Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20008 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 20008 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 11147 -2023 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOMENOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale sono rappresentati e difes i con l’avv. NOME COGNOME
giuste procure allegate al ricorso, con indicazione degli indirizzi con pec;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis ;
– controricorrente –
a vverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. cron. 3324/2022, depositato il 05/12/2022;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/1/2025 dal consigliere NOME COGNOME
sentito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso o, in subordine, la rimessione della causa alla Prima Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite;
lette le memorie del ricorrente.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME Russo, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME proposero ricorso ex art. 2 L. nr. 89/01 secondo la nuova formulazione introdotta dall’art. 55 della L. nr. 134/12, chiedendo l’indennizzo da irragionevole durata della procedura fallimentare di NOME NOME RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE, al cui passivo erano
stati insinuati in quanto creditori privilegiati, ancora pendente da circa 26 anni, computati dalle date di ammissione al passivo alla data di deposito del ricorso.
In fase monitoria, la Corte d’appello di Napoli valutò la durata ragionevole del processo presupposto in sette anni e applicò il parametro minimo di liquidazione di Euro 400,00 per anno, senza correttivi in aumento.
Con decreto n. cron. 3324/2022 del 5/12/2022, in parziale accoglimento dell’opposizione ex art. 5 ter l. 89/2001, la Corte d’ appello di Napoli in composizione collegiale rideterminò l’ammontare del compenso liquidato per ciascun istante, rigettando il motivo di opposizione concernente la determinazione della durata ragionevole.
Avverso il decreto i ricorrenti hanno proposto ricorso per Cassazione affidato a un unico motivo.
Il Ministero della Giustizia si è costituito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ. e a ll’esito dell’adunanza camerale fissata al 10.09.2024, con ordinanza interlocutoria n. 25837 del 2024 depositata il 27.09.2024, è stato rimesso alla trattazione in pubblica udienza, in considerazione del valore nomofilattico della statuizione chiesta a questa Corte con la censura formulata.
Il Pubblico Ministero ha chiesto l’accoglimento del ricorso o, in subordine, la rimessione della causa alla Prima Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite .
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con l’unico motivo di ricorso, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME Russo, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME
COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME hanno denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 bis, della legge 24/03/2001 n. 89 e la contestuale violazione e mancata applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. e degli artt. 6 parag. 1 e dell’art. 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo , per avere la Corte d’appello ritenuto ragionevole la durata della presupposta procedura fallimentare in sette anni in luogo dei sei anni previsti dal legislatore, sebbene l’indicazione normativa costituisca una predeterminazione sottratta alla discrezionalità giudiziaria perché vincolante ex lege .
Il motivo è fondato. L’articolo 55, comma 1, lettera a) del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 ha dapprima sostituito, con il n. 1, il comma 2 dell’art. 2 della legge 89/2001, prevedendo che «nell’accertare la violazione il giudice valuta la complessità del caso, l’oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del giudice durante il procedimento, nonché quello di ogni altro soggetto chiamato a concorrervi o a contribuire alla sua definizione».
Quindi, con il n. 2, ha aggiunto il comma 2 bis, secondo cui -per quel che qui rileva – «si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità. Ai fini del computo della durata il processo si considera iniziato con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notificazione dell’atto di citazione. Si considera rispettato il termine ragionevole se il procedimento di esecuzione forzata si è concluso in tre anni, e se la procedura concorsuale si è conclusa in sei anni.»
2.1. Prima della riforma del 2012, il comma 2 dell’art. 2 (che si differenziava dall’attuale formulazione per l’assenza del riferimento a «l’oggetto del procedimento», per l’inciso «in relazione alla stessa» che era inserito dopo «la complessità del caso» e per l’utilizzo del termine «ogni altra autorità» invece di «ogni altro soggetto») era interpretato quale norma contenente i criteri da utilizzare per individuare la durata ragionevole, come «mutuati dall’interpretazione data all’art. 6 della Convenzione EDU dalla Corte di Strasburgo»: il termine di durata ragionevole, nell’interpretazione di questa Corte, andava «determinato caso per caso, in relazione allo svolgimento del singolo procedimento» perché la sua determinazione non poteva «tradursi in formule aritmetiche fisse per determinate categorie di controversie o singole fasi del giudizio» né era «desumibile da dati di durata media ricavati da analisi statistiche» (Cass. Sez. 1, n. 13422 del 13/09/2002; Sez. 1, n. 17653 del 11/12/2002; Sez. 1, n. 16911 del 11/11/2003; Sez. 1, n. 25008 del 25/11/2005).
In tal senso, la nozione di ragionevole durata era intesa come avente non carattere assoluto, ma relativo, impossibile da determinarsi in termini prefissati, perché condizionata da parametri fattuali da verificarsi in concreto, in rapporto ai principi elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, strettamente legati alla singola fattispecie che impedirebbero di fissarla facendo riferimento a cadenze temporali rigide (Cass. Sez. 1, n. 9411 del 21/04/2006; Cass. Sez. 1, n. 10894 del 11/05/2006; Cass. Sez. 1, n. 15603 del 07/07/2006).
Si precisò pure, in conseguenza, che la determinazione della durata ragionevole costituiva giudizio di merito, seppure sindacabile in sede di legittimità per vizio di motivazione.
Prima ancora, nel 2004, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 1338 avevano rimarcato che l’approvazione della legge n. 89/2001 era
seguita alla necessità di prevedere un rimedio giurisdizionale interno contro le violazioni relative alla durata dei processi, allo scopo di realizzare la sussidiarietà dell’intervento della Corte di Strasburgo come sancita espressamente dalla Convenzione all’art. 35 : pertanto, era altrettanto necessario che la giurisdizione nazionale applicasse il diritto nazionale conformemente all’interpretazione del Giudice europeo, istituito dalla stessa Convenzione proprio per individuare il significato e la portata delle sue norme.
2.2. In questo quadro, il legislatore del 2012 riformulò l’art. 2 e inserì, di seguito al comma 2 (pure – come detto -modificato), il comma 2 bis, con cui diede precise indicazioni sulla durata ragionevole del giudizio ordinario in primo e secondo grado di merito e nel grado di legittimità, delle procedure esecutive e delle procedure concorsuali; con il comma 2 ter, quindi, dettò una norma di chiusura (così in ultimo Cass. Sez. 2, n. 29706 del 19/11/2024), prescrivendo la necessità di una valutazione complessiva del giudizio articolato nei tre gradi.
Di queste nuove norme è stata esclusa l’applicazione ai ricorsi depositati prima del trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (e, dunque, prima dell’ 11/9/2012), per la chiara formulazione della disposizione transitoria dettata dal comma 2 dello stesso art. 55: è stato rimarcato, infatti, che alle disposizioni introdotte nel 2012, «non può neanche riconoscersi natura di norme di interpretazione autentica, atteso che, se è vero che per alcuni aspetti vengono recepiti orientamenti della giurisprudenza di questa Corte mutuati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non vi è nulla nel d.l. n. 83 del 2012, che possa indurre a ritenere che il legislatore abbia inteso attribuire alle nuove disposizioni efficacia retroattiva, avendo anzi espressamente dettato
una specifica previsione per la entrata in vigore della nuova disciplina» (Cass. Sez. 2, n. 19897 del 22/09/2014).
È così che, pur nella vigenza del d.l. 83/2012, questa Corte ha confermato (Cass. Sez. 2, n. 23982 del 12/10/2017) che, ex comma 2 dell’art. 2 nella formulazione precedente la riforma del 2012, può essere ritenuta in sette anni la durata delle procedure fallimentari, secondo lo standard ricavabile dalle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo per le procedure notevolmente complesse a causa del numero dei creditori, della particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi, ecc.), della proliferazione di giudizi connessi o della pluralità di procedure concorsuali interdipendenti.
Il principio, affermato sempre in riferimento a un ricorso introdotto prima dell’11/9/2012, è stato più volte , univocamente, ribadito (tra le massimate, Cass. Sez. 2, n. 20508 del 29/09/2020).
2.3. Non così per i ricorsi ex l. n. 89/2001 proposti successivamente all ‘entrata in vigore della riforma del 2012.
In tali ipotesi, infatti, questa Corte ha talvolta affermato che, a seguito della novella dell’art. 2 co. 2 bis, che «considera» in sei anni la durata ragionevole delle procedure concorsuali, i termini oggi stabiliti per la durata ragionevole dei procedimenti giudiziari sono insuscettibili di autonoma valutazione da parte del giudice, perché predeterminati dal legislatore (Cass. Sez. 2, n. 2056 del 2019, in motivazione e Cass. Sez. 6 – 2, n. 19555 del 08/07/2021, massimate non sul punto).
In motivazione, il richiamo è stato anche alla sentenza n. 36 del 2016 della Corte Costituzionale, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2 -bis, della legge 24 marzo 2001, n. 89, nella parte in cui si applica alla durata del processo di primo grado previsto dalla stessa legge n. 89 del 2001.
2.3.1. Adita dalla Corte d’appello di Firenze per la conformità del comma 2 bis e 2 ter dell’art. 2 in ipotesi di durata irragionevole di un giudizio di equa riparazione (cosiddetto «Pinto al quadrato o Pinto bis»), la Corte Costituzionale aveva, infatti, affermato esplicitamente che «i commi 2-bis e 2-ter dell’art. 2, nell’affermare che il termine ivi indicato «si considera rispettato», sono univoci e non possono che essere intesi nel senso che tale termine va ritenuto ragionevole. Ciò appare tanto più vero, se si tiene a mente che questa affermazione è stata fatta nell’ambito di un intervento normativo segnato dall’intento del legislatore di sottrarre alla discrezionalità giudiziaria la determinazione della congruità del termine, per affidarla invece ad una previsione legale di carattere generale».
Aveva, quindi, rimarcato come fosse già stato precisato che «la discrezionalità del legislatore nella costruzione del rimedio giudiziale in questione, e in particolar modo nella specificazione dei criteri di quantificazione della somma dovuta, non si presta ‘ in linea astratta ad incidere sull’ an stesso del diritto, anziché sul quantum » (sentenza n. 184 del 2015), come invece accadrebbe se, per effetto della norma censurata (comma 2 bis, n.d.r), dovesse venire integralmente rigettata la domanda di equa riparazione».
2.4. Diversamente dalle pronunce precedentemente indicate, tuttavia, questa Corte ha ugualmente affermato, pur in caso di domanda proposta nella vigenza del comma 2 bis, la possibilità di individuare il limite della durata ragionevole in sette anni (Cass. Sez. 2, ordinanza n. 1286 del 2024; Cass. Sez. 2, ordinanza n. 16753 del 2022; Cass. Sez. 2, ordinanza n. 31274 del 2022), perché consentita dalla giurisprudenza della Corte EDU.
Si è resa perciò necessaria la trattazione in pubblica udienza al fine nomofilattico.
2.5. In realtà, proprio come puntualizzato dalla Corte Costituzionale (v. punto 2.3.1. di questa motivazione), la formulazione del nuovo comma 2 bis da parte del legislatore del 2012 è stata inequivoca: il legislatore ha infatti utilizzato il sintagma verbale «si considera rispettato» il termine ragionevole che esclude il diritto all’indennizzo («di cui al comma 1»), se il procedimento ordinario non abbia ecceduto il tempo indicato per ciascun grado e complessivamente e se le procedure esecutive e concorsuali si siano concluse nel numero di anni pure indicato.
Il verbo «considerare», nella forma riflessiva, corrisponde a «giudicarsi, reputarsi, ritenersi, stimarsi»: come tale, la formulazione letterale, quale criterio cardine di interpretazione della legge per il suo carattere di oggettività e per il suo naturale obiettivo di ricerca del senso normativo maggiormente riconoscibile e palese, è già sufficiente a escludere la natura soltanto tendenziale dell’indicazione normativa , posto che, in questo comma, il legislatore non ha concesso al giudice alcuna facoltà di deroga discrezionale, come ad esempio ha fatto nel successivo art. 2 bis per la misura dell’indennizzo.
È sufficiente altresì, occorre precisarlo, a escludere che, come invece si è sostenuto in dottrina, la natura di mera presunzione di questa indicazione della durata, suscettibile di prova contraria da parte dell’Amministrazione, perché in tal senso non vi è alcuna indicazione, come invece è data nel comma 2 sexies dello stesso art. 2.
Invero, dai lavori preparatori del d.l. n. 83/2012, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese», risulta che l’art. 55 – con la riforma della legge 89/2001 -fu inserito «con finalità di razionalizzazione del relativo procedimento presso le Corti d’appello e di contenimento della spesa pubblica»: i giudizi sul diritto all’equa riparazione che dovevano decidere sulla fondatezza del ricorso e sulla liquidazione degli importi,
per la loro eccessiva durata, erano divenuti essi stessi fonte di domande di risarcimento (cosiddetti procedimenti «Pinto al quadrato o Pinto bis»), sicché fu delineato un nuovo modello procedimentale più snello, furono introdotti il filtro di ammissibilità, specifiche cause di non indennizzabilità, soglie predeterminate minime e massime per la misura delle somme risarcibili e fu «fissata», nella stessa legge, la misura della ragionevole durata delle differenti tipologie di giudizio, sulla base di parametri acquisiti dalla giurisprudenza (così nei lavori preparatori del decreto).
Con queste modifiche, in altri termini, si è voluta la razionalizzazione dello scrutinio delle domande di equo indennizzo in funzione di accelerazione dei relativi giudizi e di risparmio di spesa.
Come sottolineato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 184/2015), la Corte di Strasburgo, peraltro, nella sua massima composizione e dunque con pronuncia senz’altro valevole ad esprimere l’indirizzo vincolante del giudice europeo, ha accordato agli Stati un largo margine di apprezzamento nella costruzione di un rimedio compensatorio interno, che tenga conto delle peculiarità dell’ordinamento nazionale e dei livelli di vita del paese, fino al punto da giustificare indennizzi, pur sempre adeguati, ma inferiori a quelli ottenibili con un ricorso davanti alla Corte europea (Corte EDU, Grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, COGNOME RAGIONE_SOCIALE; sentenza 29 marzo 2006, COGNOME c. Italia).
2.6. Diversamente, poi, non può ritenersi neppure in riferimento al comma 2 che è rimasto, con l’intervento di riforma, collocato prima dell’indi cazione relativa alla durata ragionevole: con l’introduzione del comma 2 bis, pertanto, il precedente comma 2 più chiaramente e inequivocabilmente deve essere interpretato come diretto ad
individuare soltanto il tempo «irragionevole», cioè il tempo che effettivamente costituisce una «violazione» imputabile allo Stato.
Per altro verso, la fissazione dei parametri di durata ragionevole non pregiudica, così, l’aderenza della liquidazione al caso concreto, posto che, come detto, gli elementi del comma 2 possono essere considerati -con valutazione specifica riportata in motivazione -per ricondurre la durata irragionevole al caso esaminato.
Il ricorso è perciò accolto e il decreto impugnato deve essere cassato, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che esaminerà la domanda in applicazione del seguente principio di diritto: «a seguito della novella dell’art. 2 , con l’introduzione del comma 2 bis che ‘ considera ‘ rispettato il termine ragionevole se la procedura concorsuale si conclude in sei anni, la misura di questo termine è insuscettibile di autonoma valutazione da parte del giudice, perché predeterminata dal legislatore; la fissazione dei parametri di durata ragionevole non esclude, però, che il Giudice possa valutare gli elementi individuati nel comma 2 dello stesso articolo – dandone conto in motivazione -per misurare la durata irragionevole effettivamente imputabile allo Stato».
Statuendo in rinvio, la Corte deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda