Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16040 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16040 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 17686 – 2022 proposto da:
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME NOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale sono rappresentati e difesi, giusta procura allegata al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato ope legis ;
– controricorrente –
avverso il decreto n. cronol. 305/2021 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del 12/7/2021, depositato il 31/8/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
21/3/2024 dal consigliere COGNOME;
letta la memoria delle parti ricorrenti.
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME, riassumendo il
giudizio a seguito di declinatoria di competenza della Corte d’appello di Roma, chiesero alla Corte d’appello di Perugia l’indennizzo ex legge 89/2001 per l’irragionevole durata di un giudizio amministrativo instaurato nel febbraio 2000 e articolatosi in due gradi, il primo definito il 15/5/2002 e il secondo in data 31/12/2003 e del conseguente giudizio di ottemperanza, instaurato nel maggio 2005 e pure articolatosi in due gradi, il primo conclusosi in data 16/5/2006 e il secondo definitosi il 31/5/2007.
La Corte d’a ppello di Perugia dichiarò inammissibile per tardività la domanda relativa al giudizio di merito e rigettò per insussistenza di un ritardo indennizzabile la domanda relativa al giudizio di ottemperanza.
Con sentenza n. 17774/2020, questa Corte accolse il ricorso per essere operante nella fattispecie il principio affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 19883 del 2019, secondo cui nel caso di ricorso per equa riparazione relativo all’irragionevole durata di un presupposto giudizio amministrativo, la fase di cognizione e quella, successiva, di ottemperanza dovevano essere considerate in modo unitario ai fini del calcolo dell’irragionevole durata e, in conseguenza, l’indennizzo era dovuto per l’intera durata del processo, sino all’effettiva assicurazione del diritto riconosciuto dal giudice, senza poter considerare separatamente le due fasi di cognizione e di esecuzione-ottemperanza.
Nel richiamare il principio, questa Corte affermò testualmente che «alla luce della ricostruzione sistematica operata dalle Sezioni Unite di questa Corte con la recente sentenza n. 19883/2019 (cfr. in particolare i principi affermati sub nn.1, 2, 3 e 4 di cui alle pagg.36 e 37 della sentenza suddetta) il processo di equa riparazione il cui giudizio presupposto veda lo Stato – o altro Ente pubblico – in veste di debitore va considerato come un unicum composto da cognizione ed esecuzione (concetto, questo, già affermato da Cass. Sez. U, Sentenza
n.6312 del 19/03/2014, Rv.630042), la cui massima durata ragionevole è pari a due anni, sei mesi e 5 giorni.».
Decidendo i n rinvio, la Corte d’appello di Perugia rigettò la domanda, rilevando che, poiché «il termine di ragionevole durata è di 3 anni per il primo grado, 2 anni per il secondo grado per il giudizio di merito e di 6 mesi e 5 giorni per il procedimento esecutivo, ne consegue che il termine ragionevole era stato rispettato, perché il giudizio ha avuto quindi una durata complessiva -compresa la fase di ottemperanza -di 4 anni e 5 mesi ovvero addirittura inferiore alla ragionevole durata di 5 anni prevista per il solo giudizio di cognizione e sicuramente inferiore alla durata ragionevole di 5 anni e 6 mesi in relazione al giudizio di cognizione ed ottemperanza.»
Avverso questo decreto gli opponenti hanno nuovamente proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, a cui il Ministero ha resistito con controricorso.
RAGIONI COGNOME DECISIONE
Con il primo motivo, che, pur in mancanza di indicazione di una delle cinque ipotesi tassativamente previste quali vizi di legittimità, deve intendersi articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno lamentato la violazione e falsa applicazione degli art. 384, 392 e 394 cod. proc. civ., perché il Giudice del rinvio non si sarebbe attenuto alla ricostruzione operata da questa Corte nella sentenza n. 17774/2020 ; secondo l’argomentazione della censura, questa Corte avrebbe affermato, con il vincolo dell’art. 384 cod. proc. civ., che la massima durata ragionevole del giudizio presupposto fosse pari a due anni, sei mesi e 5 giorni.
1.1. Il motivo è infondato. La Corte ha ritenuto applicabile il principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 19883/2019, riproducendo testualmente il punto 10.2 della sentenza; in conseguenza, ha riportato in motivazione anche la durata
ragionevole del giudizio presupposto nello specifico caso esaminato dalle Sezioni Unite; quel giudizio presupposto, infatti, aveva avuto un’articolazione differente da quello della presente fattispecie perché era un procedimento per equa riparazione che si svolge in unico grado.
Pertanto, in disparte la considerazione che la durata ragionevole di un giudizio di merito è stata fissata, con la legge n. 89/2001, dal legislatore, in coerenza con le indicazioni della Corte EDU, in tre anni per il primo grado ed in due anni per il secondo grado, certamente il richiamo alla durata ragionevole di «due anni, sei mesi e 5 giorni» non integrava affatto un accertamento vincolante ex art. 384 cod. proc. civ. per il caso specifico, perché riportato soltanto al fine di riprodurre interamente il principio di diritto individuato come applicabile. Concludendo le «ragioni della decisione», infatti, nella sentenza questa Corte ha proprio affermato, senza ulteriormente riprodurre il termine di durata prima riportato, che «nel caso specifico» (così, ancora una volta, testualmente) «la Corte di Appello ha quindi errato laddove ha ritenuto di poter considerare autonomamente il giudizio di cognizione e quello, successivo, di ottemperanza», perché «avrebbe, infatti, dovuto considerare l’intera durata del giudizio, articolato nelle due fasi di cognizione e di ottemperanza, calcolando i soli tempi “del processo”, per tali intendendosi quelli in cui l’Autorità giudiziaria è investita della cognizione della fattispecie, escludendo invece tutti i periodi correnti tra la conclusione di ciascun singolo grado o fase di giudizio e l’inizio del successivo».
Con il secondo motivo, che, ugualmente, pur in mancanza di indicazione di una delle cinque ipotesi tassativamente previste quali vizi di legittimità, deve intendersi articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno lamentato la violazione e falsa applicazione di legge dell’ art. 2, legge n. 89/2001 perché nel calcolo della durata irragionevole, indennizzabile, non
sarebbe stato compreso il tempo necessario al passaggio in giudicato della sentenza.
2.1. Anche questo motivo è infondato per più ragioni.
Il tempo previsto per il passaggio in giudicato di una sentenza è per sua definizione «ragionevole» per il Giudice di merito perché prefissato dal legislatore; a ciò si aggiunga che alla parte è consentito provocare il passaggio in giudicato più celermente, attivandosi, con la notifica del provvedimento, per far operare il termine breve di impugnazione. In tal senso i precedenti giurisprudenziali citati dal ricorrente sono del tutto inconferenti perché il tempo per il passaggio in giudicato del provvedimento è considerato in quelle pronunce soltanto ai fini del l’interpretazione dell’art. 4 e dell’individuazione del termine di proponibilità della domanda di equa riparazione.
Infine, può ancora considerarsi che le sentenze rese in primo grado dal giudice amministrativo sono esecutive, ancorché appellate, e per l’esecuzione delle decisioni non sospese dal Consiglio di Stato il Tar esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato di cui agli artt. 112 comma 2 lett. b), e 114 comma 4 lett. c ), c.p.a., con obbligo dell’Amministrazione soccombente di assicurare nelle more del passaggio in giudicato della sentenza l’effettività delle situazioni giuridiche definite nella sentenza stessa.
2.2. Ciò precisato, allora, come risulta dalla stessa sentenza impugnata,
il ricorso al TAR è stato depositato il 4.2.2000 e la sentenza di primo grado è stata pubblicata il 15.5.2002 (durata 2 anni e 3 mesi);
il ricorso in Consiglio di Stato è stato depositato il 26.7.2002 e la sentenza di secondo grado è stata pubblicata il 31/12/03 (durata 1 anno e 5 mesi);
c) ricorso in ottemperanza di primo grado depositato nel maggio 2005 e definito con pubblicazione della sentenza il 16.5.06 (durata 1 anno);
appello sulla ottemperanza depositato in ottobre 2006 e definito con sentenza depositata il 31.5.2007 (durata 7 mesi).
La durata effettiva del processo presupposto unitariamente considerato è stata quindi di 3 anni e 8 mesi quanto al giudizio di merito e di 1 anno e 7 mesi quanto a quello esecutivo; in totale, pertanto, le due fasi hanno avuto una durata di 5 anni e 3 mesi.
Secondo principi ormai consolidati (Cass. Sez. Unite n. 19883 del 2019; Corte EDU 14 settembre 2017, Bozza c. Italia; in ultimo Cass. Sez. 2, n. 4749 del 22/02/2024 ), ai fini dell’equa riparazione ai sensi della legge n. 89/2001, la fase di cognizione del processo che ha accertato il diritto all’indennizzo a carico dello Stato – debitore va considerata unitariamente rispetto alla fase esecutiva eventualmente intrapresa nei confronti dello Stato stesso e il giudizio di ottemperanza promosso all’esito della decisione di cognizione è, sul piano funzionale e strutturale, pienamente equiparabile al procedimento esecutivo.
In questa valutazione unitaria, tuttavia, non deve considerarsi come «tempo del processo» quello intercorso fra la definitività della fase di cognizione e la proposizione del ricorso in ottemperanza: considerati i 120 giorni previsti, in via generale, dall’art. 14 d.l. n. 669 del 1996, per l’adempimento da parte di un’amministrazione dello Stato dei crediti accertati nei suoi confronti, comunque il ritardo dello Stato nell’esecuzione spontanea della decisione favorevole non può trovare ristoro nella legge 89/2001; questa legge è, infatti, diretta all’indennizzo del pregiudizio correlato al ritardo della definizione di un processo svolto davanti ad un giudice, non del ritardo attribuibile allo Stato amministrazione , tant’è che anche il comma 2 quater dell’art. 2
della stessa legge esclude dal ritardo indennizzabile ogni tempo che sia «fuori» dal processo (Cass. Sez. 2, n. 4749/2024 cit., con richiami).
Nella specie, pertanto, come evidenziato dalla Corte d’appello di Perugia in sede di rinvio, non sussiste alcuna durata irragionevole indennizzabile ex legge 89/2001.
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese processuali in favore del Ministero, liquidate in dispositivo in applicazione dei parametri stabiliti per le cause di valore indeterminabile e di complessità bassa.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del Ministero, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 906,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda