazione della durata del processo.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente il motivo del ricorso, cassando la decisione della Corte di Appello. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato nella loro giurisprudenza: la sequenza procedimentale per l’equa riparazione è unitaria, ma caratterizzata da una flessibilità temporale tra la fase di cognizione e quella esecutiva.

Il punto chiave è che il tempo intercorrente tra la definitività della decisione che accerta il diritto (fase di cognizione) e l’avvio della successiva fase esecutiva non è ‘tempo del processo’. Di conseguenza, il periodo di sei mesi e cinque giorni previsto dall’art. 5-sexies della Legge 89/2001, concesso all’amministrazione per pagare, non può essere sommato al termine di un anno considerato ragionevole per il grado di merito. La Corte di Appello ha quindi errato nel computare questo periodo come parte della durata tollerabile del procedimento.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della pronuncia

La decisione della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Stabilisce chiaramente che l’attesa per il pagamento da parte dello Stato, successiva a una sentenza favorevole, non può ‘neutralizzare’ il ritardo accumulato. Il calcolo della durata irragionevole deve basarsi esclusivamente sul tempo impiegato dalle autorità giudiziarie per giungere a una decisione e per portarla a esecuzione, una volta che questa viene avviata. Questa pronuncia rafforza la tutela del cittadino contro le inefficienze della pubblica amministrazione, distinguendo nettamente i tempi del giudizio da quelli dell’adempimento amministrativo e garantendo che il diritto a un’equa riparazione per l’eccessiva durata del processo sia calcolato in modo corretto e giusto.

Che cosa si intende per procedimento ‘Pinto su Pinto’?
È un ricorso per equa riparazione (ai sensi della Legge Pinto) presentato per ottenere un indennizzo a causa del ritardo subito in un precedente procedimento, che era anch’esso finalizzato a ottenere un’equa riparazione.

Il periodo di 6 mesi che la legge concede allo Stato per pagare l’indennizzo rientra nel calcolo della durata ragionevole del processo?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che questo periodo è un tempo concesso all’amministrazione per adempiere e non va computato nella durata del processo ai fini della valutazione della sua ragionevolezza.

Come viene considerato il tempo che passa tra la fine della fase di cognizione e l’inizio della fase esecutiva?
Secondo la giurisprudenza citata, il lasso di tempo intercorrente tra la definitività della decisione sul diritto e l’inizio della fase esecutiva non è computato nella durata complessiva della sequenza processuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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