Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14598 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14598 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME COGNOME, nella qualità di eredi di COGNOME NOME, rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliati presso i loro recapiti digitali con indirizzi pec: EMAIL;
–
ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ‘ex lege’ dall’RAGIONE_SOCIALE e presso i suoi Uffici domiciliato, in Roma, INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso il decreto n. cronol. 3617/2022 del 14 ottobre 2022 RAGIONE_SOCIALE Corte di appello di Napoli, in composizione collegiale;
udita la relazione RAGIONE_SOCIALE causa svolta nell’adunanza camerale del 10 maggio 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso proposto ai sensi dell’art. 3 RAGIONE_SOCIALE l. n. 89/2001, NOME NOME, NOME e NOME, nella loro qualità di eredi di COGNOME NOME, chiedevano alla Corte di appello di Napoli il riconoscimento e la
R.G.N. 952/2023
C.C. 10/05/2024
EQUA RIPARAZIONE
liquidazione dell’equo indennizzo relativamente alla irragionevole durata di un giudizio previdenziale instaurato dalla predetta loro dante causa in data 1° dicembre 2008 e definito con sentenza del 26 gennaio 2021.
Il Consigliere delegato di detta Corte, con decreto emesso il 13 giugno 2022, accoglieva la domanda e condannava il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore dei ricorrenti ed a titolo di equo indennizzo, RAGIONE_SOCIALE somma di euro 2.700,00, nella qualità dagli stessi indicata ed in proporzione delle rispettive quote.
Decidendo sull’opposizione formulata dal citato RAGIONE_SOCIALE e nella costituzione degli opposti, la Corte di appello di Napoli, in composizione collegiale, lo riteneva fondato per quanto di ragione e, per l’effetto, previa revoca del decreto impugnato, in parziale accoglimento del ricorso per equa riparazione, condannava lo stesso RAGIONE_SOCIALE al pagamento RAGIONE_SOCIALE somma di euro 500,00 in favore dei tre COGNOME, da ripartirsi in proporzione delle rispettive quote ereditarie, oltre interessi legali dalla domanda. Compensava integralmente tra le parti le spese del giudizio.
A sostegno dell’adottato decreto, la Corte partenopea – pacifica la circostanza che i tre COGNOME aveva agito ‘iure hereditatis’ – accoglieva la ricostruzione prospettata dall’opponente RAGIONE_SOCIALE (richiamando l’ordinanza di questa Corte n. 25490/2021) nel senso che, in caso di appello proposto con ricorso (come avviene in materia previdenziale) e laddove la parte ricorrente per equa riparazione abbia ricoperto nel giudizio presupposto il ruolo di appellata, la detrazione del lasso temporale da computare debba essere calcolata non già sino alla data di deposito del ricorso in appello, bensì fino alla data RAGIONE_SOCIALE notifica del ricorso in appello alla parte appellata unitamente al pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di discussione.
Avverso il suddetto decreto collegiale hanno proposto un congiunto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, i tre NOME, resistito con controricorso dal RAGIONE_SOCIALE.
MOTIVI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., nonché dell’art. 1 del d. lgs. n. 150/2011, in relazione alla legge n.
89/2001, lamentando l’illegittimità RAGIONE_SOCIALE distinzione, operata nel decreto impugnato, tra le parti del giudizio presupposto previdenziale nel senso che, dal punto di vista RAGIONE_SOCIALE parte ricorrente, si deve avere riguardo alla data di deposito del ricorso, mentre, dal punto di vista RAGIONE_SOCIALE parte resistente, si deve porre riferimento alla data di notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione poiché soltanto da quest’ultimo momento verrebbe a verificarsi la litispendenza per la resistente.
2. Con il secondo motivo, i ricorrenti hanno dedotto – avuto riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 415, 417, 433 e 434 c.p.c., in relazione alla legge n. 89/2001, prospettando nuovamente l’irragionevolezza RAGIONE_SOCIALE rilevata scissione tra la data di pendenza del processo del lavoro o previdenziale (che si verifica, in secondo grado, al momento del deposito del ricorso da parte dell’appellante) e la data di notificazione del ricorso all’appellato, risultato vittorioso (totalmente o parzialmente) all’esito del giudizio di primo grado. 3. Con il terzo motivo, i ricorrenti hanno lamentato – con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 -bis RAGIONE_SOCIALE legge n. 89/2001. Sostengono, al riguardo, che se è indiscutibile, da un lato, che nelle controversie individuali di lavoro, la pendenza RAGIONE_SOCIALE causa si determina con il deposito del ricorso introduttivo in cancelleria, instaurandosi in quel momento un rapporto tra due dei tre soggetti tra i quali si svolge il giudizio, dall’altro è altrettanto vero che la notifica ha l’unico scopo di garantire la difesa del convenuto con l’instaurazione del contraddittorio, ragion per cui la previsione di tale sequenza processuale non può ridondare a svantaggio delle parti resistenti (nella specie appellate) con una riduzione del calcolo circa l’irragionevole durata del giudizio presupposto come ritenuta nel decreto impugnato.
4. Con il quarto ed ultimo motivo, i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 414, 433 e 434 c.p.c. sotto altro profilo ed in relazione all’art. 39, ultimo comma, c.p.c., deducendo, ulteriormente, che, anche in base alla disciplina sulla prevenzione, l’impugnato decreto è da ritenersi illegittimo dal momento che la parte appellata nel giudizio presupposto subisce le conseguenze o gli effetti derivanti da specifiche norme
processuali, senza darne causa e senza sua colpa, per cui risulta inspiegabile una cospicua riduzione del calcolo circa l’irragionevole durata di quel giudizio presupposto.
Rileva il collegio che i quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto all’evidenza connessi, risultando incentrati sulla medesima questione giuridica prospettata sotto vari profili.
Essi sono fondati per le ragioni che seguono.
La motivazione che la Corte di appello ha adottato nel decreto impugnato è, in via essenziale, la seguente:
per i procedimenti che iniziano con ricorso (come quelli in materia di lavoro e previdenziale) la litispendenza, per il ricorrente, si verifica dal momento del deposito del ricorso stesso, mentre per il resistente dal momento RAGIONE_SOCIALE notificazione del medesimo unitamente al pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di discussione;
nel caso di specie, la dante causa degli odierni ricorrenti era risultata vittoriosa all’esito del giudizio di primo grado (durato tre anni), la stessa era stata evocata in giudizio in secondo grado quale appellata, giudizio che, pur se da considerarsi iniziato per il RAGIONE_SOCIALE appellante con la data di deposito del ricorso in appello (23 settembre 2011), aveva visto quest’ultimo essere stato notificato alla COGNOME solo il 23 gennaio 2016 (cioè dopo oltre quattro anni, perché, evidentemente, l’udienza di discussione era stata fissata in appello con tale dilazione temporale per ragioni correlate alle esigenze dell’ufficio giudiziario e del carico del ruolo delle cause);
pertanto, il lasso temporale intercorso tra la data del deposito del ricorso in appello e il momento RAGIONE_SOCIALE sua notificazione all’appellata non si sarebbe dovuto computare ai fini del calcolo RAGIONE_SOCIALE durata complessiva del giudizio e, di conseguenza, allo scopo RAGIONE_SOCIALE determinazione di quella parte imputabile a durata irragionevole in funzione del riconoscimento dell’equo indennizzo (potendo equipararsi ad una sorta di intervallo temporale ‘neutro’, in applicazione dell’art. 2, comma 2 -quater RAGIONE_SOCIALE l. n. 89/2001), dovendosi così ritenere che il giudizio presupposto aveva avuto una durata complessiva effettiva di anni sei, mesi 1 e gg. 27, con la conseguente riduzione dell’equo indennizzo nella misura di euro 500,00
(considerata la durata ragionevole nell’ordine di cinque anni, con la derivante indennizzabilità di un solo anno di ritardo irragionevole).
La Corte di appello partenopea ha basato il suo riportato percorso logicogiuridico su un precedente di questa Corte rappresentato dall’ordinanza (non mass.) n. 25490/2021.
Secondo questa pronuncia, infatti, dall’interpretazione dell’art. 2 -quater RAGIONE_SOCIALE l. n. 89/2001, discenderebbero due principi (rilevanti in un caso di specie identico a quello oggetto del ricorso in esame), ovvero:
-il primo, secondo il quale, ai fini del computo RAGIONE_SOCIALE durata complessiva del giudizio, il processo si considera iniziato con il deposito del ricorso introduttivo;
-il secondo, in base al quale, sempre ai fini del calcolo di detta durata, non si ha riguardo al tempo in cui il processo è sospeso ed a quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione RAGIONE_SOCIALE stessa.
Di seguito, nella citata ordinanza di legittimità, si sostiene che tali principi vanno interpretati alla luce RAGIONE_SOCIALE ratio RAGIONE_SOCIALE normativa che è quella di indennizzare le parti dall’irragionevole durata del processo imputabile alle disfunzioni dell’apparato statuale, con la conseguenza che l’intervallo temporale da scomputare ai sensi dell’art. 2, comma quater l. n. 89/2001 era quello ricompreso fra l’inizio del termine per proporre l’impugnazione e quello RAGIONE_SOCIALE notifica dell’atto di appello, formulato nel giudizio presupposto, ad opera del RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale che aveva accolto la domanda introduttiva, atteso che sino a quel momento le parti vittoriose in primo grado non avevano patito alcun pregiudizio imputabile all’apparato statuale, poiché queste ultime non erano neppure erano a conoscenza RAGIONE_SOCIALE pendenza del giudizio di secondo grado instaurato dall’Amministrazione soccombente all’esito del processo di prime cure.
5.1. Ritine il collegio che la ricostruzione giuridica compiuta nel decreto impugnato non può essere condivisa perché collidente con l’impianto normativo RAGIONE_SOCIALE legge n. 89/2001 e, soprattutto, con la ratio RAGIONE_SOCIALE stessa correlata agli scopi che il legislatore ha inteso perseguire in caso di violazione del termine ragionevole del processo.
Sotto il primo profilo si osserva che non coglie nel segno l’approccio ermeneutico compiuto con riferimento al disposto dell’art. 2, comma 2 -quater, RAGIONE_SOCIALE citata legge, poiché:
-per un verso, il lasso di tempo intercorrente tra il deposito del ricorso nel processo del lavoro e la sua conseguente notificazione insieme al pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di discussione non può essere equiparato ad una ‘sospensione’ del giudizio;
-per altro verso, laddove la norma in discorso sancisce che, sempre ai fini del suddetto computo, non si valuta il tempo intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione (quando poi effettivamente avvenuta), intende riferirsi all’intervallo temporale tra il momento RAGIONE_SOCIALE pubblicazione o notificazione RAGIONE_SOCIALE pronuncia impugnabile e quello in cui – per evitare il passaggio in giudicato RAGIONE_SOCIALE stessa – il gravame sia effettivamente proposto ad opera RAGIONE_SOCIALE parte avente interesse (i cui termini sono individuati, in via generale, rispettivamente nell’art. 327 e 325 c.p.c.).
Inoltre, con espressione inequivocabile, l’art. 2, comma 2 -bis RAGIONE_SOCIALE c.d. ‘legge Pinto’, dopo aver fissato i distinti periodi di durata ragionevole per i tre gradi di giudizio, prevede che ‘ai fini del computo RAGIONE_SOCIALE durata il processo si considera iniziato con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notificazione dell’atto di citazione’.
Pertanto, risulta evidente che – al fine RAGIONE_SOCIALE tutela degli interessi generali cui è ispirata la legge n. 89/2001 – è il momento del deposito del ricorso, nei giudizi che vanno introdotti con tale tipo di atto processuale, quello in cui si considera incardinato il giudizio allo scopo del computo RAGIONE_SOCIALE durata complessiva del processo, da cui detrarre il periodo di durata ragionevole, per desumerne, conseguentemente, quello (eventualmente) irragionevole in funzione del riconoscimento del diritto all’ottenimento dell’equo indennizzo.
A tal fine, perciò, tutto il periodo successivo – la cui dilatazione non sia imputabile alle parti ma esclusivamente alle disfunzioni dell’apparato giudiziario – va, nell’ottica degli interessi salvaguardati dalla legge n. 89/2001, calcolato ai fini RAGIONE_SOCIALE determinazione RAGIONE_SOCIALE durata complessiva del giudizio (allo scopo, quindi, di quantificare quella da correlarsi a, periodo di durata irragionevole).
Questo implica che – diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello nella specifica fattispecie – il periodo intercorso tra il deposito del ricorso e il momento RAGIONE_SOCIALE sua effettiva notificazione alla parte appellata va, in ogni caso, computato per l’individuazione RAGIONE_SOCIALE durata complessiva del giudizio e non può, quindi, essere da essa detratto, non sortendo alcuna rilevanza – in funzione dell’applicazione RAGIONE_SOCIALE legge n. 89/2001 e RAGIONE_SOCIALE sua ratio – la scissione degli effetti processuali tra la posizione dell’appellante e quella dell’appellato.
A questo principio dovrà uniformarsi il giudice di rinvio.
Del resto, la giurisprudenza di questa Corte, proprio nell’ottica di salvaguardare la funzione e la ragionevolezza sottese all’approvazione RAGIONE_SOCIALE c.d. ‘legge Pinto’ (conseguente all’applicazione e alla valorizzazione nel nostro ordinamento RAGIONE_SOCIALE legislazione convenzionale, con particolare riferimento all’art. 6 § 1 RAGIONE_SOCIALE Convenzione EDU), ha statuito fermamente che, i n tema di equa riparazione ai sensi di detta legge nazionale, il superamento del termine ragionevole di durata del processo non può essere giustificato con il carico di lavoro gravante sull’ufficio giudiziario, poiché il riconoscimento del diritto al risarcimento si fonda proprio sull’inadeguatezza del sistema giudiziario rispetto ad una risposta in tempi ragionevoli alle istanze di giustizia avanzate dalle parti (cfr., ad es., Cass. n. 21100/2009).
Così si è anche precisato che l’inosservanza di termini processuali (proprio come quello previsto dall’art. 435, comma 1, c.p.c., il quale prevede che tra la data di deposito del ricorso in appello e l’udienza di discussione deve intercorrere -di regola – un periodo di sessanta giorni, non essendo oggettivamente tollerabile la fissazione di tale udienza a distanza di anni e, poi, far ricadere sulla parte appellata le conseguenze negative delle disfunzioni riconducibili al carico di lavoro RAGIONE_SOCIALE Corte di appello) è comunque rilevante quando determini il mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1, RAGIONE_SOCIALE Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, richiamato dall’art. 2 RAGIONE_SOCIALE citata legge, il quale è cosa diversa dai termini “legali” (Cass. n. 3143/2004 e Cass. n. 16542/2009). E’ stato, altresì, puntualizzato che, a i fini dell’accertamento RAGIONE_SOCIALE violazione del termine ragionevole del processo, ai sensi dell’art. 2,
comma 2, RAGIONE_SOCIALE legge 24 marzo 2001, n. 89, è necessario valutare il comportamento delle parti e del giudice durante il procedimento, nonché quello di ogni altro soggetto chiamato a concorrervi o a contribuire alla sua definizione, sicché integra lesione dell’art. 6, paragrafo 1, RAGIONE_SOCIALE Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il malgoverno degli strumenti processuali imputabile alla responsabilità personale del magistrato, in quanto comunque espressione RAGIONE_SOCIALE disfunzione organizzativa dell’amministrazione giudiziaria (v. Cass. n. 8534/2015 e Cass. n. 14750/2015).
5.2. Colgono, quindi, nel segno le censure dei ricorrenti laddove -nella loro essenza -sostengono che occorre aver riguardo, ai fini del computo RAGIONE_SOCIALE durata complessiva del processo del lavoro (anche in sede di appello, naturalmente) e perciò di quella consequenzialmente irragionevole (in via eventuale), al momento del deposito del ricorso perché è attraverso questa attività processuale che si manifesta la volontà del ricorrente di proporre la domanda, mentre, per il resto, gli effetti che ne derivano si producono oggettivamente quando siano addebitabili alle disfunzioni del ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e rimanga esclusa qualsiasi imputabilità alla parte che invoca l’equo indennizzo, nel senso di non aver dato ingiustificatamente causa all’eccessiva dilazione del giudizio.
Perciò -come assumono sempre i ricorrenti -non è condivisibile il decreto impugnato in considerazione degli effetti che scaturiscono dalla pendenza del processo da correlarsi -per gli scopi tutelati dalla legge n. 89/2001 – al solo momento del deposito del ricorso, senza che possa venire in rilievo la scissione, in funzione del computo dell’effettiva durata complessiva del giudizio, dei termini processuali avuto riguardo, da un lato, al momento RAGIONE_SOCIALE costituzione RAGIONE_SOCIALE parte ricorrente e, dall’altro lato, a quello da cui inizia a decorrere il termine per la costituzione RAGIONE_SOCIALE parte resistente (ovvero allorquando sia intervenuta l’effettiva notificazione del ricorso introduttivo e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di discussione nei suoi confronti).
Pertanto, nel caso di specie, la Corte di appello avrebbe dovuto computare -in funzione del calcolo complessivo RAGIONE_SOCIALE durata del giudizio -anche lo iato temporale decorrente dal deposito del ricorso in appello a
quello RAGIONE_SOCIALE sua notifica alla parte appellata, con conseguente rideterminazione ‘in melius’ per gli odierni ricorrenti dell’equo indennizzo (per effetto di una scaturente maggiore durata irragionevole dell’intero giudizio).
5.3. In definitiva, per le ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione del decreto impugnato e il derivante rinvio RAGIONE_SOCIALE causa dinanzi alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione collegiale, la quale, oltre ad uniformarsi al principio di diritto prima enunciato, provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione collegiale.
Così deciso nella camera di consiglio RAGIONE_SOCIALE Seconda Sezione civile RAGIONE_SOCIALE