Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8581 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8581 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 85/2024 R.G. proposto da: COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO DI SALERNO n. 699/2023 depositato il 21/12/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano opposizione ex art. 5 legge 24 marzo 2001, n. 89 innanzi alla Corte d’Appello di Salerno in composizione collegiale, avverso il decreto monocratico della medesima Corte con il quale, in accoglimento della domanda di equa riparazione proposta dalle parti opponenti per l’irragionevole durata del processo presupposto (riguardante l’utilizzo dei beni condominiali delle abitazioni private di proprietà dei ricorrenti) veniva ingiunto al Ministero della Giustizia il pagamento in favore degli istanti della somma di €. 1.440,00 cadauno, oltre interessi legali e il pagamento delle spese.
1.1. Gli opponenti lamentava no l’erroneo calcolo dell’indennizzo richiesto, in relazione: all’erronea individuazione del termine di ragionevole durata del giudizio di primo grado, in 4 anni anziché 3; all’erroneo scomputo del periodo pari a mesi 6 e giorni 27 per il rinvio disposto a causa della rinnovazione della citazione di parte attrice; all’erroneo scomputo di mesi 3 e giorni 16 per il rinvio richiesto per il tentativo di bonario componimento pendente tra le parti in causa; all’erronea sottrazione dall a durata irragionevole del periodo di sospensione dei termini processuali per l’emergenza Covid -19, pari a mesi 3 e giorni 22; all’illegittimità del decreto nella parte in cui veniva effettuata la riduzione dell’indennizzo per il numero delle parti superio ri a dieci, ai sensi dell’art. 2 -bis , comma 1bis legge n. 89/2001.
La Corte d’Appello ha rigettato l’opposizione con decreto n. 3281/2023, qui impugnato da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per la cassazione.
Il ricorso, affidato a cinque motivi, è illustrato da memoria.
Resiste il Ministero della Giustizia.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si deduce error in iudicando -violazione art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. -violazione ed errata applicazione delle norme di legge di cui agli artt. 2, comma 2bis della legge 24 marzo 2001, n. 89, 6 C.E.D.U. e 111, comma 1, Cost. -errore nell’individuazione ultra legale della durata ragionevole del processo di primo grado in quattro anni anziché in tre -violazione dei Principi espressi in materia dalla Corte Suprema di Cassazione di cui alle Decisioni nn. 13275/2022, 13273/2022, 32409/2021, 32192/2021 e 18839/2015. I ricorrenti osservano che il chiaro dato normativo e il recente orientamento interpretativo di questa Corte contraddicono quanto affermato nel decreto impugnato in merito al tempo della ragionevole durata del procedimento di primo grado, atteso che la durata ragionevole è prefissata dalla specifica disposizione di cui al comma 2bis , art. 2 della legge n. 89/2001, in tre anni e non in quattro.
1.1. Il primo motivo può essere esaminato congiuntamente al quinto, in quanto entrambi censurano la pronuncia nella parte in cui fissa la durata ragionevole del primo grado in quattro anni anziché in tre.
Entrambi sono infondati per le ragioni che seguono.
L ‘art. 2, comma 2, della legge n. 89 del 2001, recita: «Nell’accertare la violazione il giudice valuta la complessità del caso, l’oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del giudice durante il procedimento, nonché quello di ogni altro soggetto chiamato a concorrervi o a contribuire alla sua definizione».
L’art. 2, comma 2bis recita: «Si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se il processo non eccede la durata di
tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità».
L’art. 2, comma 2 -ter aggiunge: «Si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni».
Il D.L. n. 83 del 2012 (convertito con modificazioni dall ‘art. 1, comma 1, legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha disposto, con l’art. 55, comma 1, lettera a), numero 2), l’introduzione dei commi 2 -bis e 2ter ) è «segnato dall’intento del legislatore di sottrarre alla discrezionalità giudiziaria la determinazione della congruità del termine, per affidarla invece ad una previsione legale di carattere generale» (cfr., in motivazione, Corte cost. 36/2016).
La prima disposizione, come già rilevato dal Giudice delle leggi (Corte cost. 36/2016), nell’affermare che i relativi termini «si considerano rispettati», è univoca e non può che essere intesa nel senso che la durata ivi indicata deve considerarsi in ogni caso ragionevole se contenuta nel termine di legge. Sul punto, la Corte EDU -nei casi COGNOME e COGNOME c. Italia del 20 aprile 2010, COGNOME e Corrado c. Italia , del 5 giugno 2007 – ha osservato che il solo indennizzo del pregiudizio connesso alla durata eccedente il ritardo non ragionevole, come previsto dalla legge italiana n. 89 del 2001, si correla ad un margine di apprezzamento di cui dispone ciascuno Stato aderente alla CEDU, che può istituire una tutela per via giudiziaria coerente con il proprio ordinamento giuridico e le sue tradizioni, in conformità al livello di vita del Paese.
La seconda disposizione, letta anche alla luce del comma 2, pone un ulteriore limite «finale» di sei anni alla durata ragionevole di un giudizio giunto alla sua definizione in modo irrevocabile.
Da tanto si deduce che -fermi restando i limiti minimi di durata ragionevole segnati dal comma 2bis della norma in esame -il limite massimo può arrivare ai sei anni per la definizione del giudizio, accertata la complessità del caso, l’oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del giudice nonché quello di ogni altro soggetto chiamato a concorrervi o a contribuire alla sua definizione. In questo senso devono esser elette le pronunce rese sul tema da questa Corte e richiamate in ricorso (v. per tutte: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 13273 del 2022; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 38471 del 06/12/2021Rv. 663221 – 01).
Deve, pertanto, ritenersi corretta l’affermazione del la Corte d’Appello , laddove sostiene che «I termini previsti dalla suddetta norma … costituiscono dei parametri orientativi da cui il Giudice di merito può distaccarsi qualora rinvenga circostanze del caso concreto, giustificative di una superiore ragionevole durata».
2. Con il secondo motivo si deduce error in procedendo -violazione art. 360, co. 1, n. 4) cod. proc. civ. -violazione dell’art. 132, co mma 1, n. 4 cod. proc. civ. per illogicità della motivazione -ignoranza dei principi espressi in materia dalla Corte Suprema di Cassazione -contradditoria ipervalutazione nella motivazione che prima decurtava il temine irragionevole di un anno e successivamente lo riteneva non add otto per la determinazione dell’indennizzo e la pretestuosità della avversa domanda mal governata dal Giudice di merito -violazione dei Principi espressi in materia dalla Corte Suprema di Cassazione -difetto di motivazione, omessa perplessa e solo apparente con manifesta ed irriducibile contraddittorietà della stessa. I ricorrenti sottolineano l’errore nell’individuazione ultralegale della durata ragionevole in quattro anni anziché in tre a cagione di una contradditoria, omessa o
apparente motivazione che, da un lato, decurtava il termine irragionevole di un anno stante la maggiore complessità del giudizio presupposto; dall’altro, non lo riteneva addotto dalle parti ricorrenti ai fini delle maggiorazioni dell’indennizzo, ai sensi dell’art. 2, comma 2, legge n. 89 del 2001.
2.1. Il motivo è infondato.
Sulla determinazione del quantum dell’indennizzo, questa Corte ha avuto già occasione di affermare (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22347 del 25.07.2023; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28081 del 2021; Cass. Sez. 62, Ordinanza n. 25960 del 2021; Cass. n. 14521/2019; Cass. n.14974/2015) che l’art. 2bis della legge n. 89 del 2001, relativo alla misura ed ai criteri di determinazione dell’indennizzo, rimette al prudente apprezzamento del giudice di merito la scelta del moltiplicatore annuo, compreso tra il minimo ed il massimo ivi indicati, da applicare al ritardo nella definizione del processo presupposto, orientando il quantum della liquidazione equitativa sulla base dei parametri di valutazione, tra quelli elencati nel comma 2 della stessa disposizione, che appaiano maggiormente significativi nel caso specifico.
Nell’impugnata pronuncia si utilizzano i criteri orientativi della determinazione della durata ragionevole -ossia: la complessità del caso, l’oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del giudice durante il procedimento, nonché quello di ogni altro soggetto chiamato a concorrervi o a contribuire alla sua definizione -quali circostanze sintomatiche ai fini della giustificazione della durata ragionevole del procedimento presupposto superiore ai tre anni (v. decreto p. 2, righi 17 ss.). Criteri che, tuttavia, coincidono solo in parte (con riferimento, cioè, al comportamento del giudice e delle parti) con i parametri suggeriti al giudice dal legislatore ai fini della
quantificazione del l’indennizzo, ai sensi dell’art. 2 -bis , comma 2, legge n. 89 del 2001.
In definitiva, in ordine alla determinazione del moltiplicatore annuo, il decreto qui impugnato si limita a (implicitamente) confermare la somma complessiva liquidata dal primo giudice a ciascuno dei ricorrenti (€ . 1.440,00), avuto riguardo ad una valutazione complessiva operata dal secondo giudice, senza che il mancato riferimento alla valutazione analitica ex art. 2bis legge n. 89 del 2001 possa integrare l ‘ipotesi di motivazione omessa ovvero apparente o contraddittoria.
A tale ultimo proposito, è utile ricordare che questa Corte -alla luce della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis – ha precisato che detto vizio ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante: (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23123 del 28/07/2023, Rv. 668609 -01; Cass Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639 -01; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022, Rv. 664061; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145; Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526; Cass. Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016).
3. Con il terzo motivo si deduce error in iudicando -violazione art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. -errore nel considerare i convenuti ricorrenti nella medesima posizione degli attori consapevolmente proponenti una pretesa azzardata -errata applicazione degli artt. 2-
bis , co. 2, L. n. 89/2001 e 6 C.E.D.U., sulla riduzione della durata irragionevole per la rinnovazione della citazione, per il tentativo di bonario componimento e per la sospensione COVID. Il decreto viene censurato nella parte in cui ha scomputato taluni periodi dal calcolo della durata irragionevole, precisamente: mesi sei e giorni ventisette, per la rinnovazione della citazione nulla della parte attrice; mesi tre e giorni sedici per il tentativo di bonario componimento; mesi tre e giorni ventidue per sospensione Covid. In particolare, i ricorrenti considerano infondatamente decurtata in più parti, ai sensi dell’art. 2 -bis , comma 2, legge n. 89 del 2001, la riparazione della loro domanda di risarcimento, in quanto «vittime» della durata irragionevole del procedimento presupposto. Infatti, mentre essi, parte convenuta, erano stati proceduralmente diligenti ed erano in gran parte vittoriosi in primo grado, il rinvio della causa già predisposto e previsto oltre il termine di sospensione impediva, per difetto di sussunzione concreta, l’applicazione della sospensione Covid (v. Cass. SS.UU. n. 5292/2021 e Cass. n. 13726/2022), restando dunque la concreta estensione temporale del giudizio nella capacità di gestione del giudice. Inoltre, la responsabilità sia per la rinnovazione della citazione, sia per il mancato componimento della lite (ipotesi di sottrazione non prevista da nessuna norma, e atteso il successivo esito del giudizio sfavorevole a parte attorea ) nel caso di specie era chiaramente ascrivibile all’attore e non certamente agli incolpevoli convenuti, odierni ricorrenti.
3.1. Il motivo è infondato in tutti i suoi profili.
Come correttamente rilevato in motivazione (p. 3, righi 17-22 decreto impugnato) le sottrazioni effettuate dal primo giudice alla durata irragionevole corrispondono a situazioni in cui il ritardo non è imputabile all’amministrazione della giustizia e al relativo malfunzionamento e, pertanto, non possono essere fonte di indennizzo.
3.2. Ciò è evidente nel caso dei periodi di sospensione derivanti dalla rinnovazione dell’atto di citazione (Cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 24745 del 05/12/2016, Rv. 641911 -01), come anche dalla sospensione del giudizio per il tentativo di composizione bonaria, in quanto si tratta di tempi determinati dal comportamento delle parti e non da inefficienze dell’amministrazione della giustizia, a prescindere dalle responsabilità dettate dai rispettivi ruoli delle parti. Né ha pregio quanto argomentato in ricorso, riguardo la posizione degli odierni ricorrenti, convenuti nel giudizio presupposto, «vittime» della negligenza di parte attrice che ha dovuto procedere alla rinnovazione della notifica nei confronti di altre parti del giudizio: così argomentando si farebbe gravare sullo Stato un errore di parte attrice ovvero una scelta di composizione extragiudiziale della lite attribuibile alle parti.
3.3. Quanto, infine, alla sospensione Covid, correttamente il giudice dell’opposizione richiama l’art. 83, comma 10, D.L. n. 18/2020 (convertito con modifiche nella legge n. 27 del 2020, modificato ad opera dell’art. 36, comma 1, del D.L. 8 aprile 2020, n. 23, conv. con modif. dalla legge n. 40 del 2020), che recita: «Ai fini del computo di cui all’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, nei procedimenti rinviati a norma del presente articolo non si tiene conto del periodo compreso tra l’8 marzo e il 30 giugno 2020». In tema di normativa emergenziale di contrasto dell’epidemia da «Covid-19», la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali va applicata anche ai giudizi nei quali la decorrenza del termine di impugnazione risulti già sospesa al momento dell’entrata in vigore della citata legge (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 5393 del 21/02/2023, Rv. 667001 -03; v. anche: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 3085 del 07.02.2025), inclusi i termini di sospensione feriale.
4. Con il quarto motivo si deduce error in iudicando -violazione art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. -errore nel considerare i convenuti ricorrenti nella medesima posizione degli attori consapevolmente proponenti una pretesa azzardata -errata applicazione degli artt. 2bis , comma 1bis , legge n. 89/2001 e 6 C.E.D.U. sulla riduzione del venti per cento per il numero delle parti originarie superiori a dieci (Cass. n. 1835/2021) -interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata delle norme interne (L. Pinto) limitanti il pieno rispetto dell’art. 6 § 1 CEDU. Il Giudice collegiale in sede di opposizione confermava quanto deciso dal giudice monocratico, sottraendo il 20% dall’indennizzo perché le parti erano superiori a dieci, da intendersi il numero delle parti a prescindere dalla posizione processuale assunta nel giudizio. In tesi: presupposto di fatto principale per l’applicazione di detta decurtazione era la circostanza, non verificatesi nel caso di specie, della comunanza d’interesse nelle parti superiori a dieci, accomunate dal medesimo interesse a proseguire o far cessare la causa, quindi almeno dieci parti attrici o dieci parti convenute, ma sicuramente non dieci in tutto e, peraltro, nel caso di specie le parti, anche cumulativamente considerate, tra posizioni attoree e convenute, non erano nemmeno superiori a dieci, bensì solo dieci, atteso che due degli intervenuti nel giudizio presupposto erano sostituti di altre parti processuali.
4.1. Il motivo è infondato.
Per «parti» ex art. 2bis , comma 1bis legge n. 89 del 2001 il legislatore non intendeva le parti processuali, bensì i soggetti che hanno partecipato al giudizio presupposto, senza che rilevi la distinzione tra soggetti originari e soggetti sostituti, come argomentato in ricorso.
Tanto è dimostrato anche dal fatto che, allorquando il giudizio presupposto riguardi un fallimento -ove la compresenza di una pluralità significativa di soggetti è considerata la regola -questa Corte ritiene non applicabile la norma di cui si discute ( ex multis : Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 14602 del 24.05.2024; Cass. n. 734/2023; Cass. n. 25181/2021).
5. Con il quinto motivo si deduce error in procedendo -violazione dell’ art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. -violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia su specifici capi della domanda circa l’aumento dell’importo annuo dell’indennizzo e degli artt. 115, 116 e 132, co. 1, n. 4) cod. proc. civ. per travisamento della prova sul fatto -contradditoria ondivaga valutazione nella motivazione che prima decurtava il temine irragionevole di un anno e successivamente lo riteneva non addotto per l’aumento dell’indennizzo e la pretestuosità della avversa domanda mal governata dal giudice di merito -difetto di motivazione sul punto oggetto di specifica contestazione, motivazione omessa perplessa e solo apparente con manifesta ed irriducibile illogicità e contraddittorietà della stessa -rilevanza della interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata per la necessaria tutela della ragionevole durata del processo ex artt. 6, § 1 e 13 C.E.D.U., 24 Cost. e 111 Cost. in aderenza ai Principi di cui alle Decisioni della Cass. SS.UU.CC. n. 6312/2014 -nullità del Decreto in ordine alla complessità della causa presupposta, contenente solo formule stereotipate asetticamente trascritte e (quindi) priva di reale e riconoscibile motivazione e per fatale travisamento della prova sul fatto rappresentato da detta prova innegabilmente diverso da quello valutato. In sostanza, i ricorrenti impugnano la pronuncia nella parte in cui ritiene sufficiente la motivazione del Giudice monocratico che ha correttamente individuato le circostanze del caso concreto
sintomatiche di una maggiore complessità del caso e, di conseguenza, di una ragionevole durata superiore rispetto al parametro ordinariamente fissato in 3 anni. In particolare, si censura il decreto impugnato nella parte in cui condivide il convincimento del giudice monocratico, il quale rilevava – tra le circostanze sintomatiche di maggiore complessità del giudizio protrattosi oltre i tre anni – i numerosi subprocedimenti (cautelare ex art. 700 cod. proc. civ., procedimento di revoca dell’ordinanza cautela re) innestatisi nel procedimento principale.
5.1. Il quinto motivo è infondato per le ragioni esposte supra , punto 1.1.
6. In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
Non ricorrono ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del D.P.R. n. 115 del 2002 – i presupposti processuali per il raddoppio del contributo, trattandosi di ricorso per equa riparazione, come tale esente dal pagamento del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del Ministero della Giustizia controricorrente, che liquida in €. 750,00, oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda