Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7232 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7232 Anno 2025
Presidente: VINCENTI NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4818/2022 proposto da:
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avv.to COGNOME COGNOME EMAIL;
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv.to NOME COGNOME (EMAIL;
– controricorrente –
e
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
-intimati –
avverso la sentenza n. 8224/2021 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata in data 14/12/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/2/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che,
con sentenza resa in data 14/12/2021, la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, tra le restanti statuizioni, ha condannato NOME COGNOME a tenere indenne NOME COGNOME da quanto da quest’ultimo dovuto a titolo di risarcimento dei danni in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati nei giudizi di merito dalla madre NOME COGNOME (quali eredi di NOME COGNOME) – avendo gli stessi subito l’evizione di un bene immobile che NOME COGNOME aveva acquistato da NOME COGNOME il quale, a sua volta, ne aveva ricevuto la proprietà dalla RAGIONE_SOCIALE della quale il COGNOME era legale rappresentante;
evidenziava la corte territoriale come l’evizione lamentata dagli eredi di NOME COGNOME era stata promossa e ottenuta da NOME COGNOME che, in qualità di assuntore del fallimento della RAGIONE_SOCIALE (società proprietaria originaria dell’immobile oggetto del presente giudizio), si era reso cessionario degli effetti dell’azione revocatoria che gli organi fallimentari della RAGIONE_SOCIALE avevano vittoriosamente esperito nei confronti di tutti i successivi proprietari dell’immobile in esame e, conseguentemente, da ultimo, degli eredi di NOME COGNOME a danno dei quali era stato eseguito il definitivo spossessamento del bene;
ciò posto, la corte d’appello ha rilevato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva condannato NOME COGNOME a tenere indenne il COGNOME da quanto da quest’ultimo dovuto a titolo risarcitorio in favore degli eredi di NOME COGNOME essendosi il COGNOME reso personalmente responsabile di una falsa
dichiarazione, resa dinanzi al notaio rogante l’atto di compravendita dalla RAGIONE_SOCIALE al COGNOME, circa l’asserita libertà, da ogni peso, iscrizione o trascrizione pregiudizievole, dell’immobile ceduto, così propiziando il pregiudizio economico da ultimo subito dal COGNOME e dai suoi eredi;
al riguardo, decidendo sul motivo d’appello proposto dal COGNOME – che aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva rispetto alla domanda proposta in sede di manleva dal COGNOME (sul presupposto che l’immobile era stato ceduto al COGNOME, non già dal COGNOME in proprio, bensì dallo stesso in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, in tale qualità essendo intervenuto, dinanzi al notaio, per la cessione dell’immobile) – la corte territoriale ha rilevato come il COGNOME non avesse in realtà eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, bensì, più esattamente, il proprio difetto di titolarità del rapporto giuridico dedotto in giudizio dal COGNOME, sì che le relativa eccezione, attenendo al merito della controversia, doveva ritenersi tardivamente proposta oltre i termini di preclusione stabiliti dalla legge; e tanto, in ogni caso, in presenza di una decisione del primo giudice pienamente corretta nel merito, avuto riguardo al carattere colpevole, e dunque illecito, dell’attestazione di libertà da pesi del bene negoziato personalmente resa dal Gaglianone dinanzi al notaio rogante;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME nelle more deceduto, propongono ricorso per cassazione sulla base di un unico d’impugnazione;
NOME COGNOME (notaio rogante l’atto di trasferimento dell’immobile dedotto in giudizio dalla RAGIONE_SOCIALE al D’Alì) resiste con controricorso;
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME; NOME COGNOME; NOME COGNOME e NOME COGNOME (quest’ultimo quale notaio rogante l’atto di trasferimento dell’immobile dal COGNOME al COGNOME) non hanno svolto difese in questa sede;
i ricorrenti e NOME COGNOME hanno depositato memoria;
considerato che,
con l’unico motivo d’impugnazione proposto, gli eredi di NOME COGNOME censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 167 e 345 c.p.c., nonché per violazione delle regole e dei principi in relazione alle difese con cui si contesta la titolarità dal lato passivo nel rapporto processuale dedotto in giudizio (in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto tardiva l’eccezione proposta dal COGNOME in relazione al proprio difetto di legittimazione passiva, atteso che, pur quando interpretata tale eccezione come questione attinente al merito della controversia (e, segnatamente, come contestazione della propria titolarità dal lato passivo nel rapporto processuale dedotto in giudizio dal COGNOME), la stessa non avrebbe potuto ritenersi soggetta ai limiti di preclusione rilevati dal giudice d’appello, trattandosi di una contestazione avanzata nei confronti dei presupposti stessi dell’azione di manleva esercitata dal COGNOME e, pertanto, materia di un’eccezione in senso lato, come tale destinata a sfuggire ai limiti di preclusione imposti dal disciplina processuale;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la corte territoriale, dopo aver rilevato la tardività dell’eccezione sollevata dal COGNOME in ordine alla propria carenza di titolarità del rapporto giuridico dedotto in giudizio dal COGNOME, abbia comunque ribadito come, nel merito, la domanda di manleva proposta dal COGNOME dovesse ritenersi in ogni caso fondata, avendo il
primo giudice evidenziato il carattere illecito della dichiarazione rilasciata dinanzi al notaio COGNOME dallo stesso COGNOME circa la libertà dell’immobile negoziato da gravami di ogni natura; e ciò, nella piena consapevolezza (quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE) che il bene immobile de quo fosse stato precedentemente attinto da una domanda revocatoria, sì che lo stesso non poteva non essere pienamente a conoscenza che la propria dichiarazione di libertà del bene si era sostanziata in una dichiarazione falsa (cfr. pag. 8 della sentenza d’appello) ;
la decisione del giudice d’appello, pertanto, risulta fondata su una duplice ratio decidendi : la prima, di carattere processuale, relativa alla tardività dell’eccezione concernente la pretesa carenza di titolarità del rapporto processuale in capo al COGNOME; la seconda, d’indole sostanziale, relativa alla fondatezza in ogni caso della domanda di manleva del COGNOME riferita al carattere illecito della dichiarazione rilasciata dinanzi al notaio COGNOME dallo stesso COGNOME circa la libertà dell’immobile negoziato;
al riguardo, è appena il caso di rilevare come la seconda ratio decidendi (di carattere sostanziale), nella misura in cui ha ribadito la correttezza della decisione del primo giudice circa la fondatezza, nel merito, della domanda di manleva del COGNOME, deve ritenersi tale da aver implicitamente riconosciuto l’effettiva titolarità, in capo al COGNOME, del lato passivo del rapporto processuale dedotto in giudizio;
ciò posto, non avendo gli odierni ricorrenti (in qualità di eredi di NOME COGNOME) censurato tale seconda ratio decidendi (e, dunque, non avendo censurato l’implicito riconoscimento della titolarità, in capo al COGNOME, del lato passivo del rapporto processuale), la doglianza in esame deve ritenersi inammissibile, siccome proposta in carenza d’interesse processuale, avuto riguardo
all’intervenuto giudicato interno sull’effettiva sussistenza di detta titolarità;
in thema , varrà richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr., da ultimo, Sez. 3, Ordinanza n. 5102 del 26/02/2024, Rv. 670188 – 01);
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 8.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione