Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22399 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22399 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12460 – 2023 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dalla quale è rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato ope legis ;
– controricorrente –
avverso il decreto di rigetto n. cronol. 490/2023 del 20 febbraio 2023, pubblicato il 21 febbraio 2023, della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA ;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/1/2025 dal consigliere NOME COGNOME letta la memoria del ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 3 l.n. 89/2001, NOME COGNOME chiese alla Corte d’appello di Venezia l’equo indennizzo per la durata irragionevole del procedimento di divorzio da lui iniziato il 7 novembre 2017 e conclusosi il 26 maggio 2021, con pronuncia di estinzione, in sede di legittimità, per la transazione intercorsa il 7 novembre 2017; chiese, altresì, il risarcimento dei danni patrimoniali, quantificati in Euro 94.854,48, conseguenti alla illegittima protrazione del giudizio, indicandoli nel aver dovuto s ubire l’imposizione dell’onere di un assegno di divorzio e successive azioni esecutive e denunce penali, tanto da essere costretto a transigere il giudizio.
Con decreto n. 609/2022, il Consigliere delegato della Corte d’appello di Venezia quantificò in 6 anni, 11 mesi e 23 giorni il ritardo indennizzabile, sottraendo dall’intera durata del giudizio il periodo di anni 6 indicato dal comma 2 ter dell ‘art. 2 l. 89/2001 e liquidando per ogni anno o frazione di anno superiore a sei mesi la somma di E. 500,00; respinse, invece, la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, non risultando prova del nesso causale diretto e non potendosi escludere l’avvenuto risarcimento già nel giudizio presupposto, con l’intervenuta transazione.
Con decreto n. cronol. 490/2023, la Corte d’appello di Venezia rigettò l’opposizione di COGNOME, confermando, per quel che qui ancora rileva, la correttezza del calcolo del tempo indennizzabile, la congruità del parametro annuo di liquidazione, l’insussistenza di nesso causale tra la durata irragionevole e gli asseriti danni, atteso che la debenza dell’assegno divorzile non dipende dalla durata del processo, il provvedimento che ne determina la misura è sempre modificabile e,
infine, considerato che non risultava alcun esito favorevole del giudizio proprio perché ne era stata dichiarata l’estinzione per intervenuta transazione.
Avverso questo decreto NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria; il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, NOME COGNOME ha lamentato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 ter, l.n. 89/2001 per avere la Corte d’appello errato nel calcolo dell’irragionevole durata del processo.
Il ricorrente sostiene che il ragionamento svolto dalla Corte porterebbe a svuotare di significato il comma 2 bis della medesima legge, che individua la durata ragionevole dei singoli gradi di giudizio; non sarebbe quindi ammissibile considerare unicamente il termine massimo complessivo indicato nei sei anni.
1.1. Il motivo è evidentemente infondato. Il giudizio presupposto si è articolato in tre gradi di giudizio e per principio ormai consolidato, da cui non sussistono né sono state offerte ragioni per discostarsi, l’art. 2, comma 2-ter, l. n. 89 del 2001, secondo cui il termine di durata ragionevole si considera rispettato se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni, costituisce norma di chiusura che implica una valutazione complessiva del procedimento che si sia articolato nei tre gradi (Sez. 2, n. 29706 del 19/11/2024, Sez. 2, n. 27782 del 30/10/2019, Sez. 6 – 2, n. 23745 del 06/11/2014).
Con il secondo motivo, il ricorrente ha denunciato, in riferimento al n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. , l’omesso esame di un fatto decisivo per aver e la Corte d’appello
stabilito il parametro annuo del l’indennizzo senza tenere in considerazione le peculiarità del caso concreto; in particolare, non avrebbe considerato i danni patrimoniali e non, consistiti questi ultimi in sofferenze e patemi d’animo per non aver egli avuto capienza reddituale sufficiente a far fronte agli obblighi imposti dal Tribunale e per aver dovuto in conseguenza subire, a causa dell’irragionevole durata del processo, numerose denunce penali, sequestri, pignoramenti, esecuzioni, trattenute del quinto e numerose altre azioni dalla controparte che, munita di titolo, seppur provvisorio, pretendeva la corresponsione puntuale e precisa di quanto aveva statuito il Giudice di primo grado.
Con il terzo motivo, pure articolato in riferimento al n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha sostenuto che la Corte d’appello avrebbe omesso l’esame di alcuni fatti rilevanti ai fini della valutazione della richiesta di risarcimento degli ulteriori danni subiti. Più nello specifico, il giudice di merito non avrebbe considerato né il parere favorevole della Procura Generale in merito alla revoca dell’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile, né l’ammontare di tutte l e somme medio tempore versate a causa dell’eccessiva durata del processo; non avrebbe considerato le procedure di esecuzione forzata che il ricorrente è stato costretto a subire per far fronte agli obblighi imposti dal Tribunale, i quali, se la durata fosse stata ragionevole, sarebbero certamente stati assolti in quanto più limitati, sia temporalmente che quantitativamente.
3.1. Entrambi i motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono infondati.
La Corte d’appello non ha affatto omesso la valutazione dei fatti asseritamente causanti danno allegati dal ricorrente; dopo aver esplicitamente chiarito che il protrarsi del pregiudizio costituisce il presupposto stesso per l’attribuzione dell’indennizzo e non un
parametro di liquidazione e che, comunque, il parametro è stato individuato in misura superiore al minimo proprio in considerazione degli interessi coinvolti, ha, al contrario, dato conto e considerato irrilevanti, motivando sul punto, tutti i fatti qui denunciati come non esaminati (v. dall’ultimo cpv di pag. 4 a pag. 6 del decreto impugnato).
In particolare, peraltro, ha rimarcato come «tutti i provvedimenti adottati al riguardo nel corso del primo e secondo grado del giudizio -il rigetto delle due richieste di modifica dei provvedimenti provvisori, così come le sentenze di primo grado e d’appello hanno confermato la debenza dell’assegno divorzile, sia pure riducendone nel cors o del tempo l’entità ; né vi è prova che, in esito al giudizio di cassazione, sarebbe stata stabilita la non debenza ab initio dell’assegno, giacché il giudizio si è estinto in seguito al raggiungimento tra le parti di un accordo transattivo (tra l’altro preclusivo di eventuali iniziative ripetitorie)».
Questa motivazione costituisce corretta applicazione del principio consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo, la natura indennitaria dell’obbligazione esclude la necessità dell’accertamento soggettivo della violazione, ma non l’onere del ricorrente di provare la lesione della sua sfera patrimoniale quale conseguenza diretta e immediata di detta violazione, esulando il pregiudizio dalla fattispecie del «danno evento»: il danno patrimoniale risarcibile è, invero, soltanto quello in rapporto causale tra il ritardo nella definizione del giudizio e il pregiudizio sofferto, ma certamente non il pregiudizio che si innesta nella serie causale già in atto come fattore autonomo (nella specie, le iniziative giudiziarie subite) che comportano la degradazione delle cause preesistenti, la durata irragionevole, al rango di mere occasioni (cfr. tra le tante pronunce,
Sez. 6 – 2, n. 16327 del 30/07/2020; Sez. 2 – , n. 33004 del 17/12/2024).
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna del ricorrente NOME COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore del Ministero di Giustizia, liquidate in dispositivo in relazione al valore.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore del Ministero di Giustizia, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.940,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda